di Ilaria Ester Ramazzotti
In concomitanza con la Giornata Europea della Cultura Ebraica, il Memoriale della Shoah di Milano ha aperto al pubblico domenica 18 settembre la mostra ‘Gli ebrei a Shanghai’, dedicata a uno degli eventi meno noti e studiati della Shoah, che rimarrà aperta fino al 15 dicembre. Lettere, documenti, testimonianze e fotografie inedite raccontano gli aspetti storici e le vicende che riguardarono circa 18 mila ebrei in fuga dall’Europa all’Oriente durante la Seconda guerra mondiale, nonché la loro vita a Shanghai.
L’esposizione, organizzata dagli Istituti Confucio dell’Università Cattolica e dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con lo Shanghai Jewish Refugees Museum, la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, l’Istituto Italiano di Cultura e il Consolato Generale d’Italia a Shanghai, propone ai visitatori una accurata documentazione che per la prima volta è stata tradotta in italiano.
Le vicende legate al formarsi della comunità di Shanghai, come illustrano i pannelli allestiti al Memoriale, trassero origine nell’Europa degli anni Trenta, in seguito all’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania. In quel periodo, il console generale della Cina a Vienna Ho Feng Shan, schieratosi contro l’antisemitismo, concedette infatti numerosi visti agli ebrei offrendo loro una via di fuga verso l’estremo oriente. Ho Feng Shan, una sorta di “Schindler cinese” – ci dicono gli organizzatori della mostra -, è stato in seguito insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni.
Drammatica, complessa, a tratti avventurosa, la storia degli ebrei fuggiti a Shangai svela aspetti sorprendenti e sprazzi di accesa speranza e rinnovata libertà. La maggior parte dei rifugiati ebrei in fuga dall’Austria e dal Paesi occupati dalla Germania nazista, si mossero verso l’Italia in un arco di tempo che va dal 1933 al 1940 per cercare di imbarcarsi sulle navi in partenza dai porti di Genova e di Trieste e per raggiungere lidi più sicuri in Oriente. Altri fuggirono invece nell’Europa del Nord e partirono da città situate sull’Atlantico. Nel 1941, a causa del bombardamento giapponese di Pearl Harbour e della dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e alla Gran Bretagna, che determinò la chiusura della rotta verso la Cina, l’afflusso di ebrei verso Shanghai andò tuttavia esaurendosi, ma nella città cinese la vita ebraica aveva nel frattempo trovato salvezza e altresì una rifioritura.
Nella seconda parte della mostra viene presentata la vita dei rifugiati ebrei a Shanghai, che nonostante le diversità della lingua e dei costumi riuscirono a inserirsi nel Paese e avviare attività commerciali e lavorative, al punto da creare una “piccola Vienna” nel distretto di Hongkou, convivendo in armonia con i cinesi. Ma una nuova difficile svolta andava configurandosi insieme a una nuova persecuzione: tutto prese il via dall’invasione giapponese della Cina nel 1942, quando le autorità nipponiche imposero l’apertura di un ghetto nell’area di Tilanqiao, sempre nel distretto di Hongkou, e obbligarono tutti i rifugiati ebrei a stabilirvisi. Il ghetto fu poi dismesso solo nel Dopoguerra, quando i residenti scelsero di trasferirsi negli Stati Uniti, in Australia, in Canada e in Israele, iniziando, ancora, una nuova vita.
L’ex sinagoga Ohel Moshe del ghetto di Shanghai è stata restaurata nel 2007 e poi destinata a ospitare lo Shanghai Jewish Refugees Museum che, già visitato da 300 mila persone, è uno degli organizzatori della mostra adesso allestita negli spazi del Memoriale della Shoah.
La mostra ‘Gli Ebrei a Shanghai’ si può visitare al Memoriale della Shoah di Milano, spazio mostre Bernardo Caprotti, in largo Edmond Safra 1 a Milano (già via Ferrante Aporti 3) dal 18 settembre al 15 dicembre 2016, il lunedì dalle 10 alle 19.30 e dal martedì al giovedì dalle 10 alle 14.30, e la prima domenica del mese dalle 10 alle 18.00. Per ulteriori informazioni, consultare il sito: www.memorialeshoah.it