di Fiona Diwan
Per un ebreo visitare oggi Granada significa riaprire una ferita. E se è sefardita, provare una pena sorda, una fitta di dolore che riaffiora dal silenzio dei secoli. È capitato a me, pochi mesi fa, durante un viaggio in Andalusia. Non solo per la lancinante bellezza di questa terra ma per il ricordo dell’infamia e di una persecuzione che lì si è dispiegata con una ampiezza di crudeltà senza pari, fatta eccezione solo per la Shoah. Girovagando per i vicoli dell’antico quartiere ebraico oggi diventato il solito barrio alla moda per giovani manager, con le sue casette riattate e le buganville violacee che si arrampicano ovunque, è difficile non ricordare che qui è stata scritta una delle pagine criminali della storia d’Europa. E che qui è nata la prima forma di moderno antisemitismo e razzismo “in una età e in un mondo per la prima volta globalizzati”. Siamo nell’annus mirabilis 1492, data da cui prende unanimamente avvio la cosiddetta Storia moderna. Tre eventi si sovrappongono in quei primi sei mesi che cambieranno la storia d’Europa: il primo è la caduta di Granada nel mese di gennaio e la fine dei regni arabi con la Reconquista cattolica; il secondo è la firma, in aprile, dell’accordo tra la regina Isabella di Castiglia e Cristoforo Colombo, che partirà di lì a poco, da Palos, per le Indie; e infine, in marzo, l’espulsione degli ebrei, e poi dei musulmani, da una terra su cui abitavano da secoli. È a Granada che viene gettato quel seme dell’odio da cui nascerà un fiore avvelenato che avrà vita lunga; portando con sé, com’è noto, roghi, audodafè, processi, battesimi forzati e torture in nome di Cristo. A raccontarci tutto ciò in maniera nuova arriva oggi un saggio di mirabile capacità sintetica e chiarezza di esposizione, Il seme dell’intolleranza. Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492 (Laterza, 12 euro, pp179), di Adriano Prosperi, in una collana diretta dalla brava Giulia Cogoli ideatrice del Festival della Mente di Sarzana e curato dall’editing minuzioso di Marco Vigevani e della sua agenzia letteraria. L’autore del saggio, Adriano Prosperi (storico dell’Inquisizione e docente alla Normale di Pisa), ci fa notare che sono tre i grandi processi storici che prendono avvio il giorno dopo la caduta di Granada: colonialismo, intolleranza religiosa, antiebraismo, antisemitismo. Accomunando così nello stesso destino di impurità-indegnità i “nuovi selvaggi” e indios, eretici e apostati, ebrei e conversos. E legittimando atrocità e violenze pur di portarli a riconoscere la vera fede, ovvero il cattolicesimo. E non illudiamoci, ci dice Posperi: la persecuzione del “diverso” fu un progetto studiato a tavolino e niente affatto una semplice eterofobia, ovvero il sentimento di ostilità verso l’altro che accomuna tutti i corpi sociali. L’affacciarsi del volto guerriero del cattolicesimo va di pari passo con la costruzione della monarchia e dell’identità spagnola; senza contare che l’avvento a Roma di un papa iberico, col pontificato di Alessandro VI Borgia, non solo facilitò questo disegno ma gli conferì un appoggio incondizionato dando all’Inquisizione poteri e arbitrio inauditi, unico esempio di istituzione del mondo cattolico che non rispondeva a Roma ma direttamente al monarca, Ferdinando appunto.
MACHIAVELLI AVEVA CAPITO
“Per poter intraprendere maggiore imprese, servendosi sempre della religione, si volse a una pietosa crudeltà cacciando, e spogliando, del suo regno i marrani: né può essere questo esempio più miserabile né più raro”. Così riferisce Niccolò Machiavelli scrivendo del re di Spagna, Ferdinando d’Aragona, vero regista di quel film dell’orrore che fu l’espulsione degli ebrei, nel capitolo 21° de Il Principe. Machiavelli fu il primo, del resto, a riconoscere nell’Editto di espulsione l’atto di nascita di una volontà egemonica assoluta nonché di quella potenza spagnola che avrebbe di lì a poco dominato il pianeta grazie all’oro delle Americhe. Con quello straordinario ossimoro, pietosa crudeltà, Machiavelli ci fa capire la doppiezza di un re, Ferdinando d’Aragona che, dietro a una religiosità di facciata che predicava fede, pace e pietà cristiana, fu l’artefice implacabile di quella macchina sociale dell’infamia che sarà il Tribunale dell’Inquisizione. Basandosi su una cupa religione dell’onore e del sangue puro (limpieza de sangre), su un cristianesimo guerriero e animato da fanatico spirito di crociata, Re Ferdinando e Fra Tomas de Torquemada, avrebbero compattato un paese sulla persecuzione di un presunto nemico interno, il marrano. Così, una vera e propria campagna d’odio fu scatenata dagli ordini mendicanti per scovare i falsi cristiani: i delatori sarebbero stati protetti dal segreto, i sospetti perdevano immediatemente tutti i beni mobili e immobili, incamerati dallo Stato, e nessuno sarebbe stato più al riparo dalle accuse, vere o finte che fossero. Persino alcuni Grandi di Spagna caddero sotto l’accusa di avere sangue infetto e antenati giudei. Adriano Prosperi ci fa notare che è esattamente da quel 31 marzo 1492 che prende il via la prima forma moderna di antisemitismo. E che il primo a intuirlo è proprio Machiavelli, individuando nella religione come instrumentum regni il fattore di successo dell’unificazione spagnola minacciata dai conversos, ossia dall’ebreo nascosto, complottista e cospiratore, che dall’interno l’avrebbe minata. Nasce il mito della hispanidad, ovvero dell’identità collettiva spagnola che si coagula intorno a una religione militare e intollerante, saldata dalla missione di ricevuta da Dio di combattere ebrei, eretici e selvaggi. La nazione spagnola iniziò a compattarsi contro il nemico comune interno: il cripto-ebreo convertito. Prosperi ricorda per noi la pena e l’affaccendarsi frenetico delle molte migliaia di esuli che entro il mese di luglio devono lasciare la Spagna, la loro tristezza a cui fa da contrappunto una feroce allegria popolare incoraggiata dai sermoni infiammati dei predicatori degli ordini mendicanti, francescani e domenicani, in primis. E tra gli ebrei che sceglievano il battesimo fu seminato il terrore e non solo per i conversos o nuevos cristianos: in un crescendo parossistico, una vera ossessione collettiva per la purezza del sangue, tutti furono considerati passibili di arresto, di sequestro dei beni e tortura, accusati di eretica pravità, di giudeizzare e di essere “come cani che tornano a inghiottire il proprio vomito”, falsi cristiani attratti dalla vecchia religione.
UN MODELLO PERSECUTORIO
Come scrive il grande storico Y. H. Yerushalmi, appare qui per la prima volta il concetto razziale degli ebrei, “razza inferiore per natura”; e che se dopotutto l’Inquisizione non era la Gestapo “l’eperienza iberica non deve essere considerata come un precedente esotico degli eventi successivi”. Come dire che la vicenda spagnola costituì un modello, un paradigma; e che esiste un parallelismo assoluto tra quell’antisemitismo religioso e quello secolarizzato dell’età contemporanea. Adriano Prosperi cita le fonti e i cronisti dell’epoca, come Bartolomeo Senarega che annota con viva partecipazione umana l’aspetto spettrale per magrezza e sofferenza di quei profughi, che gli apparivano come cadaveri viventi; e riporta dell’epidemia di sifilide che si scatenò nell’estate del 1492 e la cui responsabilità del contagio fu scaricata sugli ebrei. Di fatto, da un giorno all’altro, un intero paese si svuotò. E furono molti i cronisti cristiani a registrarlo. Come Andrès Bernaldez che testimonia di uno sciame umano che si mette in movimento sulle strade, con tutti i mezzi possibili, a piedi, con asini, muli, cavalli, dopo aver liquidato in fretta e furia i beni. Vendite oggetto di transazioni assai vantaggiose per gli acquirenti cristiani, visto che gli ebrei non potevano portare via nulla, non beni immobili, né oro, né monete, solo lettere di cambio su cui i banchieri fecero gravare interessi usurai. Senza la volontà politica di quelli che passeranno alla storia come i Re Cattolici (Los Reyes Catolicos), nessun Torquemada avrebbe potuto esistere e Prosperi ci dice che si trattò “del momento originario del disegno che conduce fino a n,oi: quello della cancellazione radicale della presenza ebraica dalla penisola iberica e della sua secolare eredità di presenza”. La ricerca di una soluzione definitiva del problema ebraico conficcato come una spina nel corpo cristiano d’Europa, l’idea del complotto contro la società, e della incancellabile diversità di sangue della “razza” ebraica nascono qui.
In una Spagna che oggi vive ancora, almeno al livello dell’uomo della strada, l’esperienza di un antisemitismo senza ebrei, paese jewish free da cinque secoli, non c’è da stupirsi se l’Editto di espulsione sia stato revocato nel 1987, soltanto 24 anni fa, con voci contrarie della Conferenza Episcopale Spagnola. Dovendo avviare più intense relazioni diplomatiche con Israele, qualcuno in Spagna si ricordò un giorno che quell’Editto era ancora in vigore e che forse era il caso di cancellarlo. Sforzandosi, quel politico visualizzò per un secondo e con un sussulto di stupore, l’immagine della terra di Spagna su cui un tempo era fiorito il genio e l’armonia di El Andalus, la civiltà delle tre culture. E pianse.