di Rav Paolo M. Sciunnach
Rabbi Shneur Zalman di Liadi (1745 – 1813), noto ai chassidìm come l’Alter Rebbe, nacque in Bielorussia da Rabbi Baruch e Rivka. Era discendente diretto del famoso Rabbi Yehuda Low, noto come il Maharal di Praga, a sua volta discendente della dinastia reale di re David. In occasione della celebrazione del suo Bar-Mitzvà, quindi già dall’età di tredici anni, si distinse per la vastissima conoscenza del Talmud e gli vennero per questo conferiti titoli riservati esclusivamente ai più eminenti studiosi. Nel 1764 si recò a Mezritch dal grande Maghid, di cui divenne il discepolo. Per sua richiesta, si dedicò alla compilazione dello Shulchan Aruch HaRav, opera che richiedeva profonde conoscenze di Halachà. Cominciò poi a redigere un compendio della filosofia chassidica, una sintesi degli aspetti intellettuali ed etici del chassidismo. Questo materiale venne in seguito elaborato nell’opera intitolata Tanya, per la cui stesura impiegò circa venti anni, incluso il periodo della prigionia imposto dal governo zarista. Fu arrestato due volte con la falsa accusa di collaborare con l’impero ottomano, acerrimo nemico della Russia, perché inviava denaro ai bisognosi che abitavano in Israele, allora sotto dominio turco. Venne liberato dalla prima prigionia il 19 Kislev 5559 (1798), anniversario della scomparsa del Maghid e da allora giorno di grandi festeggiamenti (Rosh Hashanà del chassidismo). A Liozna fondò una Yeshivah che riunì i suoi migliori discepoli, ma più tardi si trasferì a Liadi.
Rabbi Shneur Zalman, fondatore della scuola di pensiero chassidico CHaBaD di Lubavitch, contribuì a smussare gli angoli della polemica tra Chassidim e Mitnagdim (oppositori al chassidismo) ed era destinato a diffondere il chassidismo fra gli ebrei della Russia. Erudito studioso del Talmud, cercò di dare solido fondamento teorico alle idee del chassidismo: per questo elaborò un sistema chiaramente intelligibile, in cui sentimento e ragione poterono trovare un giusto equilibrio. Il movimento venne definito “Chassidut CHaBaD”, termine composto dalle lettere iniziali delle prime tre Sefirot: la Sapienza (CHochmah), l’Intelligenza (Binah), la Conoscenza (Daath). Lo studio della Torah, Scritta e Orale, riacquistò, nel suo pensiero, il ruolo fondamentale e fondante che possedeva da sempre nell’ebraismo ortodosso, mentre, nello stesso tempo, alcuni elementi di mistica furono posti in primo piano.
Nel 1812 fuggì da Liadi a causa dell’avanzata dell’esercito napoleonico, di cui aveva predetto la sconfitta: dopo che le truppe di Napoleone Bonaparte raggiunsero il regno di Russia, Rabbi Shneur Zalman pregò per la pace del regno di Russia e per la vittoria dello Zar Alexander: «Se Bonaparte vincerà abbonderà la ricchezza in Israele e sarà innalzato il corno d’Israele, ma i cuori dei figli d’Israele si allontaneranno dal loro Padre che è nei Cieli. Se vincerà il nostro signore Alexander – anche se si moltiplicherà la miseria in Israele e sarà abbattuto il corno d’Israele – i cuori dei figli d’Israele si uniranno al loro Padre che è nei Cieli».
Il bene materiale degli ebrei e i loro diritti sociali sotto il domino francese stanno in diretta contrapposizione con il bene spirituale tradizionale. Il Rabbi fu costretto all’esilio con la sua famiglia, finché giunse al villaggio di Pienna. Qui, la notte dello Shabbat 24 Tevet 5573 (1813) lasciò questo mondo. Le sue spoglie riposano nella città di Hoditch.
Shneur Zalman pubblicò il Tanya nel 1797. Tuttavia l’edizione completa dell’opera venne pubblicata dopo la sua morte nel 1814 e comprende cinque libri.
La caratteristica principale che fin dagli albori del movimento Chabad ne esprime l’essenza è “l’avvicinamento dei lontani senza il rischio dell’allontanamento dei vicini”. Se chiedessimo a un chassid chabad: «Qual è il numero dei chassidim nel mondo?», riceveremmo la seguente risposta: «Semplicemente tutti i figli d’Israele sono chassidim». A differenza, infatti, di altri gruppi religiosi, che si rivolgono verso l’interno del mondo ortodosso, questo movimento chassidico si rivolge principalmente all’esterno, si assume la responsabilità della sopravvivenza d’Israele. Invia i suoi giovani in lontane imprese, sia dal punto di vista geografico che di quello spirituale, nelle comunità più remote.
le basi del chassidismo
Queste linee distintive caratterizzavano il Chassidismo già nei suoi primi giorni. Rabbi Shneur Zalman fu a suo tempo l’unico maestro che formulò il pensiero chassidico in un libro sistematico: il Sefer HaTanya, dove spiega la dottrina della divinità, dell’uomo e del culto, in accordo c on un sistema etico e filosofico, e in tal modo la presenta ad un pubblico esterno assimilato. L’immagine sociale che si venne a creare come risultato della sua attività appariva in quei giorni, agli occhi di dei critici, piuttosto bizzarra. Tuttavia queste concezioni e queste tradizioni formarono ripetutamente, in ogni generazione, la coscienza dei Chassidim, in merito all’attivismo organizzativo per una triplice missione: la prima verso gli ebrei osservanti che non appartengono al Chassidismo, la seconda verso gli ebrei che sono lontani dalla Torah e dalle Mitzvot, e la terza verso le nazioni del mondo (attraverso le leggi noachidi).
I Chassidim Chabad, infatti, respingono in partenza la definizione di «ebreo laico» (“Chilonì”). Essi negano la separazione stessa tra sacro e profano nella vita ebraica; allo stesso modo negano in ogni modo anche la separazione tra «ebreo religioso» e «ebreo non religioso». L’identità ebraica è una questione di essenza e di sostanza, è un fatto fisico e spirituale stabilito.
Essa però non è fondata su fattori etnici, culturali, dottrinali o ideologici, ma solamente sulla natura spirituale dell’anima ebraica: una solida identità ebraica, a priori valida per tutti allo stesso modo, lontani e vicini. Un ebreo resterà sempre sostanzialmente un ebreo: ebrei si nasce e si resta anche dopo generazioni di abbandono e assimilazione, come si è visto nel corso dei secoli, “sia per il male che per il bene sia per la morte che per la vita”.
La forza spirituale della peculiarità (sgullà) ebraica di ogni singolo individuo, che è oggettiva e interiore, è più forte della scelta esteriore di vita ebraica, che è volontaria e contingente; la vita ebraica potenziale, anche quando non è coerentemente cosciente ed evidente, è più forte. Essere ebreo rende impossibile l’anonimato: un ebreo rappresenta, simboleggia, proclama la sua identità spirituale, persino malgrado se stesso e la propria volontà.
Questa concezione, che considera la globalità d’Israele come un’unica unità indivisibile (“Kol Israel Arevim Ze BaZe”), respinge a priori anche ogni possibilità di separatismo religioso intra-giudaico nelle sue varie denominazioni (ortodossi, conservativi, riformati), mentre fa dipendere la specificità del popolo d’Israele da una mera appartenenza fisica e spirituale.
Ecco, dunque, che la missione socio-religiosa del movimento chassidico non è destinata ad altro se non a elevare la scelta volontaria di ogni figlio d’Israele e a ricondurla all’altezza della sua peculiarità ebraica interiore. Tutto ciò, per realizzare concretamente la vita ebraica e riportare ogni ebreo alla sua natura e alle sue radici (Teshuvà). Non fosse altro che mediante l’adempimento di una Mitzvah, anche solo per la prima volta. L’identità completa di un ebreo non si esaurisce quindi solo nell’essere tale, ma nel suo legame con D-o; non è soltanto una certa qualità nell’anima, ma è coinvolgimento etico e partecipazione spirituale al Patto (Brit) con D-o e con la comunità di Israele: studio della Torah e osservanza delle Mitzvot.
A meno che essere ebrei non comporti un significato assoluto, come possiamo giustificare il prezzo che il nostro popolo ha spesso finito per pagare lungo tutta la sua storia?