di Ester Moscati
Il Servizio sociale della Comunità è un punto di riferimento per tutti, dagli iscritti agli enti ebraici, dagli anziani alle famiglie, dai fragili a chi ha bisogno (solo) di compagnia contro la solitudine
«La vera tzedakà è quella che si fa senza farla sembrare un’elemosina…» commenta Ramesh Khordian, case-manager del Servizio Sociale della CEM. E l’assistente sociale Elena Gemelli sottolinea che, nella sua esperienza, «il dono più grande che si possa fare è il proprio tempo e la propria attenzione». «La tzedakà – dice poi Rosy Gubbay, volontaria responsabile del Progetto Attivi da Casa – è connettersi con un altro essere umano, che a volte non sai neppure chi sia, dando qualcosa di materiale che a questa persona manca. In questo caso secondo me è giusto che sia fatta in anonimato. Ma fare tzedakà è anche quando siamo in grado di dare qualcosa di spirituale come l’affetto o l’ascolto o il tempo a una persona che ne ha bisogno; quando questo accade ci sentiamo molto appagate».
Ramesh, Elena e Rosy sono le presenze costanti nell’ufficio del Servizio Sociale e nel loro operato hanno come diretto referente il Segretario Generale della Comunità ebraica di Milano Alfonso Sassun. C’è poi il Comitato Servizi Sociali, che è un organo di tutela, di cui fanno parte rappresentanti di tutte le edòt della CEM (anonimo per riservatezza) che delibera i sussidi e condivide le progettualità, presentati dalle operatrici. Al Comitato partecipa anche un rappresentante del Consiglio della Comunità, l’assessore ai Servizi Sociali, in modo da tenersi aggiornato sulle situazioni.
«Grazie alla tzedakà e al pagamento dei contributi CEM da parte degli iscritti – spiega Ramesh – eroghiamo sussidi mensili o una tantum e buoni spesa e sosteniamo progetti ad hoc (educatori e supporto psicologico, vacanze per famiglie, corsi sportivi). Aiutiamo coloro che hanno subito le persecuzioni razziali ad ottenere risarcimenti dalla Germania (Claims Conference) e dallo Stato Italiano (Assegno di Benemerenza). Abbiamo regolari contatti con organizzazioni e associazioni – continua Ramesh – per una stretta collaborazione su specifici campi di azione e progetti: naturalmente RSA Arzaga e Kesher, che ‘sono’ come noi ‘Comunità’, poi il Volontariato Federica Sharon Biazzi (per gli accompagnamenti con le loro auto attrezzate), Beteavon (per la preparazione e la consegna di pasti a domicilio), Bené Berith (per sostegni una tantum a utenti tramite progetti specifici), Adei Wizo (per i doni di pacchi per Pesach), EFI (pasti a domicilio per Chanukka), ECJC (per l’organizzazione di corsi su Zoom), Claims Conference (per l’erogazione di fondi a sostegno delle vittime del nazismo), AME (per visite mediche di emergenza), CDEC (per la ricerca di documenti a sostegno delle pratiche per la Claims), KKL, KH e Figli della Shoah per iniziative specifiche; le farmacie Segre e Biazzi (per sconti su farmaci), Associazione NISSIM (preparazione e distribuzione di pacchi per Pesach), Servizi sociali territoriali (per la collaborazione nella gestione di utenti seguiti sia da noi sia dalle strutture pubbliche e per l’attivazione di servizi sul territorio), ADI/Teleassistenza/integrazione rette RSA/ADS.
Come si può vedere c’è una rete fittissima di collaborazioni e la cosa bella è che il Servizio Sociale della Comunità è percepito da tutti come un collettore che tiene assieme le varie esperienze perché è al servizio di tutti, indistintamente».
Durante il Covid, questa rete solidale si è rafforzata e ha dato il meglio di sé, con un grande aiuto di volontari anche dei movimenti giovanili Hashomer Hatzair e Bené Akiva che sono stati straordinari nel mettersi a disposizione degli anziani – e non solo – per la spesa e le medicine a domicilio.
Ma chi sono le persone che si rivolgono al Servizio Sociale comunitario? «Il Servizio segue diverse tipologie di utenti: persone che non ricevono sussidio economico ma che vengono sostenute attraverso colloqui, visite domiciliari, telefonate; persone che, dopo un’attenta analisi, ricevono un sussidio economico; le vittime del nazismo che vengono sostenute nella compilazione di richieste di indennizzo (e tutta la relativa documentazione) o che ricevono direttamente un sussidio. In questo momento stiamo sostenendo 15 persone sotto i 60 anni e 18 sopra i 60, più 14 persone che ricevono regolarmente buoni alimentari per prodotti kasher.
Quindi eroghiamo sussidi economici, buoni alimentari Esselunga e buoni kasher, per un totale di circa 75.000 euro. Poi ci sono gli utenti che rientrano nel progetto della Claims Conference per le vittime del nazismo; riceviamo 345.755,00 euro da utilizzare per gli assistiti. Possiamo poi contare sui nostri bossoli e su offerte di tzedakà (da gennaio a giugno 2022, abbiamo ricevuto 45.000 euro più una donazione di 12.625 euro per buoni kasher da un benefattore)».
Nel corso dell’anno, i Servizi Sociali della Comunità effettuano circa 5.000 colloqui generici e telefonate: per sostegno, monitoraggio, ascolto, analisi della domanda e valutazione delle richieste economiche. Poi ci sono gli incontri dell’equipe in ufficio con i Servizi del Territorio e con gli enti ebraici (50 circa) e le visite al domicilio degli utenti, circa 70 all’anno. il successo di “Attivi da casa” Il fiore all’occhiello di questi ultimi anni (prima e dopo la pausa imposta dalla pandemia) è il progetto “Attivi da casa”, voluto dai servizi sociali, volto a proporre attività ricreative di gruppo, a far sapere che la Comunità c’è per qualsiasi tipo di bisogno e coinvolgere nella vita comunitaria gli iscritti “over 70” e non solo. «Ad oggi – racconta Rosy Gubbay, responsabile del progetto – hanno partecipato almeno una volta alle attività (cinema, teatro, mostre, gioco delle carte, pranzi/caffè…) circa 150 persone su 450 chiamate regolarmente. Altre 500 devono ancora essere raggiunte. I volontari che hanno risposto con entusiasmo ai nostri appelli sono in totale 40 e con loro contiamo di crescere nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Noi diamo molto valore a queste forme di aiuto. Ci sono stati molti episodi simpatici, gente che ha scoperto di abitare nello stesso palazzo e di essere appassionata di bridge e ora si incontrano regolarmente. ‘Attivi da casa’ va senz’altro potenziato e strutturato, è il futuro. I figli ci dicono che i genitori sono ‘rifioriti’, escono di più, fanno ginnastica. Nel 2022 abbiamo partecipato a un bando di un’associazione ebraica europea per l’assegnazione di fondi da destinare a progetti sociali e ci sono stati assegnati circa 140.000 euro per le attività di socializzazione e per il benessere dei nostri anziani». Tutte le attività sono gratuite ma «tutti i partecipanti desiderano lasciare una offerta nel nostro bossolo della tzedakà, per sentirsi coinvolti nella organizzazione del progetto», conclude Rosy.
Imparare la tzedakà a scuola
«Un altro progetto di cui siamo molto orgogliose è la collaborazione con la Scuola ebraica – racconta Ramesh -. Le moròt hanno nelle classi il nostro bossolo e i bambini vengono periodicamente ad aprirlo nel nostro ufficio. Spieghiamo come vengono donati i soldi che hanno raccolto e chiediamo loro consigli e idee. Ma diciamo anche come i soldi non bastano: si deve ‘donare’ affetto, sostegno. Non si deve isolare un compagno più timido, ma accoglierlo nei giochi. Insomma una lezione contro il bullismo a partire dalla tzedakà. E poi spieghiamo che è importante andare a trovare i nonni, essere affettuosi con loro per non farli sentire soli». Il Servizio Sociale raccoglie anche offerte “mirate”. «Una signora ogni anno dona, in memoria del padre, una vacanza a una famiglia con bambini, che altrimenti non potrebbe permettersi qualche giorno di svago. Le lettere che scrivono per ringraziare sono fantastiche e danno il senso che anche un piccolo gesto può essere preziosissimo per le persone che lo ricevono». Perché questo è il senso della tzedakà: “Quando tuo fratello… si trova vicino a te indebolito, devi sostenerlo e far sì che possa vivere…” (Lev. 25,35)”.