di Roberto Zadik
Contrariamente alla società spesso opportunistica e consumistica di questa epoca, la tradizione ebraica nel lavoro mette in primo piano l’etica, l’onestà negli affari e nel comportamento e il rispetto fra persone. Prima dell’interesse personale e del profitto spesso dominanti. Su questo tema si è parlato durante la serata di Kesher “Commerciare onestamente: etica ebraica dell’economia” tenutasi lo scorso 24 ottobre presso la Residenza Arzaga e che ha avuto come relatori Rav Alberto Moshe Somekh e il professore universitario di Economia, Alberto Heimler. Presentati dal Direttore di Kesher, Rav Roberto Della Rocca, i due studiosi si sono confrontati “su questo tema molto complesso” come ha ricordato Somekh “sul quale potremmo stare molto tempo, in quanto ci sono diverse Halakhot a riguardo contenute in vari testi”.
Ma quali sono alcune regole fondamentali in ambito professionale e nella quotidianità? Non truccare le unità di misura, né fare false promesse, non truffare il prossimo non derubandolo ne economicamente ma neppure in termini di tempo, di fiducia e di aspettative create e poi disattese. Questi sono alcuni dei punti fermi della Torah e dello Shulchan Aruch, codice di leggi e comportamenti ebraici di fondamentale importanza e di eterno valore per ogni ebreo, perché come ha ribadito Rav Somekh “la Torah prescinde qualunque ideologia, politica e governo e che anche quando lavoriamo dobbiamo ricordarci di perseguire la giustizia con giustizia”.
“E’ una priorità per tutti agire giustamente e correttamente verso gli altri, come adempimento della volontà dell’Eterno e pensare che prima dei diritti, non necessariamente contemplati dalla Torah” ha sottolineato il Rav, de per questo dobbiamo dare la precedenza “ai doveri verso HaShem e verso gli uomini, rispetto ai nostri interessi, all’obbligo di mantenere le promesse e la parola data”. In tema di fonti, Rav Somekh ha fatto sapere che il Talmud e i chachamim sottolineano grandemente il valore dell’onestà dando spesso per scontato una certa moralità nelle persone. Tanto che “se avviene la compravendita di un oggetto,” ha specificato “non viene nemmeno ipotizzato che ci sia qualcuno che non vuole pagare o che scappi senza ritirare la merce non perfezionando l’accordo con chi gliel’ha venduta”. Tante casistiche e implicazioni in questo argomento in cui deve esserci sempre “un rapporto di solidarietà e di serietà fra le parti a prescindere dalla convenienza e dal guadagno” ha concluso Rav Somekh. A questo proposito è vietato anche, come ha segnalato, “dubitare dell’onestà di una persona, tanto che per farlo ci devono essere due testimoni che ne hanno visto eventuali comportamenti scorretti verso terzi”.
Molto efficace anche l’intervento del professor Heimler cha ha messo a fuoco la centralità e la propositività della tradizione ebraica riguardo ai temi del lavoro, dell’economia e dei rapporti umani basati sulla crescita personale e non solo del profitto. Riprendendo quanto detto dal Rav precedentemente, il Docente ha ribadito che “lavoro e affari devono” stando a quanto promuove l’etica ebraica “puntare alla crescita e alla dignità dei singoli.” Lo studioso ha ricordato come ai tempi della Torah e del Talmud l’economia era essenzialmente agricola e come “lavorare col sudore della fronte” e con impegno tenesse lontane le persone da scambi e traffici economici che riguardavano maggiormente le popolazioni circostanti più che il mondo ebraico. Secondo Heimler il Talmud e i testi ebraici hanno, comunque dato insegnamenti estremamente attuali e applicabili puntando a migliorare “la persona e la sua famiglia e non solo il lato economico e concreto”.
In conclusione della serata, rispondendo alle domande del pubblico, sia Rav Somekh che Rav Della Rocca hanno evidenziato il “valore della serietà e della responsabilità negli affari e nel lavoro in cui è fondamentale il ruolo della fratellanza fra ebrei che attualmente sembra essersi un po’ perso” come ha detto il Direttore di Kesher e “il concetto non di diritto prestabilito come in una Ierushà, una eredità come quella dei genitori verso i figli, ma di una Morashà, di una ricompensa per il lavoro svolto”.