Maimonide: ebrei e musulmani uniti nella circoncisione, segno unico del Patto divino

Ebraismo

di Vittorio Robiati Bendaud

La civiltà Giudeo-Araba 2 / Entrambi “figli di Abramo”, per  il Rambam erano molti gli elementi di vicinanza tra ebrei e musulmani. Eppure, tra Dhimma e necessità di convivenza, tra avversione e attrazione, non tutti la pensavano come il grande medico di Cordoba. A partire dagli stessi qabbalisti spagnoli…

Hendrik Goltz, Circoncisione di Gesù
Hendrik Goltz, Circoncisione
di Gesù

 

È ben noto il rapporto complicato che Maimonide ebbe con l’Islam, sia personalmente sia in una prospettiva halakhica e teologica. L’opinione di Maimonide sull’Islam oscilla dall’affermazione positiva che si tratti di un puro monoteismo, provvidenzialmente suscitato da Dio, a reiterate espressioni negative sulle attitudini generali dei musulmani suoi coevi, che si estendono anche al loro testo sacro, dalla prassi alla teologia.
Tuttavia Maimonide sembrerebbe ritenere che i musulmani siano membri della “comunità fondata e costituita in Abramo”, in quanto migliaia e decine di migliaia di esseri umani hanno risposto positivamente allo sforzo persuasivo di Abramo secondo cui “esiste un solo e unico Dio, Signore dell’intero universo, ed è bene pregarLo” (Hilkhòth ‘Avodah Zarah I, 2). Tale comunità, precedente a quella del Sinaì, contiene chiaramente tutto Israele, ma non coincide unicamente con il Popolo Ebraico, includendo i credenti non-ebrei nell’unicità e unità di Dio, ossia i musulmani.
Questa lettura del pensiero maimonideo in relazione all’Islam, offerta dallo storico del pensiero Lawrence Kaplan nel suo saggio L’unicità del popolo d’Israele nel pensiero di Maimonide (testo disponibile solo in ebraico), potrebbe trovare appoggio in quello che Rambàm afferma nella Guida dei Perplessi (III, 49) circa il precetto della circoncisione: “Secondo me la circoncisione ha un altro importante significato, ossia che tutte le persone che professano questo principio -ossia credono nell’unità di Dio- debbono possedere un segno fisico caratteristico che le unisca tra loro (….)”. Continua Maimonide: “Ora, un uomo non imporrebbe a se stesso o al proprio figlio la circoncisione, se non fosse per conseguenza di fede autentica. Non si tratta certo di un’incisione inferta a un arto, tuttavia è qualcosa di molto, molto forte. Ed è anche ben noto quale intensità di amore vicendevole e reciproco aiuto esista tra persone che tutte portino lo stesso segno … la circoncisione è un patto contratto da Abramo nostro padre, concentrato sulla fede nell’unità di Dio. E così chiunque sia circonciso entra a far parte del patto di Abramo”. La circoncisione è dunque per Maimonide un segno corporeo permanente che unisce i credenti e che, al contempo, respinge chi non abbia profonda convinzione di fede. Riprendendo Maimonide, poche decadi dopo, il rabbino e filosofo alla corte di Federico II di Svevia, Ya‘aqòv Anatoli, nel suo Malmàd haTalmidìm (Il Pungolo degli Scolari), sostenne conseguentemente che la circoncisione è superiore al battesimo perché in essa vi è, pur circoscritta, una dose di sofferenza necessaria affinché diventi, a differenza del secondo, tratto permanente -e non temporaneo- della persona.
Sembrerebbe che Maimonide, nel descrivere la comunità dei credenti accomunati dalla circoncisione, non identifichi unicamente il solo Popolo Ebraico, ma “tutti coloro che professano questa fede” e “confessano l’unicità di Dio, con corretta unità”, il che includerebbe anche i musulmani.
Tuttavia Rambàm afferma di seguito che la perfezione del perpetuarsi di questa norma (la parola usata da Maimonide per norma nell’originale arabo è “al-Shari‘a”, tradotta da Ibn Tibbòn con “Torah”) può essere raggiunta solo se praticata in tenerissima età, come prescritto dalla Torah stessa, qualora il bimbo goda di buona salute e sia in forze.
I musulmani, differentemente dagli ebrei, praticano la circoncisione durante la pubertà e, ancor più, la legge islamica -differentemente dalla Halakhah- per lo più permette agli adulti che si convertono all’Islàm di esserne esentati. Sembrerebbe quindi che per Maimonide, nel momento in cui egli introduce una differenziazione temporale circa l’esecuzione della circoncisione, la sua perfezione e la sua cogenza, alluda anche a una differenza specifica fondamentale dentro la “comunità dei credenti nell’unità di Dio”, tra ebrei e musulmani (cfr Sanhedrin 59b).
E infatti così egli si esprime in Hilkhòth Melakhìm 10:7: “La circoncisione è obbligatoria soltanto per Abramo e la sua discendenza, come è detto: -tu e la tua discendenza dopo di te per le generazioni future (Genesi XVII, 9). Ma la discendenza di Ismaele ne è esentata, come è detto: -poiché la tua discendenza prenderà nome da Isacco (Genesi XXI, 12)-. Ed Esaù ne è esentato, dato che Isacco ha detto a Giacobbe -A te e con te alla tua progenie conceda la benedizione di Abramo (Genesi XXVII, 4). Ne consegue che egli solo è discendenza di Abramo, aderendo alla sua legge e al suo retto cammino”.
Tuttavia, così continua sorprendentemente Maimonide (in loco); “I Maestri hanno stabilito che i figli di Keturah (che -ricordiamolo- secondo il midràsh è la stessa ex schiava Hagàr, tornata a vivere con Abramo dopo la morte di Sara), che sono discendenza di Abramo dopo Ismaele e Isacco, debbano essere circoncisi. Dal momento che i figli di Ismaele si sono imparentati con i figli di Keturah, sono obbligati anch’essi alla circoncisione…”. Ne conseguirebbe così che i musulmani, dagli albori dell’Islam ad oggi, sono anch’essi tenuti alla circoncisione, come descritto da Maimonide.
In sintesi, secondo la Guida dei Perplessi, la funzione della circoncisione è quella di creare un forte e stabile legame sociale, simbolico e religioso tra coloro che “professano l’unità di Dio”, facendone un’unica comunità, radicata in Abramo, che per primo osservò questo precetto. Questo sembra includere e accomunare in un’unica comunità abramitica ebrei e musulmani. Tuttavia, il fatto che i musulmani pratichino la circoncisione non all’ottavo giorno dalla nascita, ma successivamente, potrebbe essere inteso come una violazione del precetto e un’esclusione da detta comunità. Maimonide ribadisce che la discendenza fisica e spirituale di Abramo passa per Isacco e Giacobbe, che sono i soli obbligati al precetto della circoncisione. Tuttavia, immediatamente dopo, egli stesso ricorda che i Maestri di Israele hanno ritenuto che tale precetto si estendesse anche ai figli di Abramo e Keturah. Essendosi nei secoli imparentate la discendenza di Ismaele e quella dei figli di Keturah, tali persone sarebbero tenute anch’esse oggi alla mitzvah della circoncisione.
In quest’ottica la circoncisione sarebbe un positivo fattore che affratella e unisce ebrei e musulmani.
Tuttavia, il qabbalista spagnolo del XIII secolo Mosheh de Leon scrive nel suo Sheqel haQodesh, in feroce polemica con l’Islàm e con le connesse misure antiebraiche della Dhimma, che la circoncisione dei musulmani è invalida, dando torto più volte a Maimonide circa le sue considerazioni sulla fede islamica. Al contrario, le posizioni maimonidee sono invece recepite entusiasticamente, a favore dell’Islam, dal grande qabbalista Mosheh Cordovero (1522-70), che nel suo commento allo Zohar mostra grande simpatia e stima religiosa e umana per i musulmani (Or yakar, “Chayyé Sarah”).
Come intendere questo complesso ragionamento, che si dipana da Maimonide a Cordovero, abbracciando secoli e territori diversi in cui ebrei e musulmani si trovarono a convivere? In modo ambivalente, oscillatorio, non lineare. Semplificando di molto, si può dire che tra avversione e attrazione, tra Dhimma e migliori possibilità di convivenza, i rabbini cercano di “pensare” l’Islam, sia in modo positivo, sia in funzione difensiva, anche a fronte di prestiti e sollecitazioni vicendevoli continui.