Shavuot è la festa in cui si finisce il conteggio dell'Omer

Nella lunga notte di Shavuot, per apprendere ciò che il cuore desidera

Ebraismo

di Yakov Di Segni

L’11 giugno è Shavuot, la veglia più propizia per studiare e meditare ma soprattutto per operare un Tikkun, una riparazione, come indicano lo Zohar e la tradizione mistica. Restare svegli per la Torà, per sentire la gioia dello studio, come vuole la Qabbalà

 

La festa di Shavuòt come le altre Festività ricorda eventi accaduti migliaia di anni fa ma che ogni anno vengono letteralmente rivissuti come qualcosa di attuale e presente. A Pesach ogni ebreo durante il Seder ripete gli stessi gesti e parole che accompagnarono l’uscita dall’Egitto, attuando ciò che dice la Haggadà: “In ogni generazione ognuno ha l’obbligo di vedere sé stesso come se fosse uscito dall’Egitto”. A Sukkot usciamo dalle case di mattoni per entrare nelle capanne di frasche del deserto.

A Shavuot (11 sera, 12 e 13 giugno) ricordiamo il Dono della Torà sul Monte Sinai e, nonostante non ci siano mitzvòt della Festa, si sono sviluppate diverse usanze legate alla Torà.

Una di queste è quella di rimanere svegli la notte di Shavuòt per studiare Torà. Questa notte è chiamata “Limmud”, “Mishmarà” (veglia), o “Tikkùn” (riparazione); in realtà non si tratta di un minhag unico di Shavuot, perché anche in altre occasioni esiste l’uso di rimanere svegli la notte per studiare (il 7° giorno di Pesach, a Hoshana Rabbà, la notte prima della Milà).

 

Moritz Daniel Oppenheim, Shavuot

 

 

La notte è considerata un tempo propizio per la preghiera e per lo studio; il Rambam insegna che chi vuole acquisire la “Corona della Torà” deve studiare di notte perché è allora che si riesce ad arrivare ai livelli più alti di comprensione della Saggezza. La prima fonte che parla espressamente del Tikkùn di Shavuòt è lo Zohar che attribuisce l’uso agli “Antichi Chassidìm” e che dà una motivazione mistica: i devoti, studiando con gioia, preparano tutta la notte “i gioielli della sposa” (la Torà), che l’indomani mattina si unirà a Popolo d’Israele, in una sorta di matrimonio mistico. Il fatto che il Popolo d’Israele e la Torà siano legati da un rapporto simile a quello matrimoniale è diffuso nei testi rabbinici e nella liturgia. La ricompensa per chi rimane sveglio ad occuparsi di Torà sarebbe la promessa di portare a termine l’anno in salute e di salvarsi dalla pena del Karèt. Il minhàg, inizialmente seguito solo dai cabbalisti, si diffuse piano piano anche tra le persone semplici, sia tra i sefarditi sia tra gli ashkenaziti. Benché Rav Yosef Caro non accenni a quest’uso nel suo Shulchàn Arùkh, ci è arrivata una descrizione mistica del suo studio durante la notte di Shavuot attraverso una testimonianza di Rav Shelomò Halevì Alkabètz. In quell’occasione, secondo questa fonte, a Rav Yosèf Caro viene detto da un Magghìd (angelo) di andare a stabilirsi in Èretz Israèl.

In epoca più recente sono state citate delle testimonianze molto precedenti allo Zohar che potrebbero avere qualche legame con quest’uso; tra queste, quella di Filone Alessandrino che riporta che già all’epoca del Secondo Tempio i Terapeuti di Alessandria (setta ascetica, imparentata con gli Esseni) rimanevano svegli tutta la notte di Shavuòt e la passavano in preghiera. Il testo del Tikkùn, di cui abbiamo versioni differenti, è composto in generale da passi tratti della Torà, dai Profeti e dagli Agiografi, e da brani dello Zòhar. A questi si sono aggiunti il minyàn hamitzvòt (Computo dei Precetti) del Rambàm o le Azharòt di Rabbi Shelomò ibn Gebirol, il Midràsh sul brano dei Dieci Comandamenti e, secondo alcuni, alcuni capitoli della Mishnà. Al termine del Tikkùn si recita il Qaddìsh, e si usa immergersi nel Mikwè come atto purificatorio e come completamento della notte di riparazione passata in studio e preghiera.

Il Rabbino Chayìm Yosèf Davìd Azulài (Yerushalaim, 1724 – Livorno, 1806) critica coloro che preferiscono studiare altre opere di Torà, come il Mishnè Torà del Rambàm, e sottolinea invece l’importanza di seguire il testo del Tikkun stabilito dai mekubbalim (i cabbalisti) e basato su quanto scritto nello Zohar; soltanto dopo aver concluso il Tikkun tradizionale, scrive, è possibile continuare a studiare altri argomenti di Torà.

D’altra parte, altri Rabbini contemporanei come Rav Ovadia Yosèf hanno scritto che se gli studiosi di Torà preferiscono dedicarsi al Talmùd al posto di leggere il Tikkùn, non vanno ripresi perché come dice il Talmùd (Avodà Zarà 19a): “Una persona apprende solo ciò che il suo cuore desidera”; ciò nonostante, se ci si trova in un posto dove il pubblico recita il Tikkùn bisogna seguire l’uso del posto e non separarsene. Secondo alcuni il motivo per cui fu stabilito quest’uso è per riparare uno sbaglio degli Ebrei che la mattina del 6 di Sivan non si svegliarono per ricevere la Torà sul Monte Sinai come avrebbero dovuto, ma dovette Moshè andare a svegliarli (Maghen Avrahàm sulla base del Midrash Shir Hashirim Rabba). Altri invece sostengono, al contrario, che gli Ebrei si prepararono a ricevere la Torà il 6 di Sivan passando anche loro la notte svegli, e proprio in ricordo di questo loro gesto si usa ripeterlo ogni anno la notte di Shavuòt (Ibn Ezrà su Shemòt 19:11). I Posekìm sottolineano l’importanza di questa notte e raccomandano di non passarla in conversazioni futili ma di dedicare questo tempo prezioso allo studio della Torà. Se una persona non riesce a rimanere sveglia per tutta la notte, è preferibile comunque studiare per alcune ore.

Secondo alcuni le donne non hanno l’uso di rimanere sveglie a studiare. Chi non è andato a dormire per niente, la mattina dovrà fare la Netilàt Yadàim ma senza recitare la berakhà (secondo l’uso ashkenazita si recita la benedizione però se, prima della Tefillà, si è andati in bagno). Per quanto riguarda le altre berakhòt della mattina l’uso sefardita è di recitarle, comprese quelle sullo studio della Torà; gli ashkenaziti invece fanno in modo di sentirle da qualcuno che abbia dormito e in questo modo uscire d’obbligo.