di David Piazza – Direttore di Morashà
La parashà della settimana raccontata a partire da un commento del grande Maestro medievale
In occasione della festività di Simchàt Torà, nella Diaspora venerdì 25 ottobre, e lo shabbàt successivo, 26 ottobre, è iniziato il nuovo ciclo annuale della lettura e dello studio della Torà, con la prima parashà, quella di Bereshìt-Genesi.
Il sito Morasha.it da anni pubblica ogni venerdì, tramite la newsletter via mail Kolòt (qui), un commento alla parashà della settimana in italiano (qui) scritta da rabbini e studiosi, che nel frattempo ha accumulato decine di commenti su ogni singola parashà, disponibili sempre a tutti online.
Alla diffusione dei testi di questi autori “professionisti” si aggiunge quest’anno una nuova iniziativa, quella di invitare al commento della parashà autori ebrei italiani che di solito non scrivono intorno a tematiche esegetiche. Il titolo di questa nuova serie è “Rashì di tutti” perché per rendere l’impresa ancora più intrigante è stato chiesto loro di fare partire il loro testo da un commento del grande commentatore medievale, Rabbì Shelomò Yitzchaki (1040-1105), conosciuto con l’acronimo di Rashì (qui).
Quattro semplici idee dietro questa iniziativa.
La prima è diffondere il concetto che la lettura ebraica dei testi della tradizione è sempre una lettura plurale, come recita il versetto dei salmi: “Una parola ha detto Dio, due ne ho udite” (Tehillìm 62, 12). Dio solo mantiene gli attributi di unicità, a noi umani resta solo il tentativo di comprendere tramite uno sforzo collettivo, che necessariamente è un insieme di diversità. Come del resto ribadisce anche il Talmud quando afferma che la Torà ha “settanta volti”: “Come un martello che colpendo la roccia genera molte scintille, così un versetto ha molti volti” (TB Sanhedrin 34a).
La seconda idea è quella che se partiamo dalle nostre idee in realtà parleremo sempre di noi stessi e di quello che già sappiamo, ma se partiamo dai commenti dei grandi Maestri che ci hanno preceduto, avremo forse la possibilità di confrontarci con qualcosa di nuovo, proprio perché diverso da noi. Poi ognuno è comunque libero di accettare o rifiutare quei suggerimenti, ma con una consapevolezza diversa da quella che avevamo all’inizio del percorso, come “nani sulle spalle dei giganti”, espressione che troviamo anche nei testi ebraici a partire dall’italiano (anzi romano) “Shibolè Halèket” (XIII sec.).
La terza idea è quella che “aprire il giro” dei commenti ai “non professionisti” potrebbe essere una scommessa che vale la pena di fare. Potrebbe avvicinare al commento corale dei testi ebraici un pubblico diverso che finora leggendo gli autori più conosciuti si è tenuto lontano. Potrebbe portare nuova linfa vitale e perché no, anche freschezza di contenuti che non siamo abituati a leggere. Sopporteremo quindi pazientemente i dubbi che qualcuno certamente solleverà.
Quarta e ultima idea, forse per noi la più importante, è la convinzione che la Torà sia di tutti gli ebrei, e non solo di chi la studia o di chi la osserva, il che è scontato, ma che anche sia fondamentale e quanto mai urgente, trovare oggi qualcosa che sia patrimonio comune indiscutibile a tutti noi ebrei, ormai comunque divisi in tante fazioni, qui nella Diaspora e lì in Israele. I testi della tradizione ebraica e i suoi commentatori nei secoli potrebbero essere il punto di partenza. I suoi commenti saranno (e lo sono sempre stati) comunque plurali. Ma senza un patrimonio condiviso potrebbero rimanere solo le fazioni.