di Rav Alfonso Arbib
Stiamo vivendo un periodo difficile e complicato in cui siamo nella condizione di cambiare le nostre abitudini, anche le nostre abitudini migliori; abbiamo sospeso le tefilloth pubbliche al Bet Haknesset, una cosa che abbiamo intrapreso con molto dolore perché è una cosa molto brutta esser costretti a sospendere le tefilloth. La tefillà al tempio è fondamentale e essere nella condizione di non poterla fare è veramente molto difficile.
Però era importante farlo perché siamo in una situazione pericolosa. La Halachà stabilisce che se siamo in una situazione di pericolo dobbiamo prendere tutte le precauzioni possibili. Bisogna essere molto attenti alla nostra salute e alla salute degli altri, bisogna stare attenti a non farsi del male e a non fare del male. Anche senza volerlo. Quindi dobbiamo stare molto attenti alle norme sanitarie che ci vengono prescritte e molto rigorosi nell’osservarle.
Questa situazione sta cambiano le nostre vite e le nostre abitudini. Ma dobbiamo anche stare attenti a che questa situazione non sconvolga le nostre vite, a non essere concentrati soltanto sulle nostre paure e perdere in questo modo cose belle e fondamentali delle nostre vite.
Siamo in un momento di crisi, ma tutte le crisi possono essere anche un momento in cui si fa qualcosa di positivo. E quindi l’invito è a cogliere questo momento anche come una opportunità. Siamo chiusi in casa e possiamo fare molte cose: occuparci maggiormente delle nostre famiglie, che è estremamente importante, possiamo dire tefillà (non meglio che in un BetHaknesset, perché la tefillabesibbur, la preghera pubblica, è fondamentale nell’ebraismo) ma possiamo dire una tefillà privata con grande concentrazione, senza avere il problema del tempo che passa, come capita spesso al Tempio, dove a volte dobbiamo fare tefillà in fretta perché non c’è tempo. Ora di tempo ne abbiamo tanto quindi è importante fare tefillà ma farla anche meglio, leggendo le parti che a volte si saltano per fare più in fretta.
Tra poco festeggeremo Pesach, la festa dell’uscita del popolo ebraico dall’Egitto, la festa della liberazione dalla schiavitù. Vorrei ricordare che questa liberazione è cominciata con una tefillà, il primo atto del popolo ebraico che ha portato Dio a intervenire è stata una preghiera che il popolo ebraico ha rivolto a Dio. Da quel momento le cose cominciano a cambiare, comincia quel processo che porterà alla liberazione dall’Egitto.
La tefillà è importantissima. C’è un passo che leggiamo a RoshHashanà e a Kippur, nel rito italiano e ashkenazita, che dice “La teshuvà, il pentimento, la tefillà, preghiera e la tzedakà, l’occuparsi del prossimo, aiutare chi è in condizioni di difficoltà economica, fanno passare il decreto cattivo”. Beh, è l’occasione per mettere in pratica tutte queste cose. Dobbiamo cogliere l’occasione per fare teshuvà, per farci un esame di coscienza e chiederci che cosa c’è di giusto e di sbagliato in ciò che facciamo nella nostra vita. Dobbiamo pregare con molta kavvanà, con molta concentrazione. Dobbiamo aiutare il prossimo; una mitzvà fondamentale sempre e particolarmente adesso, anche perché nelle situazioni di crisi è ancora più difficile per chi ha delle difficoltà economiche. Dobbiamo quindi occuparci proprio in queste situazioni delle persone che sono in difficoltà.
Dopo di che dobbiamo fare qualcos’altro. Dobbiamo continuare la nostra vita ebraica, nei limiti delle condizioni che ci vengono imposte per tutelare la nostra salute, ma continuare in ogni modo, l’osservanza delle mitzvòt, continuare lo studio della Torà anzi migliorarlo, abbiamo l’occasione di studiare per conto nostro, abbiamo tempo per farlo.