di Alfonso Sassun
Torà, Midrash, Qabbalà… Le fonti dell’ebraismo raccontano la Menorà fisica e quella spirituale: luce, mistero, rivelazione
La menorà rappresenta uno dei tre elementi che Moshè ebbe difficoltà a comprendere (rappresentata dalla lettera mem iniziale del suo nome). Il midrash ci racconta che, non riuscendo Moshè a realizzarla, Dio gli fece vedere una menorà di fuoco. E infine, visto che Moshè ancora non riusciva a comprendere come costruirla, Dio gli disse di gettare il blocco di oro necessario per la sua realizzazione e la menorà si fece da sé.
Come mai la menorà è così difficile da capire e da realizzare anche per una figura di assoluto spessore e preparazione come Moshè?
Per incominciare, vediamo dove era collocata, prima nel Mishkan – Tabernacolo – e nel Bet Hamikdash, dopo, a Gerusalemme. La menorà era situata fuori dal Kodesh ha-Kodashim, nella zona così detta Kodesh. Lasciando alle spalle il Kodesh ha-Kodashim, la menorà era situata a destra; di fronte vi erano le tavole con i dodici pani di presentazione (Lechem ha Panim), in mezzo il mizbeach (l’altare d’oro). La menorà rappresenta quindi la luce spirituale in contrapposizione alla materialità rappresentata dai pani. La Torà ci vuole quindi inviare subito un primo messaggio, ovvero che la nostra tavola deve essere sempre illuminata dalla luce della Torà e cioè deve essere una tavola kasher.
La menorà racchiude in sé però un segreto ancora più profondo: secondo i cabalisti Dio ha guardato nella menorà e ha creato il mondo.
Che cosa significa ciò?
La menorà può essere “letta”, per così dire, secondo una dimensione orizzontale e secondo una dimensione verticale.
Nella sua dimensione orizzontale la menorà ha sette braccia. Le fiammelle puntavano tutte verso il ramo centrale. Le braccia si numerano a partire da destra verso il centro (1, 2 e 3) e a partire da sinistra verso il centro (4, 5 e 6); il braccio centrale è il braccio numero 7.
Ciascun braccio a destra del ramo centrale ha un suo corrispondente con un braccio a sinistra del ramo centrale stesso e quindi è possibile spostarsi da un braccio all’altro percorrendo i semicerchi che costituiscono la struttura della menorà. Ciascuna delle braccia rappresenta così, per esempio, uno dei giorni della creazione. Il primo giorno (luce spirituale) è in corrispondenza del quarto (luce materiale), il secondo giorno (separazione delle acque) è in corrispondenza del quinto (volatili e pesci) e il terzo (terra ferma e vegetazione) è in corrispondenza del sesto giorno (animali e uomo).
Muovendosi sui semicerchi, di cui abbiamo detto, si trovano delle corrispondenze stupefacenti. Facciamo un esempio: il secondo giorno si trova in corrispondenza del quinto. Nel secondo giorno Dio ha separato le acque di sopra (cielo) da quelle di sotto (mare). Nel quinto giorno ha creato i volatili e i pesci. La relazione è chiara! I volatili volano in cielo e i pesci vivono nei mari. E così via. Tutti i giorni della creazione puntano al braccio centrale ovvero quello che rappresenta lo shabbat, che è la sintesi di tutti i giorni della creazione.
Ma sulle singole braccia della menorà si possono anche far corrispondere le feste del calendario ebraico a partire da Rosh HaShanà (ed escludendo solo Chanukkà che è la festa della menorà per antonomasia).
La prima festività (Rosh HaShanà) è in corrispondenza di Tu Bishvat (capodanno degli alberi; Yom Ha-Kippurim (Kippur) è in corrispondenza di Purim; Sukkot è in corrispondenza di Pesach. Anche qui si possono trovare delle correlazioni tra le singole feste ebraiche.
Facciamo un esempio: sul secondo braccio si trova Yom Ha-Kippurim (Kippur) e, in corrispondenza, sul quinto braccio abbiamo la festa di Purim. A parte una prima relazione lessicale (kippur è ke-purim ovvero come Purim) possiamo notare che quello che a Kippur c’è a Purim manca, in un rapporto speculare. A Purim si legge la Meghilat Ester nella quale non appare mai il nome di Dio. A Kippur il Cohen Gadol (Sommo Sacerdote) entra, quale unica occasione dell’anno, nel Kodesh ha Kodashim, e pronuncia il nome di Dio nella sua massima estensione. A Purim si digiuna il giorno prima ed è mitzvà fare una seudà (un pasto) importante durante Purim. A Kippur i maestri ci insegnano che è mitzvà mangiare bene il giorno prima (è come se una persona digiunasse due giorni) e si digiuna il giorno successivo.
Tutte le feste puntano, anche in questo caso, verso il braccio centrale che rappresenta la festa di Shavuot – il Matan Torà: la sintesi di tutte le nostre feste.
Vediamo adesso cosa accade se consideriamo la dimensione verticale della menorà.
La menorà era alta 18 tefachim. Ogni tèfach era pari a circa 10 centimetri. A livello di ogni tèfach è possibile far corrispondere le 18 berachot di Elohai Neshamà da un lato o le 18 berachot della Amidà dall’altro. A livello delle fiammelle, i maestri fanno corrispondere la berachà della Netilat Yadaim da un lato e la diciannovesima berachà della amidà (laminim) dall’altro.
Anche in questo caso possiamo relazionare le varie berachot sui due lati e sui vari livelli di altezza.
Ma c’è di più: il salmo 67 viene spesso riscritto nella forma della menorà. Il salmo è composto da 49 parole che vengono divise in 19 a destra del braccio centrale, 19 a sinistra e 11 sul braccio centrale. Portiamo anche qui un esempio: le tre lettere finali delle parole a destra del ramo centrale danno la parola zom (digiuno) che ha lo stesso valore numerico (136) della parola mamon (denaro) e della parola kol (voce). Il digiuno, cioè la teshuvà, il denaro, cioè la zedakà e la voce, cioè la tefillà sono le tre attività che possono sovvertire un decreto negativo.