di Roberto Zadik
E’ passato un mese dalla scomparsa di Rav Jonathan Sacks, perfetta sintesi di religiosità, spessore intellettuale e luce della contemporaneità non solo ebraica ma internazionale.
A questo proposito in questi giorni nonostante la vitalità della festa di Channukà venga almeno parzialmente ostacolata dalla pandemia del Covid, su Zoom domenica 13 dicembre si è tenuta l’importante serata di Kesher in ricordo di questo “gigante” dell’ebraismo odierno. Organizzata in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura, l’iniziativa è stata trasmessa su Zoom rivelandosi comunque estremamente partecipata e stimolante.
Parte centrale della serata, i discorsi, le emozioni e i ricordi, non solo a parole ma anche attraverso brevi video in cui Rav Sacks tiene alcuni brevi interventi. In tema di saluti istituzionali l’ Assessore alla Cultura Gadi Schoenheit ha rievocato la partecipazione di Rav Sacks tre mesi fa alla Giornata della Cultura e la conclusione del suo discorso sul Coronavirus che evidenziava la stabilità dei beni spirituali e la precarietà di quelli materiali e l’importanza della condivisione dei primi più che dei secondi.
Il presidente della Comunità Milo Hasbani invece ha ricordato la sua esperienza al seminario a Varsavia dove “ebbi il privilegio di conoscere Rav Sacks comprendendo come avesse a cuore i concetti di educazione, la scuola e la Comunità. Mi colpì il suo sguardo intenso, il suo modo di fare tranquillo che ispirava pace”. Successivamente al centro dell’iniziativa, gli interventi di tre importanti rabbini come il Rabbino Capo della Comunità ebraica milanese Rav Alfonso Arbib, il Rabbino Capo di Roma Rav Riccardo Di Segni e il Rabbino e docente Rav Alberto Somekh. Tutti e tre si sono concentrati sui pensieri di Rav Sacks in materia di Channukà ma anche di etica, di morale e di identità ebraica al centro dell’ultimo intervento di Rav Arbib. Preceduti dai canti festivi di Channukà, subito dopo è iniziata la serie di interventi. Primo fra tutti è stato il Rabbino Capo di Roma, Rav Di Segni che ha riassunto efficacemente il pensiero di Sacks su Channukà. “Per lui elemento fondamentale della festa non era la vittoria militare sui Greci che definiva passeggera e durata poco prima dell’arrivo della potenza romana” ha evidenziato Di Segni ma il “trionfo religioso in cui non siamo mai crollati perchè la nostra esistenza è rimasta grazie al nostro impegno culturale”. Come sottolineava Sacks questo evidenzia che “i nostri veri eroi sono i Maestri perchè la nostra vera battaglia è l’educazione e per difendere una civiltà ci vogliono gli educatori”. Oltre a questo il Rabbino Capo di Roma ha evidenziato una serie di elementi messi in relazione fra loro da Sacks per spiegare l’importanza di Chanukkà e della tradizione ebraica. A questo proposito egli disse che “La civiltà greca è improntata sulla tragedia mentre quella ebraica sulla speranza. Essa “confonde la felicità viene col piacere e il futuro con il presente” mentre al contrario “la tradizione ebraica che si basa sulla speranza e sulla spiritualità. Nel suo ricordo il Rabbino ha rievocato l’incontro fra Rav Sacks e Gorbaciov nel 1991 proprio in occasione dell’accensione dei lumi di Channukkà “ alla fine dell’Impero Sovietico” come ha evidenziato. “Gorbaciov gli chiese cosa stesse facendo in quel momento” ha raccontato Rav Di Segni ed egli gli ha risposto che “anticamente c’era una civiltà che cercava di distruggerci ma non ce l’ha fatta e stiamo festeggiando per questo motivo”. Poco dopo ha aggiunto “lo stesso è accaduto nell’ex Unione Sovietica e ringraziamo anche lei che ha contribuito ad accendere questa fiammella. Gorbaciov guardò Sacks e arrossì”. Tematica conclusiva del discorso è stata l’importanza del popolo ebraico nella storia e della luce che “ne può accendere mille e lo stesso discorso vale quando si fa tzedakà che ci si arricchisce e non ci si impoverisce mai.” In conclusione egli ha ricordato come Rav Sacks abbia definito il popolo ebraico come “Il Ner Tamid dell’umanità che non si spegne mai”. Successivamente dopo la trasmissione di un breve video è toccato a Rav Somekh che ha citato diverse fonti bibliche. Dalla Mishnà dove come ha spiegato“ci sono pochissimi riferimenti a Channukkà”, ai Profeti alla Torah. Proprio riferendosi alla connessione fra questa festa e Esau egli ha messo in luce che questa festa rappresenta “la lotta contro Edom la sua eredità e il suo dominio”. Addentrandosi nelle regole halakhiche dell’accensione di lumi e sulla “pubblicizzazione del miracolo” Rav Somekh ha collegato Channukà alla Torah e specificamente alla parashà di Toledot allo scontro fra i due gemelli in cui “Yacov afferra suo fratello per il piede”. Questo rappresenta “il fatto che Esaù dominerà per primo ma la sua potenza si esaurirà e comincerà il dominio di Yakov e dei suoi valori che sarà eterno.” Egli ha poi proseguito “il tallone rappresenta le qualità innate delle persone mentre la mano rappresenta il libero arbitrio. Infatti Esaù era succube della propria impurità, ma alla fine Yakov riesce a prevalere su di lui”. In conclusione Rav Arbib ha citato due interventi di Rav Sacks sulle parashot di Kedoshim e di Ki Tavò “che penso siano facilmente collegabili a Channukkà” ha ricordato approfondendo il tema dell’identità ebraica”. “Fino al 19esimo secolo gli ebrei erano quel popolo che aveva un patto con D-o ma questo concetto comincia a vacillare a causa del processo di secolarizzazione e per una parte degli ebrei il rapporto con D-o diventa poco o per nulla rivelante”. Proseguendo con la riflessione sull’identità ebraica e sul pensiero di Rav Sacks in materia, Rav Arbib ha citato il libro L’ebreo immaginario dello scrittore francese Alain Finkelkraut che cita “una serie di identità ebraiche”. Una di queste è quella estremamente forte ma discutibile di Benjamin Disraeli Primo Ministro inglese convertito dal padre al cristianesimo che disse “la religione conta poco ciò che è fondamentale è la razza”. Questa idea ha detto il Rav “era molto diffusa in diversi ebrei a quell’epoca anche se “oggi nessuno può dire una cosa del genere chiaramente Disraeli non poteva sapere cosa sarebbe successo in futuro”. “Oggi invece che di razza si parla di etnia”ha proseguito riferendosi a quelle classificazioni di “lingue ebraiche come Yiddish o Ladino o di musica o cucina ebraica che però derivano dalla cultura circostante più che dal mondo ebraico. Questo tipo di identificazioni sono per il Rabbino Capo estremamente fuorvianti perchè “scambiano per qualcosa di ebraico l’influsso del mondo esterno”. L’identità ebraica invece è “essere separati dagli altri” come dice nella parasha di Kedoshim e l’ideale sarebbe “essere come D-o che è presente nel mondo senza appartenere ad esso”. “La condizione ebraica” secondo Rav Arbib che cita il pensiero di Rav Sacks “è non essere schiavi di questo mondo e delle sue mode sia di abbigliamento che culturali mantenendosi a distanza di qualunque moda culturale”. Citando la Torah Rav Arbib ha ricordato Abramo quando disse “sono straniero e residente e questo è il fondamento dell’identità ebraica aspirando alla santità essendone testimoni della santità di D-o dimostrando che c’è qualcosa al di fiori di noi”. Parlando della parasha di Ki Tavo e del momento delle primizie da portare al Santuario, in tema di identità Rav Arbib ha ricordato l’importanza delle domande “chi sono, da dove vengo e dove vado” rispondendo con la frase dello storico Chaim Yerushalmi “che la storia ha un valore religioso per il popolo ebraico. Non dobbiamo semplicemente capire quali sono le nostre origini ma da dove veniamo per capire dove bisogna andare”.