di Anna Balestrieri
È stato condotto da Esterina Dana l’appuntamento Kesher di domenica 26 marzo dedicato ad Abraham B. Yehoshua: Gerusalemme, la scrittura e la guerra.
Più di cento ascoltatori hanno assistito alla partecipata conversazione tra la professoressa Dana e il professor Cyril Aslanov, autore di più di duecento articoli su sociolinguistica, storia della traduzione e poetica.
Nel suo consueto tono scherzoso ed entusiasta, Aslanov si è dissociato dal titolo dell’incontro, sostenendo che sia difficile parlare di Gerusalemme e della guerra assieme. I relatori hanno delineato la complessa personalità del recentemente scomparso Abraham Barukh Yehoshua, chiamato anche Boolie, o Aleph Bet Yehoshua dagli israeliani, attraverso un’analisi tematica dei suoi romanzi.
- Ascolta il podcast: Abraham B. Yehoshua e le sue identità, tra letteratura, ebraismo e introspezione
Il primo ad essere affrontato è stato “Il signor Mani“, romanzo complesso e stratificato, che presenta diversi personaggi che si susseguono in cinque storie interconnesse ambientate in epoche e luoghi diversi, in uno stile che, secondo Aslanov, risente del Camus de “La caduta“.
La storia di Yosef Mani è occasione per Yehoshua di parlare della guerra, senza che la stessa si trasformi in uno scontro tra arabi ed ebrei: nello spettacolo bellico di Yehoshua a confrontarsi sono solo britannici e turchi, non arabi ed ebrei.
Gli arabi palestinesi per lo scrittore sono discendenti di antichi ebrei e sono ad essi più connessi di quanto immaginino. Aslanov ci comunica che la base della fantasmagoria di A B Yehoshua esiste anche nella cultura araba, nella quale si crede che gli arabi di Al Khalil (Hebron) abbiano radici ebraiche.
La frattura tra ebrei diasporici ed israeliani è più marcata che tra arabi ed ebrei secondo Yehoshua. Individuato come uno dei punti focali dello scrittore, il grande disprezzo per la diaspora da parte di Yehoshua nasce nelle sue origini paterne in una famiglia sefardita di Gerusalemme dal 500. Attraverso i suoi romanzi, l’autore critica la tesi a suo avviso semplificata e superficiale di Edward Said, saggio troppo superficiale.
Yoseph Mani è un ebreo sefardita camaleontico, che conosce l’arabo ed è considerato dagli stessi gli arabi uno di loro, turco coi turchi. I personaggi di Yehoshua ridono dei britannici che hanno studiato ad Oxford la lingua araba morta e non riescono a comunicare nella vita quotidiana, individuando l’origine culturale e letteraria dei conflitti che dividono gli ebrei e gli arabi e gli arabi tra di loro.
È nel personaggio di Rivlin, un ashkenazita che si vuole orientalizzare per non essere uno stupido orientalista à la Said, che Aslanov individua il doppio di Yehoshua. Nella scena de “La nuora liberata”, in cui parla con Tehilah, la sorella della nuora liberata, Rivlin immagina che lei possa immaginarlo con i capelli ricci, nel ruolo di un “ashkenazita caricaturale che cerca di capire la cultura araba non avendo tutti gli strumenti per riuscire in questo intendimento”. Per Aslanov la biografia di Yehoshua è diametralmente opposta: “in un gioco di identità diventa ashkenazita, mishtaknez”.
Non sono mancati paralleli dostoevskiani nell’analisi di Aslanov: la scena dello schiaffo al giudice viene paragonata alla scena de “I demoni” che ha per protagonista Stavrogin. Nella lettura di Dana c’è la polifonia bachtiniana delle voci come analogia a Dostoevsky.
Un’analisi attenta del tema del Monte del Tempio nel suo ultimo libro Ha-Miqdash Ha-shlishi (Il Terzo Tempio) è stata fornita dallo stesso Aslanov sulle pagine di Mosaico.