di Sofia Tranchina
L’europeo moderno che di lunedì cataloga il suo lessico ammissibile, separandolo chirurgicamente da quello inammissibile, è lo stesso che di martedì fa (o farebbe) a pugni per l’ideale – ancor sacro – della libertà di espressione. Non troppo turbato dalla contraddizione, ha una certezza: alcune cose, semplicemente, non si dicono.
La realtà dietro alle parole, in fondo, ossessiona per lo più a una manciata di intellettuali o di attivisti – persone che hanno a cuore un tema piuttosto che un altro; mentre, per gli altri, l’attributo più importante di un’idea è con quali parole questa viene espressa e diffusa.
Ed ecco che, con l’escamotage del politicamente corretto, nello smistamento tra il concesso e il disapprovato, antisemitismo e antisionismo si sono ritrovati a guardarsi negli occhi da categorie opposte, l’uno riflesso nell’altro. E di tanto in tanto, più spesso del necessario, si fanno l’occhiolino. Ma, quando i nodi vengono al pettine, serve qualcuno che sappia risalire alle radici delle idee per sciogliere la matassa lessicale e smascherare i tentativi d’impostura.
Per questo, nella conferenza Kesher “Antisionismo-Antigiudaismo, radici teologiche, storiche e altro”, David Nizza, maskil (sapiente) del Collegio Rabbinico di Milano dal 1987, laureato in lettere antiche e guida di storia ed ebraismo, traccia la nascita e l’evoluzione dei due termini e dei due atteggiamenti, distinguendo innanzitutto l’antigiudaismo, sentimento contro la religione ebraica sostenuto da un’ideologia teologica, e l’antisemitismo, diretto contro gli ebrei in quanto popolo, indipendentemente dalla loro religione (anche in caso di conversioni).
Sulla scia del darwinismo sociale positivista, il mondo colto tedesco del secondo ‘800 ha poi teorizzato il ruolo della razza nelle società europee.
Nel 1850, per dare forma al sentimento antiebraico che già da secoli era presente e documentato in tutto il mondo (ancor prima del cristianesimo e dell’Islam, nel periodo ellenistico e persino nel mondo egizio) il giornalista Whilhelm Marr, non potendo esplicitamente attaccare gli ebrei da un punto di vista religioso, inventa il neologismo Antisemitismo, «dal tono scientifico, distaccato e moderno», preso in prestito dalle teorie linguistiche.
Oggi che, dopo la sconfitta militare e ideologica della Germania nazista, è inammissibile professare l’antisemitismo, è ritenuto più corretto, e pertanto protetto dalla libertà d’opinione, l’antisionismo, un termine che ha preso piede dal 1967 (guerra dei sei giorni) e ancor più dal 1982 (guerra del Libano).
Tuttavia, «dirsi antisionisti vuol dire negare a un solo popolo, e a un solo Stato, quello che si concede come diritto naturale alle altre genti», spiega Nizza. «Il sionismo è un movimento di liberazione e indipendenza nazionale, simile al Risorgimento. Benché sia giusto poter esprimere critiche a un governo discutibile, gli oppositori d’Israele usano il termine antisionismo come “foglia di fico”, per negare – senza essere ostracizzati – il diritto d’esistenza d’Israele, “Stato dei sionisti”».
Nizza fa dunque un excursus sull’antisemitismo cristiano e le sue differenze con quello islamico, mostrando dove l’antisemitismo e l’antisionismo si incrociano, sfociando il primo nel secondo, creando un amalgama di insofferenza antiebraica dura da eradicare dal cuore dell’Occidente.