Cathy Josefowitz, quella vibrazione in grigio e rosa

Feste/Eventi

di Fiona Diwan

Grandi tele vibranti che giocano col contrasto tra i colori grigio e rosa e sulle loro molteplici sfumature. Quadri che sono come muri in movimento, superfici mobili in grado di regalarci uno spazio dalla percezione incerta, instabile ed errabonda come l’identità ebraica, come la vita. Questo ci trasmettono le grandi opere che l’artista Cathy Josefowitz, (ebrea anglo-americana-svizzera, nata nel 1956 a New York che vive tra Ginevra e l’Italia), porta oggi in mostra a ARTBasel 2013, alla Thomas Knoell Galerie e alla FABRIKculture Hegenheim, con due grandi mostre dal titolo Moving walls. Opere che uniscono, in un dialogo serrato, pittura, spazio e movimento.

Non solo di erranza spaziale si tratta, ma anche esistenziale e professionale: Josefowitz è stata ballerina, coreografa, performer e artista, facendo sempre interagire e dialogare tra loro tutte queste esperienze; il tutto unito a un dato biografico sofferto e a una fragilità fisica che ne ha esaltato a dismisura la sensibilità cromatica, spaziale e geometrica. Come se tra la simmetria dei desideri e il disordine dell’esperienza ci fosse la ricostruzione di uno spazio interiore al “calor bianco”, per dirla con Emily Dickinson, quando i cieli cuciti si socchiudono lasciando filtrare un sottile raggio di luce.

Scomodare una rivisitazione nei toni pastello della grande lezione di Mark Rothko risulterebbe quasi banale guardando le tele di Josefowitz. Anche qui c’è dramma; ma anche una ricerca di compostezza euclidea e l’aerea volontà di danzare, celebrando la leggerezza dello spazio come cornice di un corpo che definisce se stesso in relazione al mondo che lo abbraccia. Non a caso, le due mostre di Basilea sono state allestite proprio con una vera “messa in scena” ad opera dell’architetto Lorenzo Piqueras, specialista nei grandi allestimenti museali (come ha fatto, ad esempio, con la Sala della Gioconda al Louvre, che è opera sua).

Così, le tele sembrano quasi sgorgare dallo spazio, intessono relazioni con l’ordine architettonico circostante, coi muri, soffitti, suolo, angoli, e si fanno concave o convesse, alla ricerca di una drammaticità sempre ordinata e composta. Così Josefowitz cerca di muovere e commuovere lo spettatore, spazialmente e affettivamente, cercando di sussurrare una percezione dello spazio che sia volo, ballo, coreografia ma anche appoggio, rifugio, riparo.

Cathy Josefowitz, Moving walls, due mostre ad Art Basel 2013, nel mese di giugno, alla FABRIKculture e alla Thomas Knoell Galerie di Basilea.