di Roberto Zadik
A conclusione del programma di interventi e spunti di riflessione sul tema della Diaspora della Giornata della cultura ebraica, domenica 10 settembre si è tenuto lo stimolante confronto fra le sofferte esperienze degli ebrei e degli armeni.
Condotto brillantemente da Vittorio Robiati Bendaud, coordinatore del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia, la serata ha avuto come relatori la regista teatrale Andreè Ruth Shammah, che ha raccontato la sua esperienza famigliare di ebrea di origine siriana fuggiti da Aleppo a Milano, la pluripremiata scrittrice padovana di origine armena Antonia Arslan (nella foto), autrice di acclamate opere come “La Masseria delle allodole” tradotta in film dai Fratelli Taviani che ha descritto le vicissitudini degli armeni, e lo storico e saggista francese naturalizzato israeliano, Cyril Aslanov ,storico, linguista ed esperto di lingua ebraica riconosciuto internazionalmente che si è soffermato sull’importanza della lingua ebraica e sul valore della Diaspora nonostante le sue difficoltà.
Diaspora, un’arma a doppio taglio
A cominciare l’incontro è stato proprio Bendaud che ha descritto vari episodi di sofferenza diasporica e di fuga ebraica dai Paesi d’origine, dalla Torah, citando passi famosi come la cacciata di Adamo e Eva cacciato dal Paradiso fino a Giacobbe e a Giuseppe osteggiato dai suoi fratelli e trasferitosi in Egitto, per arrivare alla Spagna e all’esilio forzato di grandi pensatori come Don Itzhak Abravanel che dopo essere stato consigliere del Re venne espulso come tutti gli altri ebrei.
Diaspora, secondo Bendaud, come “arma a doppio taglio che ha colpito sia gli ebrei europei che mediorientali e nordafricani rivelandosi una costante del popolo ebraico nella storia”. Su questo tema la regista Shammah si è invece soffermata sulle sue vicende famigliari rivelando di essere “nata a Milano dopo che i suoi genitori avevano lasciato la Siria inizialmente intenzionati a emigrare in Giappone”. Addentrandosi in una interessante testimonianza personale la regista e autrice ha rivelato “ la mia famiglia è originaria di Aleppo ma a casa parlavamo francese e italiano e solo mio padre a volte si esprimeva in arabo ma mia madre non voleva e intendeva dimenticare il passato. I miei genitori non ci raccontarono niente delle loro sofferenze e solamente recentemente in queste Giornate della Cultura, a quasi 70 anni, l’anno prossimo, sto riscoprendo le mie radici.”
Arslan: “Molte analogie fra il genocidio ebraico e armeno”
Successivamente Bendaud, presentatore e moderatore dell’incontro, ha passato la parola a Antonia Arslan, raccontando di essere appena tornato da un viaggio in Armenia assieme alla scrittrice e che come gli ebrei anche gli armeni, fra le tante comunanze storiche, dopo lungo tempo hanno avuto finalmente il loro Stato. “Tanti sono i parallelismi fra armeni e ebrei e la loro Diaspora è l’unica nelle tante della storia che si possa avvicinare alla nostra” ha sottolineato. La Arslan ha sinteticamente ricostruito la tormentata storia armena partendo dal fatto che il suo popolo ha avuto numerose peregrinazioni in giro per il mondo, non solo dopo il massacro del 1915 ma anche prima. “Già nell’800” ha reso noto la studiosa “cominciavano le prime vessazioni dei clan dei curdi e in Turchia gelosi della prosperità dei contadini armeni. Nonostante questi episodi, tra il 700’ e il secolo successivo ci furono diversi armeni che divennero molto influenti come politici, dottori, consiglieri del Sultano e ci fu un periodo di rinascita culturale molto fiorente in quel periodo con fitte collaborazioni fra Repubblica di Venezia e popolazione armena”.
Dalla fine dell’Ottocento però, fra Russia e Turchia e altri Stati, dove gli Armeni risiedevano, tutto cambiò e cominciarono varie restrizioni e persecuzioni, povertà e ingenti tassazioni, che portarono alla rovina agricoltori e artigiani.” Carestia, difficoltà economiche, massacri, persecuzioni taciute per troppo tempo che “stanno venendo alla luce solamente negli ultimi anni e che portarono gli armeni” ha detto la scrittrice a emigrare negli Stati Uniti, dove vivono un milione e mezzo di persone, o in Francia o in Russia”. “Eravamo 9 milioni alla fine dell’Ottocento e ora siamo solo una piccola minoranza” ha concluso la Arslan.
Aslanov: “L’ebraico, collante dell’identità ebraica”
Molto importante anche l’intervento di Aslanov che di padre armeno e di madre ebrea lituana, nato a Parigi e poi emigrato in Israele ha messo in luce l’importanza di “difendere l’identità ebraica nella diaspora e la centralità della lingua ebraica che nella storia ha aiutato il popolo ebraico in questo arduo compito”. “In Israele essere ebrei ormai è quasi una banalità tanto è facile, mentre invece” ha detto lo studioso “grandi personaggi come Giuseppe, Ester, il cui vero nome era Hadassah, o il grande commentatore Saadia Gaon e il giornalista ebreo ungherese Theodor Herzl hanno vissuto il precario equilibrio del dialogo fra identità palese e nascosta, fra appartenere al Paese e essere ebrei. Nella diaspora o in città travagliate come Gerusalemme l’identità ebraica si sente maggiormente che in Israele o a Tel Aviv, che per molti versi è simile ad altre grandi città del mondo, più israeliana che non specificamente ebraica”.
Focalizzandosi sull’importanza della diaspora nella storia e nella contemporaneità ebraica e sulle comunanze dell’esperienza ebraica e armena, lo studioso, ha messo in evidenza il valore primario dell’ebraico ricostruendo in sintesi la nascita di questa lingua, prima limitata ai Siddurim e allo studio dei testi religiosi e ora più che mai viva in Israele e non solo. “In passato l’uso dell’ebraico era completamente diverso da oggi e tanti in Europa non lo conoscevano.
Nel 1781 a Berlino in Germania” ha raccontato Aslanov “il filosofo e pensatore ebreo tedesco Moses Mendelssohn decise di avviare l’insegnamento del tedesco agli ebrei locali e di intraprendere l’utopia che essi parlassero perfettamente questa lingua e l’ebraico e dimenticassero lo yiddish. In Russia avvenne invece l’opposto che durante l’Illuminismo ebraico, la cosiddetta Haskalà, che predicava un’idea di abbandono dell’ortodossia religiosa, molti ebrei russi che non conoscevano bene il russo, iniziarono a studiare bene l’ebraico e iniziarono i primi romanzi in lingua ebraica come “Ahavat Tzion” (Amore per Sion) dello scrittore ebreo lituano Avraham Mapu e famoso per essere il primo scrittore in questa lingua. Questo fu un testo fondamentale per il sionismo degli anni a venire”.
In conclusione di interventi, Bendaud, ha spiegato le diverse correlazioni fra la condizione ebraica e quella armena e il ruolo che il massacro armeno ha avuto nella Shoah, quando nella Conferenza di Wansee, Hitler decise di “fare lo stesso con gli ebrei” ispirandosi a quanto era accaduto anni prima in Anatolia quando tedeschi e turchi massacrarono in soli tre giorni dal 24 al 27 aprile 1915 tutta la classe dirigente armena. “Questi due popoli” ha analizzato Bendaud “si sono battuti per la sopravvivenza non con le armi ma con la cultura e con le scuole, dando molto ai Paesi in cui vivevano e questo deve spingerci a una riflessione profonda individuale e collettiva”.