di Roberto Zadik
Anche l’arte come vari aspetti della vita, è stato regolamentato dalla tradizione ebraica che ne ha previsto permessi e limiti, soprattutto per ciò che riguarda le immagini.
Ma cosa si può rappresentare e cosa invece è vietato? Su questo argomento “Immagini permesse e immagini vietate” martedì 22 maggio si è svolta la stimolante serata di Kesher condotta da Rav Della Rocca e che ha avuto come ospiti il Rabbino Capo di Torino, Ariel Di Porto e l’esperto di arte Daniele Liberanome in un approfondimento che ha alternato spunti artistici e religiosi stimolando diverse domande da parte del pubblico. “Si tratta di un tema molto complesso” come hanno ricordato i relatori mettendone in luce divieti religiosi con le relative fonti bibliche e testuali. “Tutto parte” ha specificato il Rav dalla Parashà di Ithrò e dal Secondo Comandamento che vieta di rappresentare Dio con delle immagini ma poi sempre nella stessa sezione si parla del “divieto di associare a Me (Dio) qualsiasi Divinità di argento o d’oro”, secondo la traduzione Di Segni della Torah.
Addentrandosi nelle fonti e nei Maestri, il Rav ha spiegato che esistono nel pensiero rabbinico opinioni più rigide e altre più elastiche in materia di arte. Ad esempio secondo il Nachmanide, il grande maestro spagnolo medievale Rabbi Ben Nachman, il divieto di immagini è solo se si intende adorarle, secondo la proibizione biblica dell’idolatria, una delle più severe di tutta la Torah invece un altro eccellente Maestro come Ovadia Sforno, rinascimentale e italiano, vieta qualunque immagine anche se non a fini idolatrici. Il Rabbino si è lungamente interrogato se esista una arte ebraica o meno specificando che esistono esempi artistici anche nella Torah, con gli artigiani del Santuario, ma tutti finalizzati alla santificazione di Templi e che in passato gli ebrei vennero accusati , da intellettuali come i filosofi Hegel e Kant o il compositore Wagner “di essere incapaci di creare qualunque forma d’arte”. Nonostante questo, proseguendo nella sua avvincente analisi, Rav Di Porto ha menzionato grandi rabbini e pensatori come Rambam che erano molto favorevoli all’arte pur restando fermamente contrario a qualunque forma idolatrica. “L’idolatria è un concetto sfuggente e tutto può essere idolatria”. Nella sua esposizione il Rabbino ha sottolineato come molto si parli dello Shabbat, con “100 capitoli dedicati a questo argomento mentre ben poco viene trattata l’arte, solo nel capitolo 141 dello Shulchan Aruch, codice di legge ebraica.” Sicuramente come ha concluso il Rav “restano fermi alcuni divieti come rappresentare angeli con figure umane”.
L’elemento ebraico nell’arte
Successivamente è stata la volta di Daniele Liberanome che è partito dalla complessità di “definire cosa ci sia di ebraico nell’arte e trovarci qualcosa di simile è difficile.”Analizzando il tema dei simboli e delle raffigurazioni, Liberanome ha elencato una serie di sinagoghe, piene di simboli astrologici, naturalistici, e di simboli come la civetta che era molto usato nel modo antico”. Cosa rappresentare? Una decorazione sinagogale può essere considerata idolatria? La discussione per entrambi gli studiosi resta aperta e complessa al suo interno. “Non c’è una idea chiara di cosa sia l’arte ebraica, né di quale sia l’atteggiamento ebraico verso di essa” ha detto lo studioso e storico dell’arte e “molti temi e stili sono stati presi in prestito dal mondo circostante, soggetti naturalistici, animali e alberi come ben si vede in diverse Meghillot e Haggadot “. “Sebbene nella Torah si parli di due artigiani del Santuario” ha aggiunto “tutto viene sempre inteso in senso religioso e anche la parola Omanut, arte, è creazione del linguaggio moderno e prima non esisteva un termine per definire cosa fosse arte” ha poi ricordato Liberanome. Stando a quanto emerso dalla serata, il confine fra idolatria e rappresentazione artistica sarebbe sottile, ma dipende dall’uso che se ne fa delle rappresentazioni, da come si raffigurano gli esseri umani, meglio con la faccia non ben definita, anche se questo solo secondo alcune opinioni, visto che poi la ritrattistica di rabbini non manca. “Il mondo ebraico” ha poi aggiunto “ha sempre preferito il linguaggio alle rappresentazioni per immagini”.