di Paolo Castellano
«Trump ha riconosciuto un dato di fatto: da anni Gerusalemme è la capitale d’Israele. La decisione del presidente degli Stati Uniti è stata però una mossa pericolosa a livello diplomatico. La diplomazia, che ci piaccia o meno, è anche fatta di ipocrisia. Se la decisione di spostare l’ambasciata non è mai stata presa, ci sarà un perché. Con il suo comportamento, Donald Trump ha voluto sparigliare le carte per vedere se succederà qualcosa di nuovo tra gli israeliani e i palestinesi». Queste sono le parole di Renato Coen, giornalista e inviato in Israele per la rete televisiva Sky TG24, che il 18 dicembre ha dialogato durante una serata organizzata dal Bené Berith con Davide Romano, assessore alla Cultura della comunità ebraica di Milano, durante un dibattito intitolato Gerusalemme capitale di Israele. Ed ora?
Coen ha descritto, in base alla propria esperienza professionale e personale, le diverse sfaccettature della città santa in cui convivono le tre principali religioni monoteiste: «Gerusalemme è popolata da 750mila persone. Un terzo degli abitanti è arabo e un altro terzo è costituito da ebrei non ortodossi». Il giornalista ha poi spiegato che le tre religioni convivono pacificamente nella città, ma ha specificato che gli abitanti di un determinato quartiere faticano a frequentare altre zone metropolitane che non appartengano al loro ceppo culturale: «Gerusalemme è una città che vive realtà parallele. I cittadini si incrociano ma non si incontrano mai. Ho vissuto 6 anni nella città ma non l’ho mai conosciuta totalmente». Oltre alle zone religiose, c’è anche il quartiere istituzionale dove sono presenti gli edifici governativi. Nonostante questo clima pacifico, Coen ha dichiarato che a livello politico “i 3 grandi gruppi non riconoscono la legittimità dell’altro”. La Gerusalemme di Coen è una città fortemente divisa, dove le classi sociali come quelle arabe e degli haredim si rifiutano di votare e, di conseguenza, di entrare nella dialettica politica democratica di Israele.
Davide Romano ha poi chiesto all’inviato di Sky TG24 se Gerusalemme subisca delle influenze politiche dall’esterno e quanto queste influenze condizionino lo stato d’animo dei gerosolimitani. «L’influenza araba sulla città è deleteria. Nell’ultima assemblea dell’Organizzazione delle nazioni islamiche (OIC), i governanti islamici si sono concentrati su Gerusalemme dimenticandosi dello Yemen, in cui gli sciiti e i sunniti si stanno massacrando, mietendo numerose vittime tra la popolazione civile. Arabia Saudita e Iran si fanno la guerra ma si siedono allo stesso tavolo quando si parla di Gerusalemme». Il giornalista ha poi argomentato che le pressioni esterne provengono anche dal mondo americano: «L’arroganza degli ebrei americani è molto fastidiosa. Credono di essere i padroni della città. Anche l’ebreo di destra sa che deve dividere la sua città con altri gruppi religiosi e conosce la sensibilità degli arabi, ed evita allo stesso modo tutti quei comportamenti che potrebbero innervosirli». Coen ha inoltre affermato che i rapporti con la comunità cristiana sono abbastanza complicati: molti arabi sono cristiani e la Chiesa cattolica cerca di tutelarli appoggiando le loro istanze. «A Gerusalemme i cristiani hanno i posti più belli. Un po’ come a Roma», egli ha detto scherzosamente.
Romano ha poi chiesto se sia vero che il governo israeliano abbia tentato di “giudeizzare” la città santa attraverso i ritrovamenti archeologici. «Israele sta cercando di creare una cinta intorno alla città (parchi, siti archeologici) per non permettere agli arabi di costruire. Per gli ebrei invece è più facile ottenere i permessi per la costruzione di nuove strutture», ha risposto Coen, aggiungendo che secondo lui gli arabi siano di fatto dei cittadini di serie B: «Nei loro quartieri i servizi di posta e della nettezza urbana non funzionano. I rappresentanti arabi si dovrebbero preoccupare più di questi problemi concreti invece di insistere sulla restituzione dei luoghi sacri che sono custoditi con grande cura dal governo israeliano».
Al di là delle questioni interne, Israele è impegnato a rafforzare la sua posizione nella Regione. Lo Stato ebraico ha infatti iniziato a collaborare con alcuni stati arabi, una volta acerrimi nemici degli israeliani: «Netanyahu ha consolidato un’alleanza militare tra Israele, Giordania, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Il mondo islamico ha criticato molto il re saudita per essersi avvicinato agli israeliani. Da un punto di vista economico, Israele è la locomotiva del Medio Oriente. Forse un giorno, come sognava Shimon Peres, lo stato israeliano rappresenterà le idee e le altre nazioni arabe la manodopera nel quadro di una possibile crescita economica dell’area mediorientale», ha replicato Coen.
Davide Romano ha poi spostato il dibattito su altri temi caldi, interrogandosi sulla politica dell’Iran in Libano e sulla posizione russa difronte all’aggressiva politica iraniana. Coen, parlando dell’Iran, ha detto che le schermaglie con Israele ci saranno sempre. Egli ha inoltre parlato di uno “scontro endemico” che oggi si concretizza con degli attacchi mirati, da parte dell’esercito israeliano, verso target militari iraniani. «In Libano c’è l’esercito illegale di Hezbollah che è 4 volte più forte di quello statale. Non credo però che Israele possa sacrificare i suoi militari per un’eventuale invasione del Libano. Tale scelta sarebbe troppo sanguinosa».
Nella parte conclusiva del dibattito, Coen ha parlato anche della leadership di Putin: «In Medio Oriente la Russia ha coperto un vuoto dopo la ritirata degli Stati Uniti. Agli USA, da quando sono in grado di prodursi da soli il petrolio, non interessano più i siti petroliferi orientali. Putin al contrario è un produttore di petrolio e con la sua politica sta tentando di mantenere stabili i prezzi dei barili di petrolio». Il giornalista di Sky TG24 ha infine terminato il suo intervento criticando le attuali politiche del governo Netanyahu: «Israele deve investire sulla pace. Forse è l’ora di cogliere questa opportunità, ma Israele attualmente non ha dei buoni governanti. La classe politica israeliana non ha coraggio e vuole soltanto stare al potere: i politici alimentano un sentimento di incertezza che blocca il Paese».