di Ilaria Myr
“Vittime nel Paese degli eroi” è il titolo della conferenza che lo storico francese Georges Bensoussan terrà domenica 18 settembre alle 11.30 nella Sinagoga centrale di Milano durante la Giornata europea della cultura ebraica.
«Voglio dimostrare al pubblico che l’impressione che la memoria della Shoah sia sempre stata centrale in Israele fin dalla sua nascita non è corretta – spiega Bensoussan a Mosaico -. Dal 1945-48 la memoria della Shoah in Israele era invece molto discreta: cercherò quindi di affrontare il tema del perché i primi israeliani hanno parlato così poco della Shoah e perché lo consideravano un ricordo vergognoso e, soprattutto, come si è passati da una memoria vergognosa a una memoria centrale come è oggi».
Fra le tappe che hanno portato a questa presa di consapevolezza c’è sicuramente il processo Eichmann del 1961, in cui per la prima volta i testimoni sono stati ascoltati. «Ma ci sono anche la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e quella del Kippur del 1973 – continua lo storico -. Tutti momenti in cui è stato risvegliato il senso di precarietà dell’esistenza ebraica, che invece avrebbe dovuto essere finito con il sionismo e la nascita dello Stato di Israele. Cercherò quindi di spiegare perché si è arrivati a questa memoria della Shoah e l’effetto che ha sul futuro dello Stato di Israele: un effetto di delegittimazione del sionismo, nel momento in cui è sempre più diffusa la giustificazione che la nascita di Israele sia stata determinata dalla Shoah. Questo è totalmente falso storicamente, perché è il sionismo, con le varie alyiot che si sono seguite negli anni, a essere la vera radice dello Stato ebraico».
Per quanto riguarda, poi, la differenza fra la memoria della Shoah in Israele rispetto alla diaspora, spiega: «In Israele essa fa parte della storia nazionale, come l’espulsione dalla Spagna, come grandi pogrom del XVII sec, come quelli russi del XIX sec, come la condizione dei dhimmi nel mondo arabo: fa parte della storia del popolo ebraico e costituisce l’identità ebraico-israeliana. Nella diaspora, invece, è ancora considerata, erroneamente, un fatto che riguarda solo gli ebrei, mentre è invece una tragedia che ha un valore universale, e proprio per questo motivo deve essere tramandata. La Shoah riguarda tutta la condizione umana perché gli ebrei sono stati uccisi in quanto rappresentavano il male sulla terra, eliminati come delle esistenze inutili. Quello che fa la dignità della persona umana è stato annientato a Treblinka, per gli ebrei di allora così come per gli uomini di oggi. Per questo motivo questa storia deve essere continuamente insegnata e commemorata».
Attenzione però a non credere che l’insegnamento della Shoah possa frenare l’antisemitismo, ammonisce lo storico. «Non c’è alcun legame fra le due cose, perché l’antisemitismo è un sentimento di tipo paranoico, contro il quale l’insegnamento, che è basato naturalmente sulla razionalità, e il pensiero non possono fare niente. Anzi: insegnare la Shoah con toni compassionevoli e lacrimosi, dando l’immagine degli ebrei come vittime, rafforza il cliché antisemita che gli ebrei sono nati per soffrire e morire; si alimenta un nuovo ardore nel loro odio».