di Paolo Castellano
È possibile parlare di rinnovamento nella tradizione religiosa ebraica? Una domanda che a primo impatto potrebbe risultare illogica e impossibile ma che riserva sorprese se si analizza la storia millenaria dell’ebraismo. Ne hanno discusso il giornalista Ugo Volli e il Rabbino capo di Milano Alfonso Arbib che il 18 settembre hanno animato, dopo i saluti istituzionali, il primo evento presso la Sinagoga centrale di Milano nell’ambito della 23esima Giornata Europea della Cultura Ebraica.
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Come ha ricordato Ugo Volli, il Novecento è stato un secolo di cambiamento soprattutto a livello intellettuale. “Il rinnovamento nella tradizione” è certamente un tema critico per quanto riguarda l’ebraismo europeo perché “da una parte c’è la memoria e dall’altra la lezione dei maestri che rivendicano con tutta forza la loro autenticità”.
«La Torah che noi leggiamo è esattamente la Torah ricevuta da Mosè al Sinai circa 3500 anni fa senza che sia cambiato niente», ha ribadito Volli.
Per questa ragione lo studio del testo sacro pone un problema: rinnovare nella tradizione significa rispettare una continuità e una fedeltà alla parola scritta; l’innovazione è in tensione con la conformità ai testi sacri.
Ogni anno nelle sinagoghe viene letta per intero la Torah in un ciclo continuo che potrebbe dare la sensazione di un’immobilità religiosa ancorata a un passato chiuso al futuro. Tuttavia, Rav Arbib ha spiegato ai presenti che la tradizione ebraica promuove uno stupefacente senso di rinnovamento pur mantenendosi fedele al libro sacro. «Il testo della Torah non si cambia mai neppure se c’è un errore di trascrittura. Logicamente si sono corretti gli errori di trascrittura per una questione di leggibilità ma non è mai stato modificato il testo della Torah», ha spiegato Arbib.
Citando alcuni maestri del chassidismo, Arbib ha sottolineato che i commentatori della Torah riescono a scovare sempre qualcosa di nuovo nel testo rileggendo magari lo stesso brano per 20 anni. Ciò significa che la Torah ha un’immensa complessità e che in essa è sempre possibile trovare nuovi contenuti: «Studiare a fondo un testo vuol dire rinnovare quel testo. Tuttavia ci sono due modi per fare innovazione; c’è un’innovazione che si ferma alla superficie – come cambiare la copertina a un libro – e un’innovazione che invece va verso il profondo».
Per spiegare meglio il concetto di rinnovamento nella tradizione ebraica, Arbib ha portato ad esempio l’esperienza del movimento educativo, etico e culturale Mussar sviluppatosi nel XIX secolo in Europa. «Questo movimento dice cose profondamente nuove nella tradizione ebraica. Pone l’accento sulle emozioni rispetto all’intelletto. Qualcuno ha detto che il Mussar ha persino legami con la psicanalisi».
«Gli esponenti del Mussar erano infatti convinti di non dire cose nuove poiché era già stato detto tutto. Erano convinti che ogni volta che si studia la Torah si mette il fuoco su qualcosa, e questo fatto non è per niente banale. Ciò può derivare da una necessità personale o legata ai tempi in cui si vive… nella Torah c’è tutto e trovarlo non è affatto semplice», ha spiegato Arbib
Verso la fine del suo intervento, sollecitato da un’osservazione di Ugo Volli, Rav Arbib ha espresso il suo pensiero sulla più grande innovazione degli ultimi due secoli della storia e della cultura ebraica: la costruzione del moderno Stato di Israele.
La creazione di Israele: un sogno millenario che si realizza
Arbib ha detto che la creazione di Israele è stato un fatto sconvolgente per il popolo ebraico: un sogno millenario che si è concretizzato con una svolta incredibile e inaspettata.
“Per il popolo ebraico Israele è stata un’occasione unica per creare una società secondo un’idea di principi ebraici. Questa è indubbiamente un’idea innovativa per la storia ebraica”, ha sottolineato il Rabbino capo.
Prima di Israele, l’ebraismo era essenzialmente una religione e una cultura. Lo Stato ebraico è stato infatti un tentativo di trasformare un popolo e una religione in una civiltà.
«Portare l’ebraismo nella vita quotidiana è una sfida enorme perché l’ebraismo tocca tutto. Nel mondo religioso c’è stata un’opposizione alla creazione dello stato così come nel mondo politico», ha affermato Arbib.
«Nel sionismo abbiamo per esempio una critica ingiusta a quegli ebrei che non reagirono durante le persecuzioni del passato – è stato fatto anche con la Shoah. In sostanza, i sionisti erano convinti che gli ebrei dovessero prendere il destino nelle loro mani. D’altro canto esiste anche una critica religiosa, di una parte dell’ebraismo, che sosteneva che il ritorno in Israele dopo la cacciata fosse una specie di atto di ribellione nei confronti della volontà di D-o. Diversamente, altri religiosi hanno invece interpretato la nascita dello Stato di Israele come il compimento della rivelazione divina e l’inizio della liberazione messianica: la fioritura della redenzione che incide sulla storia del popolo ebraico e sul mondo».