di Anna Lesnevskaya
La parola come mezzo del dialogo culturale, ma anche come strumento per veicolare l’odio. Il potere della parola, mai da sottovalutare, è stato questo il tema centrale degli autorevoli interventi al Tempio Maggiore di via Guastalla nella mattina del 18 settembre. Ed è proprio in questa chiave che Milano, la città capofila in Italia della 17esima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica, ha scelto di declinare il tema di quest’anno, “Lingue e dialetti ebraici”. Ospite d’eccezione alla SinagogaCentrale, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che ha accolto la sfida del Rabbino Capo di Milano, rav Alfonso Arbib, accettando di parlare del significo della parola “pace”, shalom.
Prima di affrontare questo tema complesso davanti al numerosissimo pubblico accorso al Tempio, il capo delle Forze Armate italiane, insieme al sindaco di Milano Giuseppe Sala e l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno, ha visitato la mostra “Grand Tour. Viaggio nell’Italia ebraica”, accompagnata dal suo ideatore e curatore, fotografo Alberto Jona Falco. “Testimonianza importante di una lunga storia ricca di cultura che si intreccia con la storia d’Italia”, ha voluto scrivere nel libro dei ringraziamenti il ministro, affascinata dalle immagini del patrimonio ebraico in Italia, da Nord a Sud, raccolte nei locali del Tempio.
Le parole del dialogo per fermare l’odio in rete
Davanti alla platea gremita di rappresentanti delle autorità militari, civili e diplomatiche, tra cui il Console Generale degli Stati Uniti a Milano, Philip T. Reeker, il vice-assessore alla cultura della Comunità ebraica di Milano, Gadi Schoenheit, ha letto il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, indirizzato alla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni. “Sono grato a questa iniziativa che accresce la civiltà del nostro Paese, affinché dopo le pagine nere del Novecento, si possa continuare a lavorare insieme al cantiere della pace e dell’amicizia”, ha ribadito il Capo dello Stato.
Il sindaco Sala ha voluto sottolineare come la Comunità ebraica sia “da tempo interlocutore prezioso” per l’amministrazione comunale e si è augurato che “la vostra grande comunità” possa “continuare a dare l’esempio” ad altre minoranze culturali e religiose milanesi. “Milano è una grande città contemporanea, dove le pratiche per la buona convivenza sono radicate, ma è necessario lavorare tutti insieme per garantire il clima di pace”, ha messo in guardia l’inquilino di Palazzo Marino, paventando “inaccettabili rischi, che derivano dall’ignoranza”, a cui far fronte.
Tema, questo, che ha riecheggiato nell’intervento dell’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, che ha portato il saluto del Governatore Roberto Maroni. “Il dialogo, la parola, il capire le parole diverse” è, secondo l’assessore, “l’unica chiave che ci consentirà di vincere di fronte al fanatismo religioso che ci vuole riportare tanti secoli indietro”.
Cultura come momento di incontro
La testimonianza di amicizia trasparsa dalle parole del sindaco di Milano ha emozionato il co-presidente della Comunità ebraica milanese, Milo Hasbani, che ha voluto ringraziare tutte le autorità italiane. “La nostra comunità è sempre stata molto integrata e abbiamo dato ripetutamente la nostra disponibilità a collaborare”, ha sottolineato. Ha dedicato poi un pensiero alla professoressa Paola Sereni, scomparsa recentemente, e che aveva sempre contribuito all’organizzazione delle Giornate Europee della Cultura Ebraica a Milano. “Grazie per la simpatia e l’affetto che Milano ci ha riservato ancora una volta”, ha detto Raffaele Besso, co-presidente della Comunità ebraica di Milano, insieme a Hasbani.
“Oggi un’azione semplice come una passeggiata culturale diventa l’occasione per un momento di incontro, di dialogo e di un confronto positivo”, ha spiegato la presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni. La presidente ha ricordato l’importanza della lingua che è “soprattutto l’identità”. Ha evidenziato come le due parole “identitarie e forti” dell’ebraico siano quelle di “shalom” e di “D-o”, una quotidiana, l’atra invece intima. Oggi, tuttavia, ha ricordato, le parole scritte in rete servono anche a diffondere l’odio. “Se riusciamo a esprimere in lingue diverse i nostri valori comuni, la parola ‘shalom’ diventerà universale”, ha auspicato Noemi Di Segni, difendendo un’integrazione che non rinneghi l’identità culturale di un popolo, come è stato possibile per gli ebrei che da “millenni convivono con altre culture”.
“Per fare la pace bisogna avere il cuore spezzato”
Ad introdurre gli interventi chiave della mattinata, l’assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano, Davide Romano.
Il rav Arbib ha voluto indagare nel suo contributo il lato oscuro della parola che “può essere strumento dell’odio terribile”. “Quando parliamo della Shoah, dimentichiamo che è stata preceduta da un diluvio di parole”, ha ricordato il Rabbino Capo di Milano, citando il caso del giornale francese antisemita La Libre Parole che ha avuto un ruolo decisivo nella vicenda Dreyfus.
Però, anche quando la parola diventa uno strumento positivo del dialogo, tutto è complesso, ha continuato il rav Arbib, citando l’esempio della Septuaginta, la traduzione della Torah in lingua greca. “Nel momento in cui traduciamo qualcosa lo adottiamo e quindi rischiamo di tradire il significato originale”. L’importante è quindi non superare il limite per evitare falsificazioni e, soprattutto, “cercare un terreno comune”, perché “senza conoscersi non è possibile nessun confronto culturale”.
Parlando del significato della parola “shalom”, il rav Arbib ha citato un importante indicazione contenuta nel Libro di Bemidbar (Numeri), dove in un passo il nome di D-o contiene una Waw spezzata. “Per fare la pace, bisogna mettere in conto di avere il cuore spezzato, non la si fa rimanendo rigidi sulla propria posizione” – ha ribadito il Rabbino Capo di Milano.
“Ricomporre il mondo lacerato dai conflitti”
“La radice di ‘shalom’, pace in ebraico, definisce il concetto di completezza, – ha esordito il ministro Pinotti. – Non ci può essere completezza in un mondo lacerato dai conflitti e quindi è importante lavorare perché possa ricomporsi”. Ha citato poi le stragi compiute dall’Isis e l’odio che viene espresso attraverso la condivisione su Internet dei filmati sanguinosi delle esecuzioni. “In questi ultimi anni assistiamo all’esplosione di antisemitismo in rete, – ha continuato il ministro. – Per quanto pensiamo che il male sia superato, questo ci insegna che non bisogna mai abbassare la guardia, perché il male si riproduce e va fermato. Per questo esistono le forze armate”.
“Noi stessi dobbiamo diventare portatori di giustizia e libertà, che sono i principali strumenti di pace, – ha ribadito il titolare della Difesa. – Il passaggio da considerare l’altro come diverso a vederlo come nemico è breve”. La Pinotti ha ricordato poi l’impegno dell’Italia per promuovere la pace nelle sue varie missioni militari e umanitarie, ma anche come mediatore, ad esempio durante la guerra del Libano del 2006. E ha concluso, citando la poetessa americana di origini ebraiche, Eve Merriam: “Sogno di dare luce a un bambino che chiede: ‘Mamma, che cosa è la guerra?’”
A conclusione di una mattinata così intensa, la lettura di un testo di Norman Stillman, docente di Storia e Lingue del Vicino Oriente all’Università di Oklahoma, intitolato Quando gli ebrei parlavano arabo. Lo studioso, che non è potuto essere presente, ha esaminato nell’intervento la vicenda degli ebrei del Medio Oriente e del Nord Africa e la loro lingua, il giudeo-arabo. A leggere il testo, l’avvocato Claudia Shammah, con il commento di Vittorio Bendaud.
Alla fine della mattinata tutti i presenti hanno potuto partecipare ad una visita guidata alla Sinagoga Centrale di Milano e vistare la mostra “Grand Tour. Viaggio nell’Italia ebraica”.