Gli Accordi di Abramo: premesse e prospettive in un dibattito dell’AMPI

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di Nathan Greppi
Gli accordi che Israele ha recentemente siglato con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein hanno sollevato molti interrogativi sia sul processo che ha portato nel tempo a questo risultato sia alle ripercussioni future di tali accordi. Se ne è discusso lunedì 5 ottobre in una diretta Facebook organizzata dall’AMPI (Associazione Milanese Pro Israele), intitolato proprio Gli Accordi di Abramo.

L’incontro, moderato dal vicepresidente AMPI Alessandro Pecoraro, è partito interrogandosi proprio sui retroscena e i possibili sviluppi degli accordi. Renato Coen, giornalista e responsabile esteri di Sky TG24, ha spiegato che “il rapporto tra Israele e i paesi del Golfo non nasce adesso. Tra loro non c’è mai stato un vero conflitto, tanto che chiamarla ‘pace’ è abbastanza improprio.” Ha ricordato che gli EAU e il Bahrein già da anni stavano facendo passi avanti, permettendo ai giornalisti israeliani di mettere piede nel loro territorio e invitando Israele a partecipare ai trattati internazionali. Ciò nasce per “una fortissima contrapposizione nei confronti dell’Iran, […] e uno sviluppo economico che necessita tutta una serie di relazioni internazionali,” ad esempio per quanto riguarda il turismo, cresciuto molto in Bahrein in anni recenti.

Quella che si è creata è “una situazione ‘win-win’, sul cui sfondo restano i palestinesi, e ciò fa capire come l’ANP e Hamas siano ormai marginali all’interno dello stesso mondo arabo. Ciò però comporta anche un pericolo per Israele, poiché avendo i paesi sunniti abbandonato i palestinesi li danno in braccio all’Iran.” Ha aggiunto che la politica estera UE è stata fallimentare nei rapporti con il Medio Oriente, “manca di strategia,” tanto che i paesi arabi che vogliono avere rapporti con l’Occidente lo fanno con gli USA, Israele e singoli paesi europei (soprattutto Francia e Germania).

Come sono stati visti invece gli accordi dagli israeliani? Anna Mahjar Barducci, scrittrice italo-marocchina che vive in Israele, presidente dell’associazione Arabi Democratici Liberali, ha spiegato che “la popolazione ha ben accolto gli accordi, vi ha visto un’apertura verso un mondo a cui non aveva accesso. Per quanto riguarda la sfera politica, il conflitto con Netanyahu ha influito molto sulla percezione, perché la sinistra israeliana non ha voluto riconoscere l’importanza dell’accordo per non dargli una vittoria politica.” Secondo lei, però, “Netanyahu non ha facilitato la situazione, né con la sinistra né con il centro, tanto che non ha portato alla cerimonia a Washington né Gantz né il Ministro degli Esteri Ashkenazi, del partito Blu e Bianco.”

Per quanto riguarda le reazioni degli arabi israeliani, ha spiegato che “possiamo elencare due fazioni: quella islamica contro l’accordo, e i partiti nazionalisti arabi nella Knesset, anch’essi contrari agli accordi che vedono come un tradimento della causa palestinese, sebbene loro stessi a suo tempo firmarono gli accordi di Oslo. Anche il mondo palestinese ha reagito male, Abbas ha detto che è stata una pugnalata alle spalle, tanto che sta cercando da fare un fronte comune con Hamas contro l’accordo.” A differenza di Coen non vede una vera divisione tra mondo sciita e sunnita, perché contro gli accordi ci sono anche quei paesi, come la Turchia e il Qatar, che appoggiano i Fratelli Musulmani, nemici giurati dei sauditi e dei loro alleati.

La percezione degli accordi tra gli ebrei della diaspora è stata “accolta tendenzialmente bene”, ha detto il presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) Simone Santoro. “Ho avuto modo di confrontarmi con i miei equivalenti europei, la diaspora ebraica giovanile ha benvisto questo risvolto, soprattutto per quanto riguarda l’opinione pubblica. Ci sarà un riflesso di questa mutante opinione pubblica anche in Europa, che in merito al conflitto arabo-israeliano è restia a un’evoluzione. L’Europa è impregnata di una dicotomia ‘Davide contro Golia’ nell’assistere gli ultimi, dove però tendono a vedere i palestinesi nella parte di Davide. Ci sono movimenti molto a sinistra che non hanno posto l’accento sui lati positivi degli accordi bensì su ‘E i palestinesi?’, e viceversa ci sono realtà più a destra che hanno posto l’accento sulla figura di Trump quale mediatore. Questi sono estremi, ma la maggior parte dell’ebraismo italiano ed europeo ha benvisto gli accordi.”

Ha concluso dicendo che in seno all’ebraismo “stiamo virando verso un’idea che forse la pace con i palestinesi, o comunque un vivere tra vicini, debba venire da una rivoluzione del pensiero.”

E questo è un altro quesito: che tipo di pace dobbiamo aspettarci? Davide Romano, giornalista de La Repubblica e già assessore alla cultura della Comunità di Milano, ha provato a rispondere: “Ai giornali piacciono le foto, come con la stretta di mano tra Rabin e Arafat, dopodiché non si interessano di ciò che succede sotto. È chiaro che quella tra loro due non era una vera pace, era una pace “fatta tra le elite”, che piaceva perché sia Rabin che Arafat piacevano a sinistra. In questo caso invece c’è un uomo di destra come Trump che fa una pace tra un Israele guidata da un uomo di centrodestra, Netanyahu, e i paesi arabi. Questa cosa fu presa male da alcuni media, mentre se la stessa pace fosse stata fatta da Obama sarebbe stato diverso.”

“Quello che è importante,” ha aggiunto, “è vedere quello che ci sarà sotto. Al mondo ebraico e a quello arabo non interessano le strette di mano, interessa quello che succede davvero nelle società.” Ha citato come esempi positivi la comparsa di ristoranti e negozi kasher negli Emirati, “è qualcosa di molto più importante di tante strette di mano. Israele ha fatto la pace con l’Egitto, la Giordania e l’Autorità Nazionale Palestinese, ma non è mai stata una pace vera. Gli israeliani andavano volentieri in vacanza in quei paesi, ma si sono visti molto raramente turisti egiziani o giordani in Israele. Non si può pensare di fare una pace solo tra uomini di stato, ma questa deve essere sostenuta dalla società civile.”