Il nuovo antisemitismo negli Usa nell’ultima conferenza Kesher

Feste/Eventi, Kesher

di Anna Balestrieri

Il nuovo antisemitismo negli Stati Uniti: a questo fenomeno è stato dedicato l’incontro Kesher di domenica 19 novembre.

Il saggista, scrittore e analista politico Niram Ferretti ha guidato la conversazione con Lorenzo Vidino, esperto di islamismo in Europa e Nord America. Vidino dirige dal 2015 il George Washington University Center for Cyber and Homeland Security’s Program on Extremism e si occupa, da venticinque anni, di islamismo e in particolare di Muslim Brotherhood, la Fratellanza Musulmana, il raggruppamento terroristico sunnita fondato da Hassan-al Banna di cui lo stesso Hamas è una frangia.

L’antisemitismo trasversale

Parola chiave dell’incontro: trasversalità.

L’antisemitismo in America è evoluto, cessando di essere appannaggio esclusivo delle destre. Una comunità ebraica che dagli anni Cinquanta e Sessanta si era convinta di essere privilegiata in quanto poco esposta al fenomeno, ha dovuto fare i conti negli ultimi decenni con la nascita di nuovi antisemitismi. Un paese in cui non esistevano misure di sicurezza nelle sinagoghe ha visto un’impennata nel “business della sicurezza”. In America gli ebrei sono il 2,5 per cento ma sono vittime di più del 60 per cento degli hate crimes.

L’antisemitismo afroamericano

Un nuovo attore sul campo: l’antisemitismo afroamericano, guidato dal movimento Black Hebrew Israelites (BHI), che rifiuta le definizioni comuni di ebraismo e afferma che le persone di colore sono i veri figli di Israele.  E si spinge oltre, nell’affermazione di un suprematismo nero, in cui afroamericani, ispanici e nativi americani sono identificati come i discendenti delle dodici tribù di Israele. Le frange estremiste del movimento si sono rese responsabili negli ultimi cinque anni di numerosi attentati ed atti di violenza. Un anno fa, il rapper Kanye West si dichiarò un fan di Hitler su Twitter, salvo poi respingere le accuse di antisemitismo dichiarando che tutti i neri sono ebrei, sulla scia della retorica dei Black Hebrew Israelites.

L’antisemitismo di estrema destra

Un “vecchio conoscente” tra i nemici storici degli ebrei è cresciuto in maniera esponenziale nell’ultimo decennio: l’antisemitismo di estrema destra. Soggetti isolati ma provenienti da comunità di estrema destra sono gli autori di attacchi a sinagoghe a Pittsburgh e San Diego. Nell’ultimo decennio in America gruppi slegati tra loro, come il Ku Klux Klan e il gruppo neo-nazista Atomwaffen si sono “uniti” sulle piattaforme social in chiave antisemita. L’assoluta libertà di parola vigente in America, ancor più che in Europa, non permette di arginare le incitazioni all’odio. La censura della deputata palestinese dem del Michigan Rashida Tlaib per aver ripetuto lo slogan “From the river to the sea” è stata accolta con preoccupazione dall’ala moderata del partito democratico, che pure è il partito d’elezione degli ebrei americani. L’equazione ebrei bianchi oppressori e palestinesi non bianchi ed oppressi è di facile comprensione e fa presa su un pubblico di giovani e giovanissimi. La vera battaglia della propaganda oggi, ricorda Vidino, non si svolge tramite la distribuzione di Mein Kampf o Protocolli di Savi di Sion, ma su Tik Tok. Di qualche giorno fa il video di Bin Laden che spiega quanto l’11 settembre sia stato motivato dall’appoggio degli Stati Uniti per Israele.

Marjorie Taylor Greene, vicina a Trump e membro del Congresso di estrema destra, è stata autrice dell’affermazione: “i suprematisti sionisti stanno segretamente pianificando l’immigrazione musulmana in Europa in un piano per superare i bianchi”. Greene è nota per aver “modernizzato” le teorie complottiste contro gli ebrei, attribuendo gli incendi del novembre 2018 in California alla famiglia Rothschild e ai suoi potenti laser spaziali segreti.

Il partito repubblicano rimane tuttavia pro-Israele. La sua importante componente evangelica finanzia lo Stato ebraico nell’idea messianica che la presenza degli ebrei nella Terra Santa faciliterà il ritorno di Gesù Cristo: gli evangelici hanno espresso solidarietà ad Israele dopo l’attacco di Hamas.

L’antisemitismo di sinistra

Con il titolo provocatorio “Come Hamas ha conquistato i cuori e le menti della sinistra americana”, Vidino ha illustrato ai lettori del Wall Street Journal il fenomeno dell’antisemitismo di estrema sinistra, sempre più pervasivo dopo gli eventi del 7 ottobre. I campus delle maggiori università americane, incluse quelle della Ivy League, hanno visto un’ondata violenta di manifestazioni in supporto del popolo palestinese, che si sono spesso trasformate in glorificazioni di Hamas ed aggressioni aperte agli studenti ebrei, culminate nell’assassinio di un giovane in California. L’ombrello del movimento pro-palestinese è molto ampio. Va dal gruppo Students for Justice in Palestine (autore dello slogan “From the river to the sea Palestine will be free) ai marxisti che vedono i palestinesi come la nuova classe operaia. Il supporto alla causa palestinese viene iscritto dal movimento in una più ampia critica al colonialismo, in cui Israele rappresenta l’ultimo residuato del peccato coloniale. In questo filone, l’America stessa è attraversata dalle contestazioni, con il sessanta per cento degli under 25 che vedono i padri fondatori come personaggi negativi, razzisti e schiavisti ed invocano a gran voce l’applicazione di una cancel culture alle strutture che recano i nomi di George Washington, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson.

L’influenza islamista

Molti dei leader dei gruppi islamisti sono stati studenti delle più prestigiose università americane. Il 92 per cento dei professori che si occupano di Medio Oriente negli Stati Uniti e membri della MESA (Middle East Studies Association) aderiscono al movimento di boicottaggio BDS.

Un esempio dell’influenza islamista sul discorso accademico in America è il centro studi Medioriente della Georgetown University di Washington, che forma gli uomini della CIA e del dipartimento di Stato. Creato con venti milioni di dollari dell’Arabia Saudita degli anni Novanta, è diretto da John Esposito, simpatizzante di Hamas e dei Fratelli Musulmani.  Esposito, oltre ad aver partecipato a think tank con dirigenti di Hamas, è coautore con Ibrahim Kalin, capo dell’intelligence dei servizi segreti turchi, del libro Islamofobia: la sfida del pluralismo nel 21° secolo.

Un’università che forgia gli esperti del paese con maggiore peso nella politica globale ha tra i suoi finanziatori il Qatar, sponsor di Hamas. Il paese del Golfo investe decine di milioni di dollari nella Georgetown University, che ha persino un campus satellite a Doha. La domanda se sia opportuno che questi finanziamenti arrivino rimane aperta. Le università in America sono un campo a parte, immune dalle influenze del governo federale.  Il Qatar, peraltro, non è uno stato canaglia, bensì un paese amico, che ospita una base militare USA. La questione economica tocca anche il ruolo della filantropia ebraica, che ha rivisto i propri finanziamenti a fronte delle posizioni tiepide espresse in favore di Israele.  “Le università americane sono corporations che ragionano economicamente”, commenta Vidino.

La nota positiva: gli accordi di Abramo

Vidino ha voluto chiudere con una nota ottimista: “Anche se una visita di cortesia di Netanyahu a Riyad non è imminente, i paesi del Golfo rimangono nell’ottica della realpolitik: si tratta di paesi importanti che sono diventati adulti, non si fidano più dell’ombrello americano dopo le primavere arabe e capiscono la necessità che Israele diventi partner”. Gli accordi di Abramo ne sono una dimostrazione ed è certamente di conforto che nessuno dei paesi che vi ha aderito si sia finora tirato indietro. Le leadership di Bahrein, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (e Giordania) capiscono che Hamas è una pedina iraniana e che loro potrebbero essere i prossimi obiettivi.

Un’ulteriore speranza risiede in un nuovo attore nella politica internazionale: l’India. Dal subcontinente, in buoni rapporti con Israele, potrebbe arrivare un appoggio inaspettato in virtù della storica rivalità con la Cina. Magari tramite un nuovo social network che duelli con Tik Tok.