di Paolo Castellano
Israele è uno dei paesi con il più alti livelli di educazione. Il primato israeliano è stato raggiunto grazie a delle politiche di inclusione e multiculturali che si sono adeguate ai veloci cambiamenti del XXI secolo. Lo Stato ebraico può dunque essere un modello per quegli stati europei, come l’Italia, che stanno sperimentando nuove strategie educative per venire incontro ai bisogni delle nuove generazioni di italiani. Un tema importante che è stato analizzato durante l’incontro Le sfide educative del XXI secolo a confronto tra Italia e Israele, convegno organizzato dall’Associazione Italia Israele di Milano che si è svolto l’8 ottobre a Palazzo Reale. All’evento sono intervenuti Monsignor Pierfrancesco Fumagalli, David Meghnagi, Dalit Stauber, Raffaello Levi, Shalva Weil, Milena Santerini, Umberto Margiotta e Lorenzo De Rita.
«L’Italia è in ritardo rispetto agli altri paesi nel campo dell’educazione», ha chiosato il Prof. e psicanalista Meghnagi che ha criticato i programmi universitari, etichettandoli come “cultura Ikea”: frammenti di saperi che lo studente assembla da solo. «Siamo in un’epoca in cui il tempo sta accelerando. L’intercultura va allora praticata e non solo usata nella retorica. Se non lo facciamo prevale così la morte sulla vita. Dobbiamo rivalutare i progetti interdisciplinari».
La giornalista e moderatrice Chiara Beria Di Argentine ha poi dato la parola a Dalit Stauber, esperta di educazione in Israele e direttore generale per il Ministero dell’Educazione dal 2011 al 2013.
Il sistema israeliano
«L’istruzione è migliorata in Israele negli ultimi 35 anni». L’ex-direttore israeliano ha però spiegato che per continuare ad essere una Start-up Nation, lo Stato ebraico ha bisogno di incrementare il numero dei suoi laureati in materie scientifiche: «Vogliamo migliorare le eccellenze universitarie in campo matematico». La Stauber ha inoltre illustrato ai presenti come Israele abbia organizzato la proposta educativa in base a diversi gruppi che risiedono nel territorio israeliano: «Oggi la società israeliana è diversa rispetto a quella degli anni ‘90 ed è più suddivisa. Abbiamo essenzialmente 4 gruppi: arabi, ebrei secolari, ebrei ortodossi e religiosi. Valorizziamo lo spirito di collaborazione per far emergere le potenzialità degli individui», ha specificato la Stauber.
Il melting pot sembra dunque un elemento importante per le democrazie moderne. «Quando parliamo di multiculturalismo intendiamo l’ideologia attraverso la quale le minoranze hanno un riconoscimento specifico dentro a una cultura politica dominante», ha spiegato Shalva Weil, ricercatrice al Research Institute of Innovation in Education presso la Hebrew University di Gerusalemme. «Israele è come un’insalata in cui coesistono ingredienti diversi. Con i miei progetti ho cercato di dare nuove opportunità formative agli immigrati etiopi e balcanici», Weil ha fatto riferimento al progetto PNIMA che è dedicato al sostegno delle madri immigrate con figli.
L’educazione in Italia
Riguardo alla situazione italiana, Milena Santerini, professore ordinario di Pedagogia presso Università Cattolica del S. Cuore di Milano, ha ribadito che nelle scuole l’integrazione si fa con le persone e non idealizzando dei gruppi. Quello che conta in questo contesto è l’aspetto di unicità di ogni individuo. «L’educazione deve passare anche dal Web. Su Internet cresce forte odio verso gli altri. Dobbiamo contrastarlo non solo sul piano razionale ma anche emotivo», ha dichiarato la Santerini. Umberto Margiotta, titolare della cattedra di Pedagogia, all’Università degli studi di Venezia Ca’ Foscari, invece è convinto che per superare la crisi dell’educazione italiana sia necessario adottare un altro approccio: «Ripensare nuova stagione di universalismi e puntare sulla fioritura delle intelligenze e dei talenti». E ha poi aggiunto: «Io prendo posizione contro ideologia dei gifted children, propinata a tutto il mondo. Se sei figlio di ricchi, finanzieranno il tuo talento. Se invece sei povero, nessuno scommetterà su di te. È fondamentale includere tutti nei progetti educativi perché sono le differenze che arricchiscono le nazioni».