di Michael Soncin
“Noi tutti conosciamo la meravigliosa creatività del filone delle letteratura ebraico-americana del secondo dopoguerra, ma molto spesso non riflettiamo su quello che c’è stato prima di questo periodo di straordinaria emersione alla luce e alla visibilità, sancita poi con i premi Nobel assegnati a Saul Bellow (1915-2005) e a Isaac Bashevis Singer ed è interessante scoprire in realtà che la storia che precede questo grande momento di visibilità è molto lunga, e parte addirittura dalla metà del 1600”. È iniziato così il coinvolgente racconto della professoressa Elèna Mortara Di Veroli durante l’incontro online di Kesher, dal titolo Letteratura ebraico-americana dalle origini alla Shoà, che è anche il nome del suo libro, edito da Litos Lamed, che racchiude un lungo racconto che parte dalla poesia di Emma Lazarus fino alla narrativa di Isaac Bashevis Singer.
Elèna Mortara di Veroli, come ha sottolineato la professoressa Esterina Dana, che ha introdotto l’intervento, è “la massima esperta di letteratura ebraico americana in Italia. Nel corso delle sue ricerche e dei suoi studi ha avuto modo di incontrare personalmente alcuni dei più importanti scrittori ebrei americani del secondo Novecento, tra questi Isaac Bashevis Singer, e Henry Roth”. È stato quindi molto emozionate, sentire il racconto in prima persona dei suoi incontri con questi scrittori. “Nel 2017 – continua Dana – ha curato il primo volume dedicato ai romanzi di Philip Roth (1933-2018) per la collana I Meridiani edita da Mondadori, scrivendo un saggio introduttivo intitolato “Philip Roth, o del vivere in conflitto”. Nel dicembre di quell’anno ha avuto poi un lungo incontro con lo scrittore, nella sua abitazione di New York. L’intervista forse l’ultima rilasciata dallo scrittore è uscita in America nella rivista della Philip Roth Society”.
Dal XVII secolo l’arrivo dei primi profughi ebrei nel Nord America
“Uno dei temi di cui parliamo oggi è quello delle migrazioni verso l’America. Quando è come si sviluppa la presenza ebraica nel Nord America?”, chiede Dana a Mortara. “È il 1654 quando il primo gruppo di profughi ebrei, costituito da 23 persone, approda sulle coste del Nord America, che diventeranno poi gli Stati Uniti. Esattamente giungono a ‘New Amsterdam’, che all’epoca era una colonia olandese, mentre dieci anni dopo, sotto una colonia britannica diventerà invece ‘New York’. È l’inizio di una lunga storia di ondate successive. I primi ebrei erano di origine sefardita”. Mortara ha spiegato anche i momenti della difficile fase iniziale di integrazione che hanno incontrato nel nuovo continente.
“Quando poi nascono gli Stati Uniti nel 1776, gli ebrei sono soltanto 2000. Invece, la seconda ondata di immigrazione inizia a partire dal 1820, e la successiva dal 1848. Erano ebrei che provenivano dai paesi di lingua tedesca, quindi un’immigrazione di tipo ashkenazita, che porta con sé anche una forma di ebraismo di tipo riformato, e di conseguenza una nuova possibilità di bilinguismo tedesco-inglese, sempre poi con l’elemento della terza lingua comune a tutto l’ebraismo: la lingua dei testi sacri”.
Mortara ha spiegato che queste immigrazioni porteranno nel 1880 ad una popolazione di 250.000 persone, ma questo è nulla in paragone a quello che avverrà con le ondate successive a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento fino al 1920, si arriverà a 4 milioni di ebrei in America in una popolazione di 100 milioni. Una proporzione abbastanza notevole, in particolare a New York, che rappresenteranno il 30% della popolazione.
Gli albori in una poesia per la Statua della Libertà
È a partire dall’Ottocento che inizia a svilupparsi la letteratura ebraico americana, in prosa e poesia, anche con la nascita di riviste. Da qui Mortara inizia ad illustrare a grandi linee le tappe più significative della letteratura ebraico-americana, ricordando Penina Moïse che nel 1833 pubblica una raccolta di poesie, che è molto probabilmente il primo volume pubblicato da uno scrittore ebreo americano, pur tenendo conto che altra letteratura era già presente sulle riviste; oltre ad una pubblicistica di tipo politico-religioso, che includeva tentativi di ottenimento di diritti che non sempre erano garantiti.
Ma se c’è una figura in qui si riassumono i vari momenti della storia ebraico-americana, quella figura ricade nella scrittrice Emma Lazarus (1849-1887, nella foto in alto): da parte del padre ha origini sefardite molto antiche, da parte della madre, ha origini tedesco-ashkenazite, altrettanto antiche (il tutto in riferimento alla presenza ebraica sul suolo americano). Lazarus vive in un periodo di passaggio tra le ondate sefardite e ashkenazite e quelle successive che porteranno il maggior apporto alla letteratura, sia dal punto di vista numerico che qualitativo.
È presente nel momento in cui si sta creando la Statua della Libertà, contribuendovi attraverso una mostra per raccogliere i soldi per la costruzione del piedistallo su cui poi poggerà. Il suo gesto è teso a favorire l’accoglienza dei profughi che stanno arrivando. Esemplare è il sonetto che dedica alla statua, The New Colossus (1883), il cui titolo è un riferimento al Colosso di Rodi. Lazarus era una persona dotata di una forte cultura sia biblica, sia classica, ed è conosciuta anche per avere tradotto alcuni testi di Johann Wolfgang von Goethe e di Heinrich Heine.
L’immigrazione dello Yiddish dal ‘Vecchio’ al ‘Nuovo’ mondo
È curioso sapere che Abraham Cahan (1860-1951) di lingua yiddish, giunge a New York poco più che ventenne, imparando l’inglese su un manuale durante il tragitto in nave. Nel giro di pochi anni diventerà scrittore sia in lingua yiddish che inglese. Inoltre, è ricordato per essere stato uno dei co-fondatori del Forverts, storico giornale in yiddish, di cui sarà direttore dal 1903 al 1946, portandolo da una tiratura di poche migliaia di copie a 250.000 al giorno. Solo 10 anni dopo il suo arrivo in America pubblicherà in lingua inglese, nel 1896 Yekl. A Tale of the NY Ghetto, dove si intrecciano le vicende di ebrei provenienti dal vecchio mondo, che dovranno adattarsi con tutta una serie di problemi.
Arriverà anche Sholem Aleichem (1859-1916), uno dei padri della letteratura yiddish moderna, per trascorrere a New York, gli ultimi due anni della sua vita. Questo trasferimento dall’Impero Russo all’America è simbolico di quello che stava avvenendo in quel periodo, in quanto rappresenterà il trasferimento del centro della cultura yiddish dal ‘Vecchio’ al ‘Nuovo’ mondo.
Cahan come giornalista, e Aleichem come romanziere costituiranno un filone letterario rappresentavo della prima metà nel ‘900, in cui si inserirà anche la scrittura di Singer. Sono scrittori che pur andando in America continuano a scrivere in yiddish, a questo seguirà poi come sappiamo, il filone degli scrittori di lingua inglese.
L’America polifonica nasce da un crogiolo di persone
Israel Zangwill (1864-1926), grande scrittore ebreo nato a Londra da una famiglia di origine russa, è stato colui che ha contribuito enormemente ad una metafora caratteristica dell’America, perché ha reso popolare la visione degli Stati Uniti, come un crogiolo di persone, dove si esalta l’idea di una mescolanza in cui si supera l’odio e il pregiudizio. Tale concetto è ben rappresentato nella commedia teatrale The Melting Pot del 1908, la cui locandina è un chiaro esempio di quanto del messaggio che vi è contenuto.
Proseguendo troviamo Henry Roth (1934-1964), uno dei protagonisti della letteratura di lingua inglese di quei tempi, figlio di quell’immigrazione di lingua yiddish. Negli anni ’30 scrive quello che forse è il più bel romanzo della letteratura ebraico americana del momento, Call It Sleep, ‘Chiamalo sonno’, pubblicato nel 1934. “È un romanzo che parte in maniera tradizionale raccontando dell’arrivo nel nuovo mondo, per poi assorbire i linguaggi della modernità, del plurilinguismo all’interno della famiglia, oltre alla polifonia delle voci di tutta l’America”. Come continua a spiegare Mortara, il ’34 è un periodo di grande difficoltà per l’America, in seguito al famoso Crollo di Wall Street del ’29, un periodo di crisi, che farà dimenticare questo romanzo, ma che verrà riscoperto negli anni ’60, nel momento del grande risveglio, durante il “rinascimento ebraico americano”. “In Italia uscirà per la prima volta anche nel 1964, tradotto da Mario Materassi, pubblicato dalla grande casa editrice Lerici Editore, la stessa che pubblicherà in quel periodo il primo testo di Isaac Bashevis Singer”.
L’Immigration Act del 1924 e l’arrivo di Singer
A differenza delle diverse ondate di immigrazioni che si sono susseguite nei vari decenni, nel 1924 avviene un fatto molto importante: l’Immigration Act, una legge nata con lo scopo di bloccare l’immigrazione. “Questo flusso di immigrazione verso l’America cantato dalla poetessa Lazarus, come luogo di accoglienza, cesserà. Ma negli anni ’30 col nazismo, molti aspirano a scappare in America, ma non molti riescono. Mentre prima erano masse di persone molto povere che giungevano, chi arriva ora sono gli intellettuali. Sarà un’immigrazione sostanzialmente diversa rispetto alle precedenti.”
Tra i grandi scrittori di questo periodo menzionati da Mortara, incontriamo il famosissimo Isaac Bashevis Singer (1903 – 1991). Singer riesce ad arrivare dalla Polonia in America nel 1935, grazie al fratello Israel, che abitava già in America, ed era già a quel tempo uno scrittore più noto del fratello. Isaac aveva già pubblicato a puntate in Polonia Satana a Goraj, e una volta a New York contribuirà anche alle pubblicazioni del Forverts. Inizialmente ha però un blocco, perché non sa come potrà proseguire in una lingua come lo yiddish, in un posto senza i suoi lettori d’origine. Però nel ’43 ha uno sblocco, attraverso una serie di racconti che hanno come protagonista dei demoni, che hanno la funzione di raccontare i mali del mondo. Mentre nel 1945 esce poi il racconto I piccoli calzolai. Per la prima volta qui si parla di nazisti. Questo racconto è incluso nella raccolta de I Meridiani, curata da Alberto Cavaglion, con la traduzione a cura di Anna Bassan Levi.
Ed oggi ci sarà una continuità? Che ne sarà del domani della letteratura ebraico-americana? Con questo interrogativo si chiude la conferenza. Di sicuro possiamo decretare come possibili eredi, scrittori come Jonathan Safran Foer, Nathan Englander e Joshua Cohen. Mortara aggiunge anche, in seguito ad una domanda del pubblico, che manca invece una ricerca sui possibili scrittori ebreo-americani di origine sefardita.
Il libro oggetto della conferenza è al momento esaurito, ma si spera che prossimamente possa tornare disponibile.