L'attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre 1982

Un clima avvelenato spianò la strada agli attentatori della sinagoga di Roma

di Francesco Paolo La Bionda
Lo scorso dicembre, un’inchiesta del quotidiano Il Riformista ha svelato, documenti alla mano, che lo Stato italiano era al corrente di piani per l’attentato alla sinagoga di Roma del 1982 ma non fece nulla, sulla base di quanto concordato con i palestinesi tramite il Lodo Moro. Un’accusa che Francesco Cossiga aveva già lanciato nel 2008, affermando che gli ebrei italiani fossero letteralmente stati “venduti” come obiettivi in cambio della sicurezza degli altri connazionali.

A 40 anni dall’odioso crimine, l’associazione Kesher ha organizzato un evento dedicato e intitolato “L’attentato alla Sinagoga di Roma: le responsabilità dello Stato”. L’appuntamento si è svolto online sulla piattaforma Zoom il 23 gennaio.

L’introduzione è stata a cura di Davide Romano, giornalista e direttore del Museo della Brigata Ebraica, che ha inquadrato l’attentato come un episodio poco ricordato nella memoria collettiva nazionale e un punto di contatto che dimostra come antisemitismo e antisionismo non esistano l’uno senza l’altro.

Dopo i saluti istituzionali di rav Arbib, Walker Meghnagi e Ruth Dureghello, il primo intervento è stato di Giulio Terzi di Sant’Agata, diplomatico di lungo corso e già ministro degli Esteri durante il governo Monti. Definendo “inaccettabile” l’atteggiamento distratto e indifferente di settori rilevanti della politica italiana ed europea nei confronti del sentimento antiebraico e del terrorismo jihadista, Terzi di Sant’Agata ha ripercorso le vicende di quest’ultimo ponendole in continuità con gli attacchi condotti da formazioni arabe e palestinesi negli anni Settanta e Ottanta.

David Meghnagi, direttore del Master internazionale di secondo livello in Didattica della Shoah presso l’Ateneo di Roma Tre, ha ricordato il clima avvelenato che si viveva all’epoca sia in Italia sia in Europa a causa proprio della saldatura tra antisemitismo e antisionismo, da cui derivavano notevoli disagi alle comunità ebraiche. Saldatura, ha specificato lo scrittore e docente, nata all’indomani della guerra dei Sei giorni ed esplosa con la crisi libanese dell’82, con una diffusa retorica che paragonava Israele alla concezione vendicativa del dio veterotestamentario.

Lo sguardo invece del mondo ebraico italiano dell’epoca lo ha restituito la direttrice del mensile Shalom, Ariela Piattelli. Leggendo la stampa ebraica dell’epoca, ha argomentato, si comprende come l’attentato alla Sinagoga non arrivasse come un fulmine a ciel sereno, a fronte del clima avvelenato nei confronti degli ebrei, testimoniato da uno stillicidio di angherie e soprusi quotidiani denunciati sulle pagine della rivista. Mentre sulle pagine dei quotidiani dell’epoca comparivano invece appelli affinché gli ebrei italiani facessero ammenda per le vicende mediorientali.

Riccardo Pacifici, già presidente della Comunità ebraica di Roma, ha ricordato la vita dei giovani ebrei romani di allora, dalla propria esperienza in un kibbutz in Israele sotto il bombardamento dei razzi Katyusha dell’OLP agli striscioni appesi al Colosseo per denunciare la formazione palestinese e il suo leader Arafat, che pure aveva fornito armi alle Brigate Rosse negli anni precedenti. Pacifici ha poi richiamato anche alla memoria come le uniche forze politiche a solidarizzare in toto con la comunità ebraica italiana e con Israele fossero i radicali e i repubblicani.

Lo studioso Vittorio Robiati Bendaud ha inquadrato i termini dell’accordo dell’Italia con i palestinesi, pagato consegnando gli ebrei alla loro mercé, sia in termini sia di sicurezza, per evitare attentati contro altri obiettivi nazionali, sia in termini economici, data la penetrazione degli investimenti arabi nell’economia. A questa corruzione tangibile, secondo Robiati Bendaud, se n’è aggiunta una mentale con l’assimilazione dei palestinesi alla figura del martire cristiano con Israele nel ruolo del carnefice. Ha anche ricordato a tal proposito la figura del monaco Giuseppe Dossetti, una delle figure chiave dello schieramento filopalestinese nel mondo cattolico.

Infine lo scrittore Ugo Volli, che sul cosiddetto Lodo Moro ha citato recenti ricerche secondo cui le posizioni israeliane erano in realtà ampiamente trasversali alla classe politica italiana, tra cui DC, PSI e PCI, e secondo cui lo schema dell’accordo era basato su semplici linee guida atte a garantire la massima impunità degli agenti palestinesi in Italia.  Un tentativo di tirarsi fuori dalle proprie responsabilità anche di fronte alla sequela di attentati avvenuti negli anni Settanta e Ottanta, da quelli a Fiumicino fino a quello alla sinagoga romana, animato forse anche da un latente antisemitismo maturato sotto il fascismo.