di Roberto Zadik
Il dialogo interreligioso è un concetto fondamentale e complesso che pone sempre nuove sfide. Specialmente negli ultimi anni, coi massacri in Siria e in Medio Oriente, il pericolo dell’Isis, l’arrivo dei migranti e i recenti episodi di intolleranza e antisemitismo in Europa, esso è diventato una priorità. Proprio il dialogo e l’importanza della reciproca comprensione e fratellanza fra ebrei e cristiani è stato il leit motiv dell’incontro “Rapporti fra ebraismo e cristianesimo” che domenica 6 settembre nella Sinagoga di via Guastalla ha riunito personalità di spicco e sviluppato tematiche di rilievo, in occasione della Giornata europea della Cultura ebraica. Fra questi, i rapporti fra Chiesa e ebrei negli ultimi anni, sia in Occidente che in Oriente e il ricordo delle figure fondamentali del Cardinal Martini e del Rabbino Capo di Roma, Rav Elio Toaff scomparso lo scorso 19 aprile, pochi giorni prima del suo centesimo compleanno.
Protagonisti dell’approfondimento, dopo una breve introduzione del neo assessore alla Cultura, Davide Romano, sono stati il Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib, il Rabbino e presidente dell’Assemblea dei Rabbini italiani, Rav Giuseppe Laras, il suo allievo Vittorio Robiati Bendaud, il monsignor Gian Antonio Borgonovo nel ruolo di referente del mondo cattolico e moderatore della conferenza. Partendo dall’inizio della seduta, l’assessore Romano ha sottolineato come “la storia del dialogo interreligioso fra ebrei e cristiani nei secoli è stata molto travagliata ma di successo”.
“Questo – ha aggiunto – specialmente nella seconda metà del Novecento con episodi storicamente maestosi come l’enciclica Nostra aetate promulgata da Papa Giovanni XXIII durante il Concilio Vaticano Secondo nel 1965 e la visita di Papa Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma nel 1986. Anche se i due precursori di questo dialogo fra ebrei e cattolici, nella stagione florida fra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, sono stati il Cardinal Martini e Rav Laras”.
Subito dopo, Davide Romano ha chiamato sul podio Erika Van Gelderun, la presidentessa del Bené Berith Europa. Con la traduzione di Milka Foa, la Gelderun ha recitato una toccante poesia sull’antisemitismo e il silenzio dell’Europa dove ha descritto “finestre rotte in sinagoga e svastiche sulle tombe ebraiche” lanciando nel finale del suo componimento un messaggio forte “non dobbiamo più stare zitti riguardo a ogni persona che viene discriminata e emarginata a causa dell’intolleranza.” La presidentessa ha ricordato anche l’incontro con Papa Francesco e i membri del Bené Berith Europa, avvenuto lo scorso mese di giugno, in occasione del cinquantesimo anniversario della già citata enciclica Nostra aetate. “Potete immaginare la nostra grande emozione – ha evidenziato, – al di là dei protocolli e delle strette di mano, il Papa è stato molto aperto e disponibile con noi. Una persona ‘normale’, semplice che ha accettato di parlare con noi e di conoscerci. Si è trattato di un momento estremamente importante che rappresenta un invito a educare le giovani generazioni a crescere, a incontrarsi e a stare insieme superando barriere e pregiudizi”.
Successivamente ha ripreso la parola Davide Romano che ha sottolineato il contributo di Rav Laras e del Cardinal Martini nel dialogo fra ebrei e cristiani e la profondità della loro amicizia “sincera e profonda, di cui raccogliamo i frutti, ancora oggi, dopo trent’anni. Siamo una comunità di poco più di cinquemila persone e siamo molto onorati di questo dialogo con il mondo cattolico, siamo inondati di richieste di incontro e di condivisione. Questo ci fa veramente molto piacere, abbiamo radici comuni e tanti punti di contatto e il vero dialogo si fa tra persone e non con un microfono in mano o una telecamera”. Punto centrale della conferenza è stato dunque il rapporto ebrei-cattolici e i difficili inizi di questo cammino comune di incontro e confronto, pieno di problematiche, dubbi e diffidenze da entrambe le parti.
A questo proposito, il monsignor Borgonovo ha espresso la sua emozione riguardo all’incontro in Sinagoga “per me essere qui è un onore e non un onere” ricordando il contributo di Rav Elia Kopciowski e di Rav Laras nell’incontro col mondo cristiano e passando la parola ai relatori. Ma a che punto siamo del dialogo oggi? A questa domanda formulata dal monsignor Borgonovo, ha risposto Rav Laras con una lucida analisi di questo argomento. “Questo non è un tema semplice che mi riporta non solo al Cardinal Martini ma ancora più indietro nel tempo quando non ero ancora qui a Milano. C’è da chiedersi oggi, qual è lo stato del dialogo e dove e come esso stia avvenendo . Esso riguarda tanti luoghi e punti del mondo su cui non posso riflettere perché non appartengono alla mia realtà, ma posso meditare solo sullo stato delle cose in Italia. Riguardo al nostro Paese, Milano ha dato l’input a tutte le attività in altre città italiane, Roma, Firenze.” Il Rav ha ricordato come sia stato complesso cominciare questo percorso e “in ogni epoca e periodo storico la forma e la struttura del dialogo devono cambiare e adeguarsi ai tempi. Dopo la Shoah e dopo tanta sofferenza c’era la volontà di conoscersi reciprocamente”.
Egli si è interrogato sullo scopo del dialogo che, come ha detto “è quello di toccarsi, di conoscersi e riconoscersi vicendevolmente puntando sul rapporto umano e gradualmente sul principio della fraternità fra ebrei e cristiani e sulle origini e i principi comuni a queste due grandi religioni”. “C’erano diverse contrapposizioni però a questo dialogo – ha ricordato Rav Laras. – Da parte ebraica vigeva il timore che gli ebrei avvicinandosi troppo al mondo cristiano potessero perdersi, assimilarsi e convertirsi e in certi ambienti cristiani c’era una vecchia contrapposizione contro gli ebrei”. Per questo il dialogo sembra un concetto facile ma è molto complesso e come diceva il cardinal Martini è “oneroso ma necessario”; però ci vuole tanta pazienza, specialmente nella fase iniziale, quella olfattiva e tattile, della conoscenza reciproca”. Nel suo interessante intervento, Rav Laras ha messo in luce che il secondo stadio del dialogo è stato quello di cercare di curare il cristianesimo dalla “malattia dell’antisemitismo” e questo avveniva organizzando incontri, letture e discussioni sulla Bibbia “studiando assieme con varie classi, brani tratti dai testi dei profeti e degli agiografi e cercando punti in comune che avvicinassero le due confessioni religiose”. Egli ha ricordato che una buona “terapia” era quella di affrontare grandi tematiche come la guerra, la pace, le torture e la fame. “Per molti anni è stato un grande sforzo e non ha riguardato la massa delle persone ma piccoli gruppi di persone, erano fenomeni importanti ma limitati che si scontravano contro pregiudizi e distacco reciproco che vi erano nei rispettivi ambienti, ebraici e cristiani”. Ma quanti ancora oggi sono affetti da questa malattia? La domanda, ha specificato, è troppo generica e vaga per trovare una risposta soddisfacente. “Sicuramente un grande passo in avanti è stato fatto da Papa Giovanni Paolo II che a Praga nel 1980 ha pronunciato davanti al Memoriale per la Shoah la frase “un cristiano che è antisemita, non è un buon cristiano”. “Questa frase apparentemente semplice, in verità ha tagliato l’erba sotto i piedi di molte persone. Alcuni in buona fede erano convinti che per essere dei buoni cristiani, odiando gli ebrei, si facesse una cosa gradita agli occhi di Dio”. “Quindi il cammino è proseguito andando avanti fra mille ostacoli e intendevamo far vedere alla massa della gente gli ebrei non più come dei diavoli e dei deicidi portatori di ingiustizie e in questo la figura del Cardinal Martini è stata di fondamentale importanza”.
Rav Laras ha ricordato il suo grande amico come “una persona equilibrata e molto riservata che conosceva bene il suo ambiente e sapeva quando agire, preferendo non esporsi troppo pubblicamente o parlarne in giro ma al momento opportuno. Trovò molta difficoltà nelle comunità parrocchiali e lì stava il problema, ma seppe affrontarlo coraggiosamente”. E oggi qual è lo scenario in cui operare il dialogo? “Viviamo in un quadro molto agitato e pericoloso, con il dilagare delle violenze dell’Isis contro i cristiani; avvengono quotidianamente massacri e eccidi senza che nessuno nella Chiesa faccia qualcosa di concreto. Il Papa dice di fermare i persecutori, ma bisognerebbe andare al di là di questo. Riprendo su questo punto San Tommaso che sosteneva la necessità di combattere se necessario e bisognerà farlo tutti assieme”.
In materia di dialogo, Monsignor Borgonovo ha ricordato che “ci sarebbero tantissime cose da dire. Spesso come ha detto Rav Laras il problema era nelle parrocchie dove tutti gli sforzi fatti improvvisamente si arenavano. Emblematico fu il caso nel 1985 dei seminari fra ebrei e cattolici che con Rav Kopciowski tenevamo a San Giuliano Venegono e che ebbe grande successo. Poi però volevamo trasferirlo all’Università di Roma ma abbiamo avuto problemi col mondo accademico locale e alla fine dopo due anni ce l’hanno tolto. Nelle parrocchie ci sono state belle eccezioni come Don Giuliano e Don Emilio che hanno lavorato molto bene. Sicuramente contro il pregiudizio l’unica soluzione è formare le persone, studiare le Sacre Scritture, rivedendo la definizione di Antico Testamento, che allude a qualcosa di vecchio, di stantio e di superato. Preferisco al limite dire Primo Testamento per evitare fraintendimenti”.
Dopo è stata la volta del Rabbino Capo, di Vittorio Bendaud e del nipote del Rabbino Toaff, Elio come suo nonno, che ha fornito un ritratto esaustivo e emozionante sulla sua figura. Cominciando dal Rabbino Capo Rav Arbib, egli si è collegato con quanto detto da Rav Laras, mettendo in risalto la centralità del personaggio di Rav Toaff che è stato di fondamentale importanza nel dialogo fra ebrei e cristiani, nei suoi cinquant’anni di incarico come rabbino capo di Roma. “È stato mio maestro da quando avevo dieci anni e si è rivelato determinante sia a livello personale, nei miei studi rabbinici che, oggettivamente, nei rapporti col cristianesimo. Su di lui metterei in luce un primo elemento, che ha cercato, come Rav Laras, di sprovincializzare l’ebraismo italiano che prima era un po’ un’isola a sé nel mondo ebraico. Grazie a Rav Toaff e a Rav Laras e col contributo di alcuni rabbanim è stata indetta la conferenza dei rabbini europei portando fuori dai confini nazionali l’ebraismo italiano e aumentandone l’importanza, perché divenuto internazionale e non più solo italiano. Da lì però sono aumentati anche i problemi e tutto si è complicato perché la visione dell’ebraismo di un rabbino italiano rispetto al mondo circostante è diversa, ad esempio da quella di un rabbino americano.” Proseguendo sul tema del ricordo di Rav Toaff, il Rabbino Capo ha messo in risalto un momento storico difficilissimo come quello del’ottobre 1982 quando avvenne l’attentato alla sinagoga di Roma. “Un gesto tremendo che provocò la morte del piccolo Stefano Tachè e diversi feriti e che sconvolse tutti noi. In quel momento Rav Toaff era a capo della comunità di Roma e fu un momento in cui ci fece capire quanto fosse stretto il rapporto fra gli ebrei e Israele.” Soffermandosi su questo punto, Rav Arbib ha analizzato il rapporto fra antisemitismo del passato, che ha provocato la Shoah, e invece l’odio antiebraico moderno che spesso si riferisce a Israele. “Il rapporto fra ebrei e Israele è strettissimo e ogni volta che succede qualcosa lì questo si ripercuote anche all’esterno”. Citando alcuni brani dalla parashà di settimana scorsa di Ki Tavò che fra i suoi contenuti presentava il tema delle primizie e dell’uscita dall’Egitto del popolo ebraico, il Rav ha approfondito l’antisemitismo col versetto “ci hanno fatto del male”. “Spesso gli ebrei vengono trattati come dei nemici, come dei malvagi come scusa per perseguitarli. Bisogna combattere questa visione e nella storia ci hanno accusato di ogni tipo di malvagità, dicendoci che avevamo ucciso dei bambini e avevamo bevuto il sangue. Ora questo lo vediamo riguardo allo Stato d’Israele dove gli ebrei vengono accusati. Dobbiamo analizzare il rapporto fra ebrei e cristiani alla luce di questo preconcetto e dei nuovi pericoli che si stanno presentando e lottare tutti assieme e impegnarci nei nostri rapporti”.
In conclusione, monsignor Borgonovo ha invitato i cristiani a “riconoscere lo Stato d’Israele non solo territorialmente o come argomento sionistico o politico, ma anche a livello religioso e storico. L’alleanza fra Dio e Israele non è importante solo per il popolo ebraico ma anche per il mondo cristiano e bisogna ribadire il fortissimo legame religioso fra Sacre Scritture e Nuovo Testamento. Molti cristiani studiano solo il Nuovo Testamento e questo è molto sbagliato”.
Da ultimo ha parlato Vittorio Bendaud che ha fornito una brillante analisi sia dell’antisemitismo del passato e del presente e raccontando alcune storie interessanti riguardo ai buoni rapporti che c’erano fra le Chiese d’oriente, armene o caldee e gli ebrei che rappresentano “una bella eccezione purtroppo poco conosciuta in Occidente.” “Non è facile capire cos’è veramente l’antisemitismo ed esso non è solo la Shoah o la Cacciata degli ebrei dalla Spagna ma si collega a tanti altri concetti. Per comprendere veramente cosa esso sia, bisognerebbe leggere molti libri sull’argomento. – ha detto Bendaud – Sicuramente una delle questioni centrali è che gli ebrei per molti secoli sono stati trattati come mostri e non più come esseri umani, vittime di un odio astratto verso un qualcosa che non si conosce”. Egli ha continuato descrivendo l’antisemitismo nelle varie epoche, da un antisemitismo di origine religiosa e ecclesiastica a un odio laico e più intellettuale basato su pregiudizi e dicerie. “In precedenza l’odio veniva dalla Chiesa. Gli ebrei in vari Sinodi e Concili dell’antichità venivano accusati di ogni nefandezza e incolpati di delitti e di atrocità di ogni genere, accusati perfino di strozzare i bambini coi tefillin. Poi le cose si sono modificate con la nascita e la diffusione dell’antisemitismo laico, dall’Illuminismo in poi ha avuto le sue colpe.”Tracciando una breve storia dell’antisemitismo laico, cristiano e occidentale, Bendaud ha ricordato che, salvo lodevoli eccezioni come Montesquieu, “tutti gli illuministi da Kant a Voltaire erano antisemiti. Altra metafora, oltre a quella di malvagi, altrettanto pericolosa era quella medicale, che paragonava gli ebrei a una malattia, a un cancro. Questa è rimasta ancora oggi, dove veniamo spesso descritti come una minoranza screditata come gli Israeliani.” Nel suo intervento, Bendaud ha detto che però i rapporti fra Chiesa e mondo ebraico non sono stati così negativi e negli anni tanti sforzi sono stati compiuti, da Paolo VI al Cardinal Martini. Parlando delle Chiese d’Oriente, ha raccontato che le chiese armene, caldee e indiane aiutarono molto gli ebrei. Tanti armeni salvarono gli ebrei dalle persecuzioni e successivamente essi restituirono il favore. Per questo per i rapporti fra ebrei e cristiani è importante conoscere bene la storia, leggere libri e capire cosa ci aspetta nelle nuove sfide che ci attendono.
Ultimo relatore è stato Elio Toaff, nipote del Rav, che ha raccontato una serie di aneddoti e di episodi riassumendo molto chiaramente la sua figura, storicamente e caratterialmente. “Nonno era un ebreo italiano, molto legato alla sua Livorno, anche quando da anni viveva a Roma. Si laureò in Giurisprudenza all’Università di Pisa, in un clima pesantissimo durante il fascismo, tanto che quando discusse la tesi di laurea il professore se ne andò dall’aula. Poi intraprese studi rabbinici al Collegio Rabbinico di Livorno, nonostante suo padre, Alfredo Toaff, anch’egli rabbino glielo sconsigliasse vivamente. Ma era una persona testarda che quando si metteva in testa una cosa, era impossibile fargli cambiare idea. Così prima di stabilirsi nella Capitale, andò ad Ancona e fece lì il Rabbino per un periodo e poi, ricoprendo lo stesso ruolo, visse per diversi anni a Venezia. Furono anni bui e pesanti, costretto a scappare a Fabriano e a Viareggio, tornò a casa a prendere delle provviste ma trovò la camionetta dei nazisti sotto casa. Si salvò per miracolo, scappando dalla finestra di casa e venendo accolto da Don Bernardino che era il parroco della chiesa vicino alla sua abitazione”. Carattere forte e coraggioso e caratterizzato da una grande comunicativa e dal bisogno di stare con la gente, come ricorda il nipote, egli “rappresentava un punto di riferimento per gli ebrei romani ed era diventato il nonno di tutti. Amava stare con i giovani e coi bambini”. Segnato dalla Seconda Guerra Mondiale e dai bui anni del fascismo, Toaff, assistette al massacro di Sant’Anna di Stazzema, ad opera delle truppe tedesche, e per tutta la sua vita si rifiutò di andare in Germania.
Personalità aperta e nelle interviste “solare e disponibile” come ha ricordato il nipote, “divenne un punto di riferimento sia per gli ebrei romani sia per il mondo cattolico e cercò sempre di vedere il bene e non il male nel suo prossimo”. La sua natura estroversa soffrì molto quando, dopo l’attentato di Roma, dovette girare sotto scorta e non poteva più fare le sue passeggiate per Roma o andare a fare le commissioni, come recarsi al supermarket o spostarsi da casa, senza avvertire le forze dell’ordine. Tante storie famigliari, intime e emozionanti fornite da Elio Toaff, figlio di Ariel che hanno descritto vari momenti della vita del Rav. Da segnalare il suo amore per il mare e per la sua Toscana, “a volte il nonno si astraeva e pensava alla sua Livorno immerso nel silenzio” e il ricordo di quando a Roma nel 2001 dette le dimissioni dall’incarico di Rabbino Capo di Roma provocando sconvolgimento e dolore nella comunità romana. “Fu un duro colpo per tutti, non fece grandi discorsi com’era nel suo stile, ma diede l’annuncio all’improvviso, nel 2001, durante la festa ebraica di Hoshannà Rabà che a Roma è molto sentita. Ebbene in quel momento disse che era stanco e che avrebbe lasciato l’incarico a un giovane. Per anni ancora rappresentò sempre una guida anche dopo il suo ruolo e fino alla sua morte avvenuta lo scorso 19 aprile”.