di Redazione
… al Libano e alla Russia, dall’Egitto all’Ungheria, passando per Bukhara e, ovviamente, per l’Italia. Di generazione
in generazione, per la sera del Seder, le varie identità ebraiche si tramandano piatti e usi millenari. Ecco il racconto di una delle feste di gioia e libertà più intense del nostro calendario
Dimmi che charoset fai e ti dirò chi sei… e da dove vieni. A ciascuno i suoi canti, il suo minhag e la sua ricetta del charoset…. Datteri e uvetta oppure mele e mandorle? Fichi secchi con scorza d’arancia o cocco grattugiato con un tocco di acqua di rose? Come ogni anno, eccoci seduti a tavola: l’uscita dall’Egitto è lì sotto i nostri occhi, sotto forma di cibo, di luci e profumi, un evento che simboleggia la liberazione dalla schiavitù. Un rituale che si è conservato immutato nei millenni e tra tutti gli ebrei, compresi coloro che si considerano laici. In tutte le case, dopo il vino, il charoset, le erbe amare Maror e Chatzeret, si legge l’Haggadà, si raccontano le storie che regalano al Seder anche un’aderenza con l’attualità; storie diverse, ognuna con il suo fascino e significato. Le tradizioni variano da luogo a luogo, ma c’è una cosa che accomuna tutti: il desiderio di condividere questo momento con famiglia e amici, nutrendo un senso di appartenenza fiero e vibrante, adempiendo così al comando biblico «raccontalo a tuo figlio». Qui vi proponiamo un viaggio nelle tante tavole di Pesach, a seconda delle identità e provenienze che compongono le varie anime della Comunità ebraica di Milano.
Composta di cedri dal LIBANO
«Per me Pesach è sinonimo di composta di cedro kabbad e biscotti al cocco senza chametz», racconta Lolita Hadjibay, che ha lasciato Beirut a 12 anni, allo scoppio della prima guerra civile, e si è portata dietro le storie, le tradizioni e persino le stoviglie kasher lePesach: «io e i miei fratelli aspettavamo tutto l’anno di poter bere dalle tazzine blu, che erano il simbolo dell’arrivo delle feste».
Dopo una profonda pulizia della casa gestita da una grande collaborazione di parenti, era imprescindibile andare a trovare gli amici e zii, cugini e nonni, per gli auguri e i dolcetti. Tornando a casa per pranzo, sulla tavola aspettavano kibbeh di riso, lasagne di matzah, verdure ripiene, e l’immancabile charoset libanese, di uvetta e noci. «Il seder è pieno di tradizioni speciali. Ora che sono sposata a un uomo persiano, faccio tutto doppio, così non manca niente e riesco a tenere viva la mia tradizione libanese». Tra queste, l’usanza affidata alle donne nubili di succhiare l’osso dello zeroah (stinco d’agnello) fuori dalla porta di casa, per auspicare uno shidduch (accordo matrimoniale) favorevole, e la pratica di intingere il karpas (sedano) nel limone anziché nell’acqua salata. Il limone viene poi versato sull’agnello alla fine delle benedizioni. O ancora, il rito di passarsi il pane azzimo intorno al tavolo, tenerlo sulla spalla sinistra come un fardello pesante, e recitare la formula (in arabo): “M’nen Jayye? Mimmisrayim. Lawen Rayy’ieh? Lirushalayim” (Da dove vieni? Dall’Egitto. Dove vai? A Gerusalemme). «Della cucina di Pesach ricordo in particolare il fouaregh, le salsicce fatte in casa da mia nonna Lora. Mi ricordo il laborioso lavaggio e trattamento delle budella dell’agnello. L’odore era un po’ forte, ma era piacevole perché sapevo che una volta pronto sarebbe stato delizioso. Poi nonna farciva il krush, lo stomaco, e spremeva l’uva per chi non se la sentiva di bere il vino».
Tipicamente siriano-libanese è anche il cosciotto d’agnello ripieno con riso e tadbile, carne trita soffritta e mescolata con pinoli, cipolla, cannella e ba’harat, un mix di diversi tipi di pepe. Una volta pronto il tadbile lo si mescola col riso bianco e si riempie il cosciotto d’agnello crudo che poi viene messo a cuocere in casseruola con aglio, cipolla, spezie.
Sofia Tranchina
PERSIA, dove il riso la fa da padrone
«Durante il Seder di Pesach a casa nostra sono i bambini che portano agli adulti la bacinella con l’acqua e l’asciugamano per il lavaggio delle mani. Ed è sempre bello vedere come fanno a gara per passare da tutti!». Afsaneh Kaboli racconta divertita quello che accade nella sua famiglia, proveniente dall’Iran, durante la festa della Pasqua ebraica.
«Come da tradizione, mettiamo una sedia vuota e un bicchiere di vino per Eliahu hanavì, e a un’ora stabilita apriamo la porta per farlo entrare», continua.
Per quanto riguarda il cibo, è il riso a farla da padrone: con le carote e l’uvetta (ghabeli), verdure e spezie (polo sabzi), e tante tipologie diverse. «Mio padre z”l mi raccontava che in Persia durante Pesach mangiavano solo riso a pranzo e a cena. E per questo i musulmani chiamavano la festività “la festa dei 14 risi”!». Un altro dolce ricordo riguarda la spremuta di arancia che faceva sua madre in dosi abbondanti. «All’epoca non c’era ancora la Coca-Cola kasher – racconta Afsaneh -: quindi mia madre z”l preparava grandi brocche di spremuta d’arance dolce, che bevevamo con gusto!». Fra i cibi tipici di casa, ci sono i biscotti di farina di riso nun berenji e tante torte, per rendere ancora più gustosa la festa.
Una zuppa della tradizione Bukhara
Le kitnyiot (cereali) sono chametz? Se questo è il problema, la tradizione bukhara risponde con un deciso “no”. Una cucina che vede il riso come grande protagonista in quattro dei suoi piatti essenziali – osovoo, oshpoloo, baksh e sirkanis -, un veto sul riso avrebbe decisamente guastato la festa. Ma il piatto tipico del Seder buchari è il masò jushak, una zuppa che impiega due figure di spicco nel Pesach transnazionale: le matzot e le uova. Qui la ricetta. Soffriggete la cipolla fino a renderla trasparente, aggiungete tre patate e il pollo (o la carne), cuocete per due minuti e aggiungete due litri di acqua bollente. Non appena la zuppa inizierà a bollire, eliminate la schiuma, abbassate la fiamma e fate cuocere per circa 40 minuti. Quando saranno trascorsi, riportatela ad ebollizione, rompete le uova e mescolatele, quindi aggiungetele alla zuppa. Il maso jushak è pronto per essere servito con pepe nero, coriandolo tritato e matzot spezzate a guisa di crostini.
Anna Balestrieri
Dall’EGITTO, il cibo dei re
A casa mia la sera di Pesach si mangia la molokheya, una pietanza egiziana a base di una pianta simile alla malva piena di vitamine e fibre il cui nome significa “l’ortaggio del re”. Molto saporita grazie al molto aglio presente e al coriandolo, si mangia con il riso pilaf e la carne cotta al suo interno. E poi, come secondo, mangiamo la meina alla carne, una specie di torta salata fatta con il pane azzimo, ripiena di carne trita, uovo sodo e pinoli. Una tradizione della mia famiglia? Le donne nubili mangiano l’uovo sodo dietro la porta d’ingresso della casa, per favorire l’arrivo di un buon matrimonio nell’anno!
Ilaria Myr
ITALIA, fra le dolci colline toscane
«La cannella è la spezia di Pesach: senza, Pesach non si può fare! Si mette ovunque, anche nella carne, nelle polpette». Arriviamo tra le dolci colline toscane, esplorando le tradizioni della Comunità ebraica di Firenze e quella di Livorno. Ci accompagna in questa tappa Chiara Sciunnach, creatrice del canale YouTube “Rosso Rimmon”, che da anni mostra in semplici passi la preparazione di tantissime ricette tradizionali ebraiche.
«Negli anni, ai seder comunitari, le signore aprivano e controllavano 50-60 uova per fare le tipiche scodelline di mandorle. Un dolce originario di Livorno, molto sefardita, che è diventato popolare in tutta la Toscana».
Per una ventina di persone sono necessari: 18 tuorli, 9 albumi, 500g di zucchero, 250g di farina di mandorle ed estratto di mandorla amara. Dopo aver sbattuto i tuorli con lo zucchero in una ciotola, aggiungere la farina di mandorle, l’estratto di mandorla e continuare a mischiare. In un’altra ciotola, montare le chiare a neve molto ferma e poi versarle mano a mano in una pentola insieme al composto precedente. Una volta unite le due parti, mettere la pentola a bagnomaria e mescolare sempre per circa 45 minuti, facendo attenzione a non far attaccare l’impasto. Finita la cottura, versare il composto in piccoli bicchieri da caffè e concludere la presentazione con un immancabile velo di cannella.
Una tradizione molto peculiare, che intreccia i precetti ebraici alle usanze toscane, così come la ribollita di matzà, una rivisitazione pasquale di un grande classico della regione, oppure le frittelline di matzà, una simpatica alternativa alle frittelle di San Giuseppe, ma con la farina di azzime.
David Fiorentini
LA MITTELEUROPA,
crogiolo di tradizioni
Benvenuti nel mondo della Mitteleuropa, territorio dai molteplici nomi: Europa Centrale, Europa Orientale… È qui che le tradizioni di Pesach brillano con una vivace unicità. Immaginate le tavole imbandite nei Balcani, lungo il corso del Danubio e tra gli splendidi Carpazi, tutte cariche di una varietà di matzot, il “pane della povertà”, simbolo centrale di Pesach, ognuno con il suo distintivo tocco. Le usanze e le tradizioni variano da famiglia a famiglia, da comunità a comunità, e si differenziano nei dettagli nei vari kahal (parola ebraica e yiddish che si riferisce alla comunità nel suo insieme, inclusi i suoi membri e le relative istituzioni religiose). Provate a chiudere gli occhi, e immaginare quegli shtetl polacchi magistralmente descritti nei favolosi romanzi di Isaac Bashevis Singer, con le case a Pesach sempre aperte a chiunque, le ciambelline, i dolcetti al papavero, i biscotti al miele… I profumi e i sapori della Galizia, che gioia per gli occhi e il palato! Ma è soprattutto nel Leil ha Seder, la serata inaugurale della festa, che la magia di Pesach si manifesta in tutte le sue forme ancora oggi. Tra le ricette degli ebrei ashkenaziti troviamo lo stinco d’agnello arrostito (Zeroah) che rappresenta il sacrificio; e poi il Beitzah, un uovo bollito, a simboleggiare il sacrificio festivo che veniva offerto al tempio di Gerusalemme, poi arrostito al forno e consumato come parte del pasto del Seder. L’uovo è il simbolo del cerchio della vita: nascita, riproduzione e morte. Sempre tra le usanze delle comunità ashkenazite, spicca quella del capofamiglia che, il giorno prima del Seder, nasconde piccoli pezzi di pane (chametz) per la casa. I bambini, impegnati in una vera e propria caccia al chametz, cercano e raccolgono i pezzi nascosti come parte della preparazione per la festa, ricevendo poi un dono. È in questi rituali che si cela tutta la bellezza e la profondità di questa festività.
In Austria non può mancare il Matzo brei, una sorta di frittata fatta con matzo, uova, cipolle e prezzemolo, un piatto minimalista da leccarsi i baffi che si tramanda da generazioni, come quello che preparava mia zia Rivka, il cugino Yankele o nonno Moishe! E che dire dell’arcinoto Gefilte Fish, la carpa farcita che non ha certo bisogno di presentazioni? In alcune famiglie è anche usanza preparare il goulash austro-ungarico, offrendo un gusto locale durante la festa e che si è poi diffuso in tutta l’Europa centro-orientale. Senza dimenticare i condimenti come il Kren, la salsa di rafano piccante che aggiunge quel pizzico di sapore in più, e il Charoset, la deliziosa composta di mele, noci, spezie e vino rosso! E per concludere la torta di matzo, a base di farina di matzo, uova, zucchero e cannella. Fra le tradizioni la vendita del chametz, venduto a un non ebreo per la durata della festa e la gioiosa ricerca dell’afikoman. Qualche aneddoto? Si dice che nel 1809, Napoleone Bonaparte fosse in Austria durante Pesach. Per evitare di offendere i suoi ospiti ebrei, ordinò che le sue truppe non cucinassero durante la festa. E a proposito di Freud, pare che una volta, durante il Seder, l’illustre psicoanalista austriaco chiedesse ai suoi figli: «Cosa c’è di più importante, Pesach o la psicoanalisi?». I suoi figli risposero: «Pesach, naturalmente!». Freud sorrise e disse: «Vedete, anche la psicoanalisi ha le sue feste!». Infine, Il gioco del “Matzah Ball Bingo” è molto popolare a Vienna durante Pesach. Lo si può trovare in molte sinagoghe e centri comunitari. È un gioco divertente, educativo, per tutte le età e un ottimo modo per imparare il significato della festa.
In Ungheria la festa di Pesach è chiamata Pészah. Ogni anno si tiene un grande Seder pubblico a Budapest. Durante quei giorni, molte famiglie ebraiche visitano le tombe dei loro cari. Tra le ricette tradizionali più note troviamo il Flódni, un dolce a strati con ripieno di noci, semi di papavero e ricotta; il piatto forte della cena festiva sono solitamente Matzah gombóc, una zuppa calda con palline di matzo, dette in origine kneidelach, kneidl, knaidel. E ancora: le Zöldségfasírt, polpette di verdure; gli Húsos zsemle, carne con matzo tritato; il cavolo ripieno fatto in casa, l’agnello piccante con albicocche e funghi…
Per quanto riguarda le curiosità: pare che nel 1458, Mattia Corvino, re d’Ungheria, si nascose da un nemico in una casa ebraica in occasione di Pesach. Per ringraziarli della loro ospitalità, concesse agli ebrei ungheresi molti diritti e privilegi, i quali mantennero rapporti proficui con il grande sovrano. Durante la Seconda Guerra Mondiale, un gruppo di ebrei ungheresi era nascosto in un bunker a Budapest. Avevano pochissimo cibo e temevano di morire di fame. Un giorno, durante Pesach, trovarono miracolosamente un pacco di pane azzimo davanti alla porta del bunker, che durò per tutta la durata della loro fuga e permise loro di sopravvivere. Infine, Theodor Herz pronunciò durante un Seder la celebre frase: «L’anno prossimo a Gerusalemme!» (l’Shana Haba’ah B’Yerushalayim), un’affermazione che per secoli è stata una promessa spirituale, una speranza e una preghiera divenuta realtà grazie a lui, che unisce gli ebrei come popolo, richiamando il desiderio di riconciliarsi affinché possano autenticamente trovarsi a Gerusalemme, la città, il cui nome suggerisce pace (shalom) e completezza (shalem) e che simboleggia l’aspirazione alla pace e all’integrità spirituale.
In Polonia, Pesach è celebrata con una maggiore enfasi sulla tradizione e sulla ritualità. Le ricette polacche per Pesach sono spesso più semplici e rustiche di quelle austriache e ungheresi. In generale, secondo varie fonti, in Polonia è più comune celebrare Pesach in famiglia, mentre in Austria e Ungheria è più usuale celebrarlo con la comunità. Perché – come spiegò un rabbino di Varsavia – tutto ciò che accade nella casa familiare viene ricordato per tutta la vita. In Polonia, c’è la tradizione di preparare un “Kit di Pesach” per i bambini, che include un matzo, un uovo sodo e un giocattolo. In alcune comunità polacche, è tradizione recarsi in sinagoga con un cesto di cibo. In famiglia si mangiano piatti a base di carne arrosto, agnello, manzo e pollame, uova, formaggi e verdure, conditi o integrati con maror, erbe amare e crude (in Polonia rafano e lattuga), simbolo della sofferenza ebraica in Egitto. Il pane azzimo viene preparato in modi diversi, ad esempio al forno con spinaci e carne macinata, gnocchi di matzo serviti in brodo, formaggio al forno con matzo e krincelki dolci, frittelle con uvetta e mandorle.
Sulle tavole compare anche il kugel, piatto tradizionale della cucina ebraica, preparato sotto forma di casseruola in versione salata o dolce: ad esempio kugel di matzo e carne macinata affumicata e kugel di patate, servito con vino. Vengono offerti anche pollo in umido con prugne secche e borscht rosso con carne di manzo in umido, tagliata a cubetti, migliore e più nobile. In tavola ci sono tante frittelle di Pesach in varie tipologie: con formaggio bianco, con mele, con ripieno di spinaci o di funghi. C’è anche un dolce chiamato tzimes, preparato con varia frutta secca cotta con zucchero e cannella, oltre a numerose specialità, molte delle quali sono diventate popolari nella cucina polacca. È di auspicio bere buon vino. Gli ebrei polacchi. così come gli ashkenaziti in generale, hanno anche regole separate per quanto riguarda gli alimenti esclusi. Durante Pesach, non mangiano alimenti che contengono kitniyot, ovvero miglio, fagioli, piselli, sesamo, lenticchie, grano saraceno, riso, semi di papavero, semi di girasole e arachidi. Ma anche qui, la regola non vale per tutti.
In Romania, la comunità ebraica celebra con fervore le festività religiose, tra cui Pesach. In questa occasione le tavole vengono imbandite con piatti tradizionali che rispecchiano l’eredità culinaria ebraica rumena. Tra le specialità vi sono piatti come la Ciorba de matzo, una zuppa di brodo arricchita con matzo e verdure, il Kugel di riso, un tortino di riso con uova e uvetta, l’immancabile Gefilte fish e la Salata de vinete, un’insalata di melanzane arrostite. La storia degli ebrei rumeni è ricca e complessa: prima della Shoah, rappresentavano una comunità numerosa che contribuiva significativamente in ambiti come l’arte, la scienza, l’imprenditoria e la letteratura. Tuttavia, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, la popolazione ebraica si ridusse significativamente, stimata intorno ai 250.000 individui. Molti di loro hanno scelto di emigrare in Israele e negli USA. Oggi, il numero dei membri registrati si attesta a circa 4.000, sebbene questa cifra possa sottostimare la vera dimensione della comunità, considerando i cambiamenti nei modelli familiari moderni, come i matrimoni misti e le famiglie non tradizionali.
Marina Gersony
Knaidlach e kugel in Russia e Lettonia
Quando ci si raduna tutti insieme a tavola, le preghiere e le canzoni possono essere alternati dal suono di un autentico shofar, suonato da un commensale. Un’usanza molto peculiare e non usuale. Molti dei piatti che gli ebrei russi e dei paesi baltici mangiano per Pesach provengono dalla tradizione ashkenazita. Un tipico piatto è il brodo di pollo con knaidlach, polpettine fatte con un impasto di pollo frullato e mescolato a uova e farina di matzoth. Spesso si mangia anche il pollo arrosto, che nel caso degli ebrei russi emigrati in Israele viene talvolta condito con silan, il miele di datteri. E non mancano i piatti a base di patate, come il kugel, pasticcio fatto in forno con uova, patate e cipolle.
Nathan Greppi
Umorismo e ricordi, il mio Pesach tra tradizioni turche, greche e marocchine
Uno “scontro di civiltà” a colpi di squisitezze
di Roberto Zadik
Ogni anno pensando alla schiavitu’ egiziana io mi ritrovo a vivere… la schiavitù domestica, con ore di mestieri alla ricerca della briciola perduta. Ogni anno usciamo dall’Egitto ma è davvero difficile immaginarmi mentre scappo dai carri del Faraone visto che a correre sono sempre stato una schiappa e al mare faticavo a costruire i castelli di sabbia, figuriamoci le piramidi! Pesach per ogni ebreo si collega a una piramide di ricordi, cene famigliari, condite dalle ricette culinarie più disparate – e anche disperate – a seconda del livello gastronomico delle massaie coinvolte.
Più che stare delle ore a cantare in ebraico, cosa che mi riusciva poco fino a qualche anno fa, o soffermarsi su forbiti ragionamenti religiosi, ricordo che in famiglia si festeggiava molto “alla buona”. Si passavano le ore a intrattenere discorsi di circostanza o peggio, su quanto io fossi più o meno ingrassato. E poi sulle ricette di Pesach e ad assaggiare i vari piatti proposti in successione come in un distributore automatico di pietanze dalle mie zelanti nonna e mamma che preparavano tutto mentre io aiutavo ma più come comparsa che come protagonista.
Le due cene pasquali erano uno scontro aperto fra vari tipi di identità e modi di essere, si poteva scrivere un saggio di antropologia. C’erano i turchi fieri di esserlo, come la mia adorata nonna, e gli italiani acquisiti e molto patriottici – come mia mamma -, talmente milanese che una volta in una delle mie battute le proposi una “matzà allo zafferano” o un bollito misto con mostarda al posto del capretto a cui si aggiunsero le ricette di mia moglie marocchina. Io invece ero il milanese sradicato, molto esterofilo e pronto ad assaggiare qualunque cosa purché fosse saporita e ovviamente calorica!
I miei erano ebrei secolarizzati e per finire prima col Seder accorciavano varie parti. Lo chiamavo “il rito abbreviato”, si leggeva l’Haggadah in italiano, io capivo tutto e tornavamo a casa presto. Davvero sconvolgente fu il mio primo Seder da osservante, abituato com’ero all’ebraismo sportivo, alla turca, mi sembrava di aver cambiato religione. Mi ricordo quando mi ritrovai in una famiglia super osservante e finimmo la cena all’alba, parlando solo dell’Uscita dall’Egitto e passando la serata per ore a cantare “nai nai nai nininai”: fu davvero uno choc. Non capivo niente, speravo ci fossero i sottotitoli e pensavo che invece che ebraico stessimo leggendo i geroglifici egizi.
Partendo dalle mie origini turche e greche, ricordo i deliziosi antipasti di mia nonna, le melanzane fritte, il pesce ben cucinato, felicemente e dolcemente abbronzato in quella cottura, la frittata vegetale di porri e spinaci e il riso con la carne trita e soprattutto i collosi birmuelos, quelle frittelline di pane azzimo che la prima volta sono deliziosi e che l’ultimo giorno nauseano solo a vederli in fotografia. Il tocco di classe era quella favolosa torta di noci e una sua sosia alle mandorle non meno deliziosa e più leggera.
I marocchini invece, curiosamente e chissà perché, diventano ashkenaziti ma solo a Pesach: aboliscono il riso, con mio grande sconforto e una mia certa fame; in compenso, recuperano con alcune deliziose specialità come le mitiche polpette di sardine, che lasciavano perplessa mia madre e che invece io divoravo, la carne stufata preparata per ore come la Dafina, una sorta di stufato nordafricano che cuoce talmente tanto da essere una meraviglia per i consumatori e una tortura per chi lo prepara.
Così lo scontro di civiltà a tavola diventava molto appetitoso e potevo scegliere fra due modi di essere “diversamente sefardita”, con l’elasticità pressapochista dei turchi da una parte e invece il rigore e la puntigliosità nordafricana dall’altra. Ma entrambi se la cavavano benissimo con i fornelli. Quanti ricordi, emozioni, sapori e sensazioni legati a ogni cena pasquale. Festa di famiglia, di preghiera e di Cif Ammoniacal (in cui, fra le preghiere, c’è quella di concludere il prima possibile quelle pesantissime pulizie), un indiscutibile momento igienista-ossessivo in cui, da bravo esploratore del deserto, scruto al microscopio ogni granello della mia casa e che – vista la mia distrazione – richiede tassativamente l’occhio scientifico di mia moglie. Laviamo posate, stoviglie, controlliamo tutto, ancora un po’ anche la biancheria, per capire se si nasconda qualche infame frammento lievitato. Prepariamo, cuciniamo, mettiamo ordine, e ogni volta è il mio stage per diventare massaia provetta, aspettando di guadagnarmi quell’uscita dall’Egitto che ciascuno si merita, con quella gioia, quell’unità e quell’umiltà di singoli,di famiglia e di popolo che ogni anno ci auguriamo, vivendo il miracolo di essere ancora qui, nonostante tutto.
Da ROMA, l’abbacchio con le patate della mi’ nonna: in Cucina con Ruben
Arrivati nella Capitale, non poteva mancare una chiacchierata con il mitico chef Ruben Bondì, diventato famosissimo tramite il suo canale TikTok Cucina con Ruben, con divertenti videoricette in un formato accattivante e al passo coi tempi.
«A casa mia, come penso sia in generale per tutti i romani, il piatto immancabile ovviamente è l’abbacchio con le patate, fatto da mia nonna, da sempre con molta cura. Lei lo fa sempre in doppia cottura, prima in padella e poi al forno. Davvero buonissimo! Prima di tutto si mette l’abbacchio nella casseruola direttamente sul fuoco, con le patate, condito da aglio e rosmarino. Si fa arrostire un pochino e poi si mette in forno a 200 gradi per un’oretta, finché non diventa bello croccante.
La tradizione particolare della mia famiglia in realtà non è il giorno stesso del Seder di Pesach, ma già dalla settimana prima, quando mia madre inizia ad affinare il suo speciale charoset. Perché ogni anno modifica le dosi precise dell’anno precedente, quindi dalla settimana prima inizia a fare le prove per trovare le misure giuste, per fare quello perfetto da servire poi la sera del Seder.
Come racconterò Pesach su TikTok? Non lo farò direttamente, ma semplicemente in quei giorni pubblicherò piatti che sono tutti Kasher LePesach (permessi per la Pasqua), quindi soprattutto risotti o ricette a base di verdure, evitando quindi alimenti come pane e pasta».