Il negazionismo: un fenomeno pericoloso dalle molte sfaccettature

Feste/Eventi, Kesher

di Michael Soncin
“È una vita, da quando ero ragazzino che studio questi temi, ma non riesco a capacitarmene ancora. Il negazionismo sostiene che non vi fu nessuno sterminio degli ebrei, e badate bene che se crolla il racconto della Shoah, e cioè la storia, cade un architrave della democrazia”. E’ quanto ha affermato lo storico Claudio Vercelli, durante la conferenza online intitolata ‘Il negazionismo’ organizzata il 24 gennaio dall’Assessorato alla cultura ebraica di Milano e da Paola Hazan Boccia di Kesher. Tra i presenti vi erano l’Assessore alla cultura Gadi Schoenheit, la neo vice Assessore alla cultura Serena Vaturi, la vice Assessore alla scuola Pia Masnini Jarach. Sull’accesa questione il professor Claudio Vercelli ha in passato pubblicato per la casa editrice Laterza il libro dal titolo Il negazionismo – Storia di una menzogna, dove in 228 pagine offre del fenomeno, uno spaccato eterogeneo.

“Abbiamo diversi tipi di negazionismo – ha introdotto Schoenheit -: dell’intellighenzia, emerso da diversi anni con personaggi come Faurisson o Odifreddi; della chiesa, dove Don Florian Abrahamowicz sosteneva che le camere a gas servivano soltanto a disinfettare; poi il negazionismo politico, tutti ricordiamo Mahmud Ahmadinejad, uno dei presidenti dell’Iran, che sosteneva che l’Olocausto era un’invenzione degli ebrei. Il fil rouge è l’antisemitismo. Si tratta di una serie di fenomeni che in parte si sono sviluppati man mano che si cominciava a raccontare la tragedia della Shoah”,

Il fenomeno alla radice

Su quali basi cosa poggia il negazionismo? Claudio Vercelli nell’introdurre il tema ha tracciato tre punti chiave. Come primo elemento gli stessi che negano la Shoah, non necessariamente negano altri fenomeni genocidari. Secondo, il negazionista afferma che non vi furono le camere a gas e che non vi fu nessun genocidio, ma non nega l’evidenza dei campi di concentramento, minimizzati definendoli come campi di prigionia o d’internamento, dove le persone venivano deportate nel loro interesse dai luoghi di combattimento ai luoghi di ricovero. Infine, i nazisti fecero una guerra poiché attaccati – non attaccarono – dai loro nemici. Addirittura affermano che erano stati gli ebrei a scatenare la guerra e dopo averla vinta, hanno edificato questa menzogna collettiva. Per i negazionisti, Auschwitz esiste solo in un modo: come truffa.

Dove nasce la negazione della Shoah?

“Il negazionismo – spiega Vercelli – nasce già durante gli anni dello sterminio. Dobbiamo pensare alla Shoah non solo nella distruzione delle persone ma anche nella cancellazione della loro memoria, fatta radendo al suolo i beni che gli appartenevano, ripulendo gli oggetti dai loro possessori e distribuendoli al resto della popolazione di ‘razza pura’. Nel giro di pochi anni, conclusa la guerra, i più non avrebbero ricordato cos’era successo, non solo tra gli spettatori, ma tra i carnefici”. Lo storico chiarisce che il negazionismo non si può definire un fenomeno scientifico o storico, ma è un fenomeno oltre che politico anche mentale, poiché vi è un passaggio fondamentale che è quello della deresponsabilizzazione etica e morale. Il criminale nazista ritiene di avere eliminato un ingombro, non degli esseri umani, dicendo a se stesso che questa cosa non sola andava fatta, ma che una volta compiuta, di fatto, non esiste più.

La banalizzazione della storia

“Il negazionismo trova maggiore attenzione e spazio nel web, dove la storia perde quella dimensione di complessità che invece ha. È impossibile comprendere la storia della Shoah in tutti i suoi aspetti se non si analizzano i diversi contesti, ed oggi c’è una forte propensione a banalizzare la storia, non capendo le interconnessioni e la complessità dei processi”, dice Vercelli. “Ciò che è complesso – continua – non vuole per forza dire incomprensibile, ma richiede di cogliere gli aspetti e le stratificazioni, che lo caratterizzano”.

Come si presenta il negazionista in pubblico? “Ossessivamente come colui che rivendica il libero pensiero, un elemento non facile da smontare in linea di principio, perché fuorviante”. Si presenta come vittima, come una persona che svolge un lavoro che deve sbrigare che certamente non lo delizia. Una mente perversa e astuta di soggetti che si sentono come perseguitati. Fingono di volere aprire un dibattito ma in realtà non sono interessati ad ascoltare nulla, una finzione per il solo scopo di trascinare le persone all’interno di una polemica fine a se stessa. “È un fenomeno difficile da combattere e rischia di espandersi se non fermato”. Se poi viene arrestato e messo in galera, si proclama come una sorta di martire e Vercelli a maggiore dimostrazione dell’identikit del negazionista da lui tracciato cita il caso di David Irving, lo storico britannico che negò l’Olocausto.

Le vittime diventano i carnefici

Un altro elemento emerso durante la conferenza riguarda un fattore che all’incirca negli ultimi quattro decenni ha fortificato molto le tesi negazioniste e che si inserisce all’interno del mondo arabo-musulmano, avvenuto senz’altro per via del conflitto israelo-palestinese o meglio per “le posizioni assunte nel tempo dalle classi dirigenti arabo-musulmane rispetto alla presenza che ancora molti continuano a chiamare entità sionista”.

Vercelli ricorda inoltre quando i rappresentanti del mondo arabo tra gli anni ‘20 e ‘40 del 1900, hanno manifestato in svariati casi un grande apprezzamento per i fascismi europei.

“Li intendevano come una sorta di forza, di soggetto anticoloniale, che avrebbe contrastato la presenza di francesi e inglesi. Del totalitarismo ne sposarono alcune ideologie, in particolar modo dal nazionalsocialismo”.

È un dato di fatto, l’antisemitismo nei nostri tempi si differenzia in una ramificazione ben consistente, assumendo le vesti dell’antisionismo. “Non è più l’odio nei confronti dell’ebreo, ma l’odio nei confronti dell’ebreo incarnato da Israele o Israele come ebreo collettivo”. Chi professa l’antisionismo, ovviamente camuffa le sue intenzioni antisemite. Più di una volta abbiamo sentito dire “gli israeliani sono i nuovi nazisti”.

“C’è una traslazione della brutalità del nazismo dai carnefici alle vittime. Oggi nell’antisionismo più radicale il sionismo è rifiutato perché è ritenuto un’ideologia nazista, non solo colonialista. Non vuol dire che tutti coloro che hanno delle perplessità sulle politiche dei governi israeliani siano antisionisti e quindi antisemiti, questa correlazione non c’è, ma lo è chi interpella Israele chiedendo il perché della sua esistenza e della sua abusività storica”.

Le possibili conseguenze dalla scomparsa dei testimoni

La complessiva scomparsa dei testimoni diretti può rafforzare il negazionismo? È una delle domande poste dal pubblico, che sorge spontaneo chiedere. Se oggi davanti ai testimoni si nega la Shoah che ne sarà quando tutti i reduci saranno scomparsi? “È da vedere – risponde il professore -:  l’incidenza in futuro sarà forse legata a fattori politici, perché il negazionista usa la posizione della storia, svuotandone i contenuti, per avvalorare la sua posizione politica radicale. Qualunque cosa si dice viene da lui controbattuta come mendace, a prescindere che sia direttamente il testimone sopravvissuto a parlarne, o che dopo la sua scomparsa siano i testimoni di seconda, terza e presto quarta generazione”.

Se la storia viene banalizzata e si isola il singolo elemento dal contesto assolutizzandola, allora anche la Shoah viene banalizzata. Come? Paragonandola ad altri genocidi, questo in particolare quando si avvicina il giorno della memoria. “Se tutto si equivale, nulla ha importanza, tutto si azzera, gli stessi torti trascorsi in altre vicende diventano così incomprensibili. Il confronto è reciproco, l’equiparazione no”, precisa lo studioso.

Il negazionista, un pericolo per la democrazia se entra in politica

Perché dedicare tutta la vita a negare un fenomeno? Qual è il proprio interesse a negare eventi inconfutabili? Vercelli nel rispondere all’animato dibattito scaturito dopo la brillante esposizione cita lo studio sulla paranoia dello psicoanalista Luigi Zoja, condotto non sul piano clinico, inteso come malattia mentale ma sul senso comune del termine. Si evince che il negazionista è un soggetto paranoico, come lo erano Hitler e Mussolini del resto. “Il paranoico è colui che si sente minacciato e sente il diritto di doversi difendere, per lui tutto è un complotto e se non ci sono prove – sempre secondo lui – è perché sono state occultate e questo conferma ancora di più la sua tesi”. Questo atteggiamento trova molta forza e consenso quando sfocia in politica, lo stiamo ben vedendo negli ultimi anni. “La grande potenza dei negazionisti quando entrano in politica è che vengono visti come coloro che vogliono difendere una qualche idea di comunità”.

Il caso di Jedwabne

Serena Vaturi, nuovo vice assessore alla cultura della Cem, ha preso parola al termine del discorso del relatore. “Sono tantissimi i negazionisti ma quello che ho notato che sono ancora di più quelli che non si dichiarano come tali, ma nascondono una parte di verità che in realtà conoscono accuratamente, facendo finta di non sapere o di essersi dimenticati”. Dopo la premessa racconta del viaggio che fece ad Auschwitz, compiuto poco prima dell’avvento della pandemia da Covid-19. “Abbiamo avuto una lunga discussione con le guide polacche, perché sostenevano il fatto che i polacchi avessero nascosto e aiutato gli ebrei, ma sappiamo che le cose sono andate diversamente”. La cosa assurda è che nel gruppo c’erano anche dei sopravvissuti ma le guide, senza nessuno scrupolo, hanno cercato di nascondere l’evidenza, raccontando di fatto una menzogna. “Un aspetto che mi ha impressionato è stato il racconto di uno dei figli dei sopravvissuti, su quanto successe nel villaggio di Jedwabne in Polonia dove ancora prima dell’arrivo dei nazisti, i vicini di casa Polacchi hanno sterminato quasi il 50% degli ebrei che abitavano nel villaggio. Erano i vicini della porta accanto”.

Sul caso Jedwabne del 1941, Mosaico ne parlò già nel 2016, quando cittadini e istituzioni non presenziarono alla commemorazione che ricordava il terribile massacro. Una storia da brividi ben testimoniata nel libro edito da Einaudi e già recensito da Bet Magazine intitolato Il crimine e il silenzio.