di Ilaria Ester Ramazzotti
Un dialogo colto unito a una piacevole conversazione a proposito di parole e di modalità di scrittura, colte tra fede e amore, tra storia e arte, tra sacro e profano. Così si è sviluppato l’incontro fra lo storico dell’arte Philippe Daverio e il rabbino Amedeo Spagnoletto svoltosi all’auditorium del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, nell’ambito delle iniziative offerte alla città domenica 18 settembre per la Giornata europea della cultura ebraica.
Parole, linguaggi e capacità di dialogo fra i popoli e fra le persone e Dio, lettere ricevute dal Cielo e scritture elaborate dagli uomini nel corso della loro storia millenaria, in un intrecciarsi di spunti, sono stati gli argomenti toccati e proposti nel corso dell’incontro. “Partirei dal titolo ‘Il potere della parola’ – ha introdotto Daverio riferendosi al tema scelto quest’anno per la Giornata – e dagli incontri tra le varie culture che compongono qualcosa a cui sono molto affezionato, ma che oggi è molto fuori moda: la cultura europea, che non siamo in grado di definire fino in fondo, ma in cui l’incrocio fra culture è fondamentale”. “Il potere della parola fu importante nel mondo medievale – ha proseguito -, epoca storica di cui in realtà non sappiamo molto, durante la quale l’incontro fra culture avveniva in modo naturale, almeno fino a quando ci fu libertà commerciale, mentre il rapporto fra culture divenne invece drammatico quando nacquero gli Stati”.
Sempre a proposito di culture, il rabbino e scriba Spagnoletto ha poi parlato dell’importanza della trasmissione del testo scritto nell’ebraismo e ricordato episodi e rabbini del Talmud intenti a raccomandare come “nel rotolo della Torah non potesse mancare nemmeno una lettera del testo sacro, altrimenti sarebbe come se mancasse un’anima del popolo, che è tutto contenuto nella Torah”. ’Sofer’ , ‘scriba’, in ebraico significa appunto “quello che conta” le lettere per non dimenticane neanche una. Figura sincera e modesta, “lo scriba è dedito a redigere testi e oggetti sacri senza mai apporre la sua firma, al contrario di quanto avviene nel mondo artistico moderno”, ha sottolineato Spagnoletto. Atteggiamento tipico “anche in Europa per tutto il periodo dell’alto medioevo, cioè prima che scoppiasse l’individualismo”, ha fatto eco Daverio spiegando che il passaggio dalla cultura medievale a quella rinascimentale nacque con l’esaltazione dell’individualismo e cambiò del tutto la concezione della relazione fra l’individuo e la comunità”, una concezione dell’individuo che alla base della moderna cultura occidentale e che può essere “per certi versi anche un po’ catastrofica”.
Sempre alla luce degli incontri fra popoli e culture, Daverio ha poi sottolineato che “i fenici inventarono la prima scrittura semplificata, con lettere in comune con l’alfabeto ebraico, e dalla scrittura nacquero il concetto del numero e la semplificazione delle lettere e dei numeri”, entrambi alla base dello sviluppo dell’Occidente, anche dal lato tecnologico e scientifico, “dal frigorifero ai computer”, perché “con il geroglifico non avremmo mai fatto la bomba atomica” ma “nemmeno la penicillina”. Una inter-cultura di base, quindi, che spinge poi Daverio a dire che “Israele dovrebbe entrare in Europa, la quale non esisterebbe se non ci fosse la tomba di Abramo”.
Pelli, pergamene, calamai e calami, nella storia e nelle differenti tradizioni, sono stati poi citati nel dibattito arricchito dalla scrittura a mano di due parole ebraiche, poi spiegate da Spagnoletto: “Sheker, ‘menzogna’, dalle lettere ravvicinate perché nella menzogna ci si imbatte più spesso, ed Emet, ‘verità’, dalle lettere più dilatate e dalla base solida, nonché la prima, la centrale e l’ultima lettera dell’alfabeto, perché la verità si trova di meno, ma poggia su una base stabile”. Le lettere ebraiche sono così state illustrate al pubblico come dei “segni con dentro una spiritualità”, con il loro significati letterali, segreti e mistici. Tuttavia, se “dietro alle lettere c’è un’intelligenza, questa non è solo appannaggio degli eruditi: nella tradizione ebraica la possono apprendere anche i bambini a scuola” perché “nelle comunità ebraiche non c’è mai stato analfabetismo”, ha detto il rabbino.
Il dialogo è così proseguito a proposito dei diversi retroterra storici e delle identità dei popoli che possono essere causa dei differenti rapporti con la capacità di scrittura e di lettura. “Un analfabeta veneto e calabrese o del Brandeburgo, aveva un tipo di identità che derivava dal lavoro agricolo, ma per un popolo in costante movimento tutto è diverso, perché la cultura è la cosa più trasportabile che esista – ha suggerito Daverio ricordando le radici nomadi del popolo ebraico -. È l’antropologia dei popoli che va guardata con attenzione, non solo dal lato religioso, ma anche antropologico. Mi resta una domanda: come facevano gli ebrei a conciare bene le pelli” per produrre pergamene “durante l’esodo”? “Per questo la Torah è strada tramandata oralmente – ha risposto il rabbino -, per questo la tradizione era orale e le tavole della legge sono state date su pietra” attraverso “una scrittura che anticipa la creazione del mondo, che viene da Sopra” poiché “Moshè ha ricevuto la Torah sul monte Sinai”.
Lettere come contenitori spirituali, quindi, ma anche segni grafici vicini alla “cultura visiva, che è più complessa di quella figurativa” ed è importante anche nella tradizione ebraica in quanto comprende l’architettura, ha poi spiegato Daverio, facendo l’esempio del Tempio di Gerusalemme. E, sempre a proposito cultura artistica, Spagnoletto ha a sua volta spiegato l’arte del disegno delle ketubot, i contratti matrimoniali ebraici, esempi di stile e di tradizioni ebraiche come lo sono anche diverse sinagoghe italiane, sulle quali Daverio ha infine dichiarato: “Manca un libro sulle sinagoghe in Italia”.