di Ester Moscati
Si parlerà di dialogo interreligioso, il 10 ottobre, per la Giornata europea della Cultura ebraica, nell’incontro Il Progetto Maimonide (introduzione a cura di Fiona Diwan. Con la partecipazione di rav Alfonso Arbib, Mons. Gianantonio Borgonovo, Imam Yahia Pallavicini, Lama Paljiin Tullio Rinpoce).
Ma qual è il valore di questo dialogo e come procede oggi? Ne abbiamo parlato con Rav Alfonso Arbib, Rabbino Capo della Comunità ebraica di Milano.
«Il dialogo interreligioso – spiega Rav Arbib – ha un’importanza evidente e dei limiti altrettanto evidenti. L’importanza è quella di diminuire le tensioni. Penso soprattutto al dialogo con la Chiesa cattolica che credo abbia portato a risultati importanti.
Prima di tutto l’impegno della Chiesa cattolica nella lotta all’antisemitismo e all’antigiudaismo, che sono stati parte integrante della cultura cattolica e della teologia cattolica, nel corso dei secoli. Il fatto che da parte della Chiesa non si possa più parlare di deicidio, cosa che per noi può sembrare scontata, ma non lo è affatto, è un risultato importante. Il fatto che la Chiesa cattolica oggi dica esplicitamente di non avere come obiettivo la conversione degli ebrei anche questo è tutt’altro che scontato. Il fatto poi che si sia abbandonata la ‘teologia della sostituzione’, che ha fatto danni molto gravi nel corso dei secoli, è anche questo un risultato importante e non scontato del dialogo ebraico-cristiano». La teologia della sostituzione, in particolare, è la dottrina cristiana secondo la quale la “nuova alleanza” stabilita da Yehoshua di Nazareth, avrebbe sostituito l’antica alleanza stabilita con Moshe e perciò oggi i cristiani sarebbero il vero popolo di Dio. Il progressivo abbandono di questa teologia, associata per secoli all’insegnamento del disprezzo verso gli ebrei, si deve allo storico ebreo Jules Isaac, uno dei grandi visionari dell’amicizia cristiano-ebraica dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1960, ottenne una storica udienza privata da Papa Giovanni XXIII e questo incontro diede l’inizio a un’amicizia con il pontefice, che avrà profonda influenza nella redazione della enciclica Nostra aetate, approvata nel 1965 dal Concilio Vaticano II.
«Per la Chiesa cattolica, abbandonare la ‘teologia della sostituzione’ è stato un passo importante, ribadito da Papa Ratzinger nella sua visita al Tempio Maggiore di Roma, quando ha detto: ‘L’Alleanza di Dio è irrevocabile’, quindi l’Alleanza con il popolo ebraico è irrevocabile. Tutto questo è importante – continua Rav Arbib – e soprattutto non va dimenticato, tanto più in momenti in cui ci sono dei problemi».
E problemi oggi ci sono; il dialogo sembra meno stretto e frequente, e si sente la mancanza di grandi figure che nel dialogo hanno speso infinite energie, come il Cardinale Martini e Rav Giuseppe Laras zz’l. «Infatti, oggi, ai risultati importanti che ho citato – spiega Rav Arbib – si accompagnano dei limiti. Il limite fondamentale è posto dalla domanda ‘su che cosa si dialoga’. Credo che il limite sia il dialogo teologico. Il dialogo non può trasformarsi nella ricerca di una specie di religione universale, in cui mescolare tutto. E questo è tanto più rischioso in un mondo globalizzato e che tende ad essere superficiale, in cui vanno molto di moda gli slogan, affermazioni generiche che in teoria dovrebbero andare bene per tutti. Invece è importante ribadire che le religioni hanno una loro identità. E questo vale soprattutto per l’ebraismo. L’identità propria di ciascuna religione non deve essere messa in discussione».
Quindi il dialogo teologico ha limiti molto evidenti e molto forti, ma c’è un secondo problema che può ostacolare il dialogo. «Il limite – continua Rav Arbib – riguarda sia la Chiesa cattolica, sia, ancora di più ovviamente, il mondo islamico: è la questione Terra di Israele e Stato di Israele. Il problema è molto forte nel dialogo con l’Islam, ma anche con la Chiesa. Anche qui sono stati fatti passi in avanti, con l’apertura delle relazioni diplomatiche tra Israele e Vaticano nel 1993 (non a caso dopo gli accordi di Oslo tra Israele e palestinesi, ndr). Ma il problema c’è, inutile nasconderlo, ed ha valenze teologiche e soprattutto politiche. La Chiesa ha una fortissima esigenza di aprire un fronte di dialogo con l’Islam nel suo insieme, e gli ebrei in questo fronte sono ininfluenti. E c’è il problema delle Chiese d’Oriente, fortemente anti-israeliane e verso le quali la Chiesa di Roma non esercita alcun filtro».