Rosh Ha-Shanà 5767, il saluto al nuovo anno

Feste/Eventi

In questa particolare stagione, la stagione del passaggio da un anno all’altro, gli ebrei sono chiamati a lasciarsi coinvolgere in un profondo processo di revisione di quanto avvenuto nei mesi precedenti. Comincia un percorso di pentimenti e di correzione delle colpe, (la Teshuvà), che tutti noi commettiamo nella nostra vita quotidiana che se inteso correttamente rappresenta una grande ricchezza dell’identità ebraica. I nostri Saggi hanno insegnato a questo riguardo alcune verità che considero non solo importanti, ma anche rivoluzionarie.
Come è noto il processo di Teshuvà deve articolarsi per gradi e attraverso passaggi tutti necessari e irrinunciabili. Consideriamo, per esempio, il significato di uno di questi passaggi posto all’inizio del percorso: quello del riconoscimento della colpa. Ovviamente non siamo chiamati ad esprimere un dispiacimento generico per le colpe che possiamo eventualmente aver commesso, ma a mettere in opera un’analisi profonda e sincera, che ci porti a riconoscere, a chiamare per nome i nostri errori e a farlo, pur se di fronte a noi stessi e alla nostra coscienza, usando le parole.
Questa impresa, che potrebbe apparire relativamente semplice, in realtà si rivela forse l’aspetto più impegnativo di tutto il processo di Teshuvà. E la difficoltà nell’affrontarlo dipende dai molti modi che la natura umana ci offre di ingannare noi stessi. Il rav Joseph Soloveitchik si è domandato come mai sia necessario confessare i peccati, quando potrebbe sembrare sufficiente concentrarsi mentalmente sulla loro natura. Ci sono in effetti pensieri che siamo capaci di formulare che ci fanno soffrire e che non saremmo mai capaci di esprimere apertamente con parole e frasi. Perché? Noi possediamo meccanismi di difesa che ci consentono di mimetizzare le colpe che commettiamo in mezzo a mille altri fatti, considerazioni, circostanze e scusanti. Esplicitare attraverso la parola pronunciata quello che sappiamo benissimo, ma che abbiamo difficoltà ad ammettere, significa far emergere i fatti spogliati di ogni commento e di ogni giustificazione.
Sappiamo che il rituale ebraico prevede due forme di confessione, una generica e collettiva, quando durante le preghiere ci associamo a un’elencazione di possibili colpe che devono essere riconosciute da tutto il popolo ebraico, e una individuale. Proprio attraverso questa confessione individuale possiamo sperare di raggiungere pienamente l’obbiettivo di riconoscere con chiarezza le nostre colpe.
Sempre seguendo l’itinerario illuminato dal pensiero di rav Soloveitchik, vorrei ora mettere in rilievo un passaggio che segue quello dell’individuazione della colpa e che conduce alla sua correzione. Il Rav insegna che la Torà utilizza due definizioni per indicare la possibile risoluzione della colpa, la Kapparà (espiazione) e la Taharà (purificazione). La Kapparà costituisce un passaggio iniziale, che evita la punizione senza raggiungere una vera e propria cancellazione della colpa commessa. Ma la Teshuvà più profonda può fare ben altro, può coinvolgere tutta la persona disposta a mettersi in gioco e far nascere una nuova personalità cancellando radicalmente la colpa commessa. Questa purificazione rappresenta una trasformazione dell’individuo molto profonda e al tempo stesso un progetto molto ambizioso.
La lezione che possiamo imparare da questa classificazione a prima vista solo formale, ma in realtà molto profonda, è che il passato non si può mai dimenticare, non si può nascondere o negare, a pena di vederlo rientrare dalla finestra, ma può invece essere riformato, riscritto, attraverso un processo profondo di purificazione. Il passato non può essere eluso, ma può essere riscritto. Non si può ignorarlo, ma la sua accettazione, il suo riconoscimento, non ci obbliga a subirne le conseguenze, se troviamo la forza di cambiare il suo corso a posteriori. E questo rappresenta una vera e propria rivoluzione che possiamo offrire a noi stessi e al mondo.
Il Talmud insegna infatti che noi abbiamo attraverso la Teshuvà la possibilità di trasformare le colpe in meriti, di ribaltare radicalmente la situazione. Ne consegue che le colpe commesse non rappresentano necessariamente una condanna, ma possono costituire se lo vogliamo addirittura uno straordinario strumento di purificazione. Sempre il Talmud utilizza l’espressione “Proprio perché sono caduto ho la possibilità di rialzarmi”. Questo significa che la caduta rappresenta una straordinaria chance di rilancio verso l’alto, ma anche che questa rinascita parte precisamente dalla coscienza di essere precipitati.
L’idea rivoluzionaria della Teshuvà che tutti noi siamo chiamati in questo periodo a compiere è certamente che noi possiamo incidere sul nostro futuro, ma che per farlo dobbiamo e possiamo ripensare il nostro passato. Ancora il Talmud spiega che dove vivono coloro che hanno affrontato con impegno il processo di Teshuvà, difficilmente possono sopportare di coesistere i Giusti completi, coloro che hanno ben poco da farsi perdonare. Questo perché, secondo alcune interpretazioni di questo difficile passaggio, il valore del lavoro compiuto da chi è caduto e ha trovato il modo di rialzarsi è ineguagliabile e non paragonabile con il valore di chi possiede anche le più straordinarie doti.
Questo ci consente di affrontare le situazioni più difficili con un’arma straordinaria. La consapevolezza che gli elementi negativi che accompagnano la nostra esistenza non sono mai irreparabili, ma anzi possono essere utilizzati come strumenti per costruire cose nuove.
L’augurio che rivolgo a tutta la Comunità e a me stesso in occasione di questo Rosh Hashanà è di conseguenza di trovare la forza e la capacità di raggiungere una Teshuvà profonda e sincera.
Di cogliere l’occasione per migliorare noi stessi e con questa azione anche il mondo che ci circonda. Il Capodanno ebraico, infatti, non è un fatto di nostra esclusiva proprietà, ma ripercorre il momento in cui tutta l’umanità è stata creata e in cui tutto il mondo torna di fronte al proprio Creatore per essere giudicato.

Rav Alfonso Arbib – Rabbino capo della Comunità ebraica di Milano

Nello scorso mese di giugno gli ebrei Milanesi hanno eletto un nuovo Consiglio della Comunità. Come è noto da allora due componenti hanno scelto di collaborare per formare una Giunta solida e coerente con il percorso compiuto precedentemente. Da allora ad oggi, se si tiene conto della pausa estiva, che ovviamente tende a rallentare alcune attività, il tempo per lavorare non è stato molto. Ma al momento del passaggio da un anno ebraico all’altro, assieme ai miei auguri più sinceri e calorosi a tutti gli iscritti e a tutta la Comunità, credo sia giusto offrire un quadro della situazione, di quanto è stato fatto e di quali obbiettivi ci ripromettiamo di raggiungere.
Credo sia utile innanzitutto offrire un quadro di quanto si sta compiendo per dare alla Comunità un Ufficio rabbinico autorevole ed efficiente. A un anno dall’insediamento del rav Alfonso Arbib, il nuovo rabbino capo di Milano, l’Ufficio sta procedendo nella realizzazione di un suo rafforzamento su più fronti. Innanzitutto sono in arrivo quattro rabbini di supporto dalla realtà israeliana che daranno vita a un centro di studi nel polo del tempio centrale di via Guastalla e saranno in grado di affiancare il rav Arbib e il rav David Sciunnach in alcune delle loro attività. La Giunta sta anche valutando la possibilità di rafforzare ulteriormente l’ufficio in modo da venire incontro nel miglior modo possibile alle esigenze dell’utenza.
Da segnalare poi anche la sistemazione degli uffici del Tribunale rabbinico milanese, affidato alla guida autorevole del rav Giuseppe Laras, che può godere di una sede autonoma, centrale e riservata per lo svolgimento delle proprie attività. Da questo punto di vista credo sia stato compiuto da tutti i responsabili un lavoro egregio per conferire all’Ufficio del Beth Din tutta l’autonomia e la dignità necessaria, ma anche per valorizzare al meglio l’autorevolezza del rav Laras che continua a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile sia per tutta la Comunità che per la città.
Un altro fronte su cui il nuovo governo della Comunità ritiene necessario lavorare è la riprogettazione del servizio di assistenza. Siamo in attesa di inserire nella struttura esistente una nuova assistente sociale, specializzata nell’aiuto a quei tanti anziani che non sono ospitati nella Casa di riposo e che rischiano di rimanere isolati sia nella vita quotidiana sia nei rapporti comunitari. Si avvierà in questo modo una nuova cultura del lavoro di assistenza, che per forza di cose dovrà sempre di più rendersi itinerante e in grado di raggiungere chi è in difficoltà o soffre di isolamento là dove si trova realmente, e non solo nelle sedi che la Comunità già mette a disposizione degli iscritti.
Proprio sulla Casa di riposo è importante segnalare che i lavori di realizzazione della nuova sede, la cui apertura è prevista fra poco meno di due anni, per la precisione fra 22 mesi, procedono regolarmente e rispettano bene la tabella di marcia. In tempi brevi vorrei si tenesse un’assemblea consultiva degli iscritti per discutere assieme delle varie ipotesi sulla destinazione dello stabile di via Leone XIII attualmente utilizzato per la Casa di riposo. Quando questo stabile sarà liberato e la struttura sociale sarà trasferita, infatti, si offriranno numerose opportunità di sviluppo e di investimento che potranno comportare ricadute importanti sulle risorse economiche a disposizione.
Questa assemblea costituirà un passaggio importante prima di affrontare un approfondimento in Consiglio ed assumere le decisioni del caso.
Molto lavoro si sta anche compiendo sul fronte della Scuola, che continua a rappresentare il cuore e il principale propulsore della Comunità e che deve essere sviluppata e continuamente migliorata per offrire agli iscritti il miglior servizio possibile, ma anche per garantire alla presenza ebraica a Milano un futuro solido e positivo.
E molto sul fronte delle attività culturali e dei rapporti con la società circostante. Gli appuntamenti milanesi della Giornata della cultura si sono rivelati un successo e la Comunità ha cominciato ad aprirsi ulteriormente al rapporto con i tanti cittadini che da tempo chiedevano un punto di contatto più stabile con la realtà dell’ebraismo milanese. Le numerose e prestigiose manifestazioni culturali in programma nei prossimi mesi contribuiranno a rinsaldare questi rapporti e a far nascere, nei nostri auspici, più amicizie, oltre a uno scambio e un dialogo sempre più profondo.
La Giunta intende lavorare intensamente anche nella riaffermazione del nostro legame con lo Stato di Israele. Si tratta di una rapporto irrinunciabile che ci porta ad osservare la situazione mediorientale con la massima attenzione e ci fa intervenire, là dove possibile, per accrescere nella società circostante la consapevolezza e la comprensione delle ragioni di Gerusalemme. Il soggiorni di quasi 200 bambini israeliani in Italia durante l’estate, quando le ragioni settentrionali di Israele erano sotto il tiro dei razzi degli estremisti islamici che operano dal territorio libanese, è stato realizzato anche con il contributo della Comunità milanese. Si è trattato solo di un piccolo gesto di solidarietà fra i tanti, espressi dalle organizzazioni e anche da singoli iscritti, che ha però avuto il senso di ricordare come il nostro destino, le nostre speranze e i nostri ideali siano in un modo o nell’altro intimamente connessi a quanto avviene in Israele.
Anche per lo sviluppo e il rafforzamento di questo rapporto, così come per il compimento di tutti gli altri nostri progetti, la comunità chiede e ridistribuisce risorse sulla base di un principio di equità e di solidarietà.
Lo stesso sentimento di solidarietà che ci consente oggi, alla soglia del nuovo anno che mi auguro sia felice, positivo, ricco di meriti e soddisfazioni per tutti noi, di affermare che la Comunità è più unita e vicina a ognuna delle sue componenti. La presenza ebraica a Milano è molto complessa e articolata, ma anche capace di unire le proprie energie nel rispetto reciproco per il raggiungimento dei tanti obbiettivi che siamo chiamati a realizzare.

Leone Soued – Presidente della Comunità ebraica di Milano

Messaggio del Presidente dello Stato d’Israele, Moshe Katsav, alle comunità ebraiche

Cari amici, alla vigilia del nuovo anno 5767, noi ci troviamo ad affrontare nuove e difficili sfide che ci obbligano a trovare modi efficaci per tener loro testa. Lo Stato d’Israele sta fronteggiando nuovamente il terrorismo islamico radicale, che sta tentando di impedire la stabilità e la pace nel Medio Oriente e di minare i valori umani universali e le fondamenta della democrazia in tutto il mondo.
Negli ultimi mesi siamo stati impegnati in una guerra contro Hezbollah, un’organizzazione che per anni ha minacciato i residenti del Nord d’Israele, ha attaccato cittadini pacifici e ne ha scosso la sicurezza; e tutto ciò per nessun motivo, senza alcuna giustificazione, alla luce del fatto che Israele ha applicato le risoluzioni Onu alla lettera e si è ritirato da tutti i territori libanesi, proprio come deciso dall’Onu.

Il conflitto israelo-palestinese non è la causa del terrorismo islamico nel mondo. L’islam radicale vuole dominare il mondo islamico e anche la cultura occidentale. Lo Stato d’Israele sta anche combattendo la battaglia del mondo democratico per il valori umani, per i valori democratici.

Ringrazio le comunità ebraiche in tutto il mondo e le elogio per il loro sostegno e la loro solidarietà e identificazione con il popolo israeliano mostrati durante questi mesi. Le visite delle delegazioni delle comunità ci hanno dato coraggio e hanno rafforzato le relazioni reciproche esistenti fra noi.

Mi rivolgo alle comunità ebraiche, perché stringano e rinforzino il legame tra la Diaspora ebraica e lo Stato d’Israele, e invito la gioventù ebraica di tutto il mondo a venire a visitare Israele, ad agire per preservare l’eredità ebraica e i valori ebraici, e a rafforzare l’attaccamento del popolo ebraico per la propria patria. Dobbiamo continuare ad agire insieme, per sradicare l’antisemitismo, che ha sollevato la sua orribile testa in molte parti del mondo e minaccia gli ebrei e anche i valori morali e umanitari. Molti governanti del mondo libero condividono la preoccupazione per il crescente antisemitismo e sono decisi a combatterlo con determinazione e responsabilità.

Durante i giorni che conducono a Rosh Hashana, un periodo di introspezione personale e nazionale, noi tutti abbiamo l’obbligo di agire secondo i sacri valori ebraici e di preservare l’eredità ebraica e l’unità del nostro popolo.
Stiamo affrontando decisioni di grande rilievo per la vita del nostro popolo e del paese. Io credo che noi sapremo, specialmente nel momento cruciale, come preservare l’unità, miei amati e preoccupati fratelli e sorelle, persino nei momenti di controversie e di dissenso.

A nome del popolo israeliano e a nome mio, desidero trasmettere a voi e alle vostre famiglie i nostri auguri per un buon anno, un anno di amicizia e produttività, un anno di pace e sicurezza, un anno in cui possiamo mantenere la nostra forza nazionale.

Shana Tovah

Moshe Katsav