di Ilaria Ester Ramazzotti
“Se vogliamo dire qualcosa su come inquadrare ciò che è accaduto nel mondo, a noi, alle comunità che voi rappresentate, e su ciò che rende la risposta ebraica diversa e speciale, la sintesi è che la globalizzazione, che per tutti gli altri è quanto c’è di più nuovo, per noi è quanto c’è di più antico”. Così ha esordito Rabbi Lord Jonathan Sacks, già Rabbino Capo di Gran Bretagna e Commonwealth, in apertura del messaggio rivolto alle comunità nel giorno della Giornata europea della cultura ebraica, intitolato ‘La via luminosa del sapere e la forza delle idee nella più sconcertante crisi globale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale’.
Un messaggio forgiato di forza, condivisione, solidarietà e fede, pensato e scritto per questi mesi difficili, stretti fra post-lockdown e crisi economica, in un mondo sempre più globalizzato. Un messaggio ispirato alla consapevolezza della forza risolutrice e fattiva dell’educazione e nei valori comunitari ebraici, con parole dedicate ai rappresentanti delle comunità ma anche e soprattutto agli educatori, ai genitori e a tutti i singoli membri. “Già al tempo della distruzione del Secondo Tempio, gli ebrei si dispersero in Babilonia, in Egitto, in Libano e altrove – ha spiegato introducendo il tema della globalizzazione -. Al momento della distruzione del secondo Tempio si dispersero per tutto il Mediterraneo, per tutto il mondo civilizzato, eppure si vedevano ed erano visti come un’unica nazione, un unico popolo: furono il primo popolo globale del mondo. Ed era straordinario, dato che non avevano alcuna delle caratteristiche di una nazione. Non vivevano nella stessa terra, non avevano lo stesso sistema politico, non parlavano la stessa lingua, lo stesso idioma quotidiano – ha sottolineato -: Rashi parlava francese, Rambam parlava arabo. Non avevano neanche la stessa cultura: Rashi era in un contesto culturale cristiano, Ramban in uno musulmano; e non condivisero lo stesso destino”.
L’importanza della consapevolezza della storia ebraica e la forza dell’educazione
“Mentre in Spagna, dall’XI al XII secolo, gli ebrei sperimentavano l’età dell’oro, gli ebrei del Nord Europa venivano massacrati dai crociati. Quando furono espulsi dalla Spagna, e la comunità spagnola arrivò alla fine, in Polonia gli ebrei godevano di un’insolita misura di tolleranza. Non condividevano nulla. Già nel X secolo Saadia Gaon si chiedeva: ‘Che cosa mai ci rende una nazione’? Non abbiamo alcuna delle normali caratteristiche di una nazione. Ma rispose con le famose parole: “Tutto quello che ci lega è la nostra Torah”. La Torah è il motivo per cui leggiamo gli stessi libri, ripetiamo brani degli stessi libri nello stesso momento, celebriamo le stesse feste, recitiamo fondamentalmente le stesse preghiere. È la nostra Torah a unirci e darci forza”.
“È molto importante che noi siamo consapevoli di certe cose accadute nel passato. La Spagna ha avuto la sua Kristallnacht, nel 1391; ha espulso i suoi ebrei nel 1492, così per 101 anni gli ebrei spagnoli rimasero in uno stato di continua persecuzione, furono privati dell’accesso a qualsiasi professione, eccetera, eccetera. Le loro ricchezze si dissolsero, le restrizioni si andarono aggravando. Ma nel 1432 le comunità ebraiche della Spagna si riunirono a Valladolid, al sinodo di Valladolid, e presero una importante decisione collettiva: ci sarebbero state tasse sulla carne kasher, sugli eventi gioiosi e su ogni altra cosa, solo per finanziare l’istruzione ebraica. Per finanziarla a un livello più alto, in modo che ogni comunità con quindici bambini avesse un insegnante. Fu uno dei più straordinari eventi di tutti i tempi. Nonostante a quel tempo fosse afflitta da povertà e persecuzione, quella comunità decise di investire nell’educazione ebraica. Fu un momento assolutamente straordinario.
La stessa cosa si ripetè nelle comunità del Centro-Europa dopo la fine della guerra dei Trent’anni. Quel Centro-Europa devastato, nel quale almeno un terzo della popolazione morì. La guerra dei Trent’anni finì poi nel 1648. Qualche anno fa vennero alla luce alcuni ‘pinkassim’e il primo atto della comunità ebraica dopo la devastazione del Centro-Europa fu quello di organizzare il proprio sistema educativo.
Ma se vogliamo il caso dei casi, il Talmud, nel trattato di Bava Batra 21a, parla di come nel I secolo la comunità ebraica in Israele, appena prima della distruzione del secondo Tempio, istituì il primo sistema in assoluto di educazione obbligatoria per tutti i bambini dai sei anni in su. L’ebraismo si stava sgretolando, tutti sapevano che stava per accadere qualcosa di brutto; ovunque si profetizzavano sventure. Tuttavia, Yehoshua ben Gamla istituì per la prima volta un sistema di educazione per tutti, nel momento più difficile.
È proprio nei tempi più duri che dobbiamo investire nell’educazione
Questo è ciò che voglio dirvi: la storia ebraica ci dice di investire nell’educazione ebraica, quando i tempi sono duri. Quando la gente è povera, nel mezzo di una crisi, quando subisce un trauma, proprio quello è il momento di investire nel futuro. E la prima cosa che dobbiamo dire ai genitori è: ‘Vi è stata data l’opportunità straordinaria di compiere una mitzvah, che è una delle più importanti mitzvot dell’intera Torah: ‘Insegnerete (queste parole) ai vostri figli e le pronuncerete’. È così che nell’ebraismo i genitori sono educatori. Noi deleghiamo spesso agli educatori, che diventano fantastici, ma credo che sia molto importante dire ai genitori di guardare all’educazione come a un privilegio, non come a un peso, perché i figli non lo dimenticheranno mai. Impareranno e si avvicineranno ai genitori più di quanto non sarebbe accaduto altrimenti. Questi sono tempi speciali, forse difficili. È importante allora dire ai genitori: ‘ State svolgendo quel compito sacro di cui parliamo nel primo paragrafo dello Shemà e anche nel secondo, ma che non abbiamo normalmente occasione di svolgere. E gli insegnanti dovrebbero trovare di modi creativi di incoraggiare l’interazione fra genitori e figli. In secondo luogo, è di estrema importanza che gli educatori possano dire ai genitori come monitorare i progressi dei figli. Terzo, credo che sarebbe estremamente di aiuto usare la tecnologia, cosicché gli educatori si rendano disponibili per i genitori secondo un sistema di domande e risposte. I genitori devono sentire di poter chiedere all’insegnante: ‘Faccio bene così? Mio figlio sta procedendo nella direzione giusta? La risposta che ho dato era buona o cattiva’? Penso che ai genitori serva un po’ di aiuto dagli educatori.
I valori ebraici come chiave e guida del saper vivere e convivere
Ci sono cose dell’ebraismo che le persone amano, indipendentemente dal loro livello di impegno e, per essere totalmente onesto, che siano ebrei oppure no. C’è un uomo meraviglioso, Mustafa Suleyman, il co-fondatore di DeepMind (azienda leader mondiale nell’intelligenza artificiale), che è un mussulmano ateo. Una volta mi ha chiesto di poter venire al tempio èd è venuto. È stato piacevole. Dopo il pranzo mi ha risposto: ‘Mi è piaciuto il senso di comunità’. È certo, per prima cosa, che tutti amano il senso di comunità ebraico. Seconda cosa: tutti sanno che gli ebrei hanno una passione per l’educazione e vorrebbero sapere da dove ci viene: ovviamente ce l’abbiamo ed è una cosa notevole. Questa passione rimane più a lungo di qualsiasi altra cosa, anche in un ebreo la cui famiglia ha abbandonato la yiddischkeit per tre generazioni. Terzo: basta guardare al mondo per vedere come gli ebrei hanno raggiunto dei risultati oltre l’immaginabile. Tutti sanno dei premi Nobel. Penso anche alla musica: Gustav Mahler, Arnold Schonberg, Maurice Ravel o George Gershwin o Irving Berlin o Jerome Kahn o gli ebrei newyorchesi che hanno realizzato West Side Story, come Arthur Laurents, Stephen Sondheim, Leonard Bernstein, tutti i poeti e i cantanti del nostro tempo come il compianto Leonard Cohen o Bob Dylan e Paul Simon. Tutti ebrei, nonostante siamo un popolo minuscolo. Come mai? La gente pensa che gli ebrei vincano premi Nobel o siano gente ricca, ma ovunque si guardi, dalla ricerca medica all’economia, di fatto hanno vinto il 38 per cento dei premi Nobel. Dobbiamo allora essere capaci di dire: ‘Avete visto i risultati, adesso vi mostriamo il motore. Guida ed è così potente che durerà per generazioni. I vostri figli e nipoti lo avranno. Vi facciamo entrare nella sala dei motori”.
La capacità di fare comunità e la potenza della solidarietà
Ci sono cose che ci hanno resi straordinari e che parlano alle persone, come il modo in cui gli ebrei si aiutano fra loro. Ogni volta che una qualunque comunità ebraica da qualunque parte nel mondo è in difficoltà, gli ebrei si riuniscono e rispondono. E lo fanno per aiutare altre persone”. “Il potere degli ebrei è di mobilitarsi per aiutarsi l’un l’altro. E di fronte a un futuro difficile dobbiamo rendercene conto”.
“Io mi regolo in base a due principi. Il primo è: non giudico mai gli ebrei. Questo lo lascio a Hakadosch Baruchu. Lo farà meglio di quanto non lo farei io. Ogni singolo ebreo che incontro, per quanto mi riguarda, è un ebreo meraviglioso. La definisco la scuola di impegno ebraico di Shlomo Carlebach, ma io la vedo così: che credo che le persone abbiamo esperienze disparate e che alcuni vengono da infanzie assai diverse. Alcuni sfidano e giudicano chiunque, ma io provo a rispettare chiunque e ammirare chiunque”.
“Il secondo principio, non veramente ben compreso, è questo: se prendessi dei beni materiali, che sono di due diversi generi, cioè ricchezza e potere, e li dividessi con altre nove persone, mi resterebbe un decimo della cifra iniziale. Lo stesso accadrebbe se condividessi un potere con altre nove persone. Così, più condivido dei beni materiali, meno ne ho. I beni spirituali sono invece diversi: se condividessi una certa quantità di conoscenza con altre persone, ma anche amore, amicizia o fiducia, alla fine ne avrei di più. E sapete chi conosce questo principio nel profondo? Gli ebrei Chabad. Arrivano in posti dove la Yiddischkeit è completamente assente e lì condividono la Yiddischkeit. Poi ne hanno di meno? No, ne hanno di più! Così, in una scuola con all’interno diversi gradi di impegno, ciascuno deve diventare un Chabad: ciascuno deve lavorare per avvicinare e per condividere ciò che ha con gli altri per poi scoprire di avere più spiritualità e non di meno, di avere più conoscenza e non di meno. Questo la gente davvero non lo comprende. Ed è un grave errore, perché più varietà c’è in una scuola, più opportunità abbiamo di condividere ciò che abbiamo in maggiore quantità degli altri”.
Promuovere l’anti-fragilità e sapere che innalzando gli altri si innalzi se stessi
Citando il libro ‘Antifragility, scritto dal newyorchese Nassim Nicholas Taleb sul tema delle recenti crisi economiche, il rabbino ha evidenziato nelle sue riflessioni questo “strano titolo fatto con una parola inventata. L’autore – ha spiegato – dice che la gente pensi che il contrario di fragilità sia resilienza. Ma non è così. Resilienza significa non crollare quando si è sotto pressione. Ma questo è solo uno svantaggio. L’autore crede invece nell’anti-fragilità, cioè nel diventare più forti quando si è sotto pressione”. “Noi [ebrei] ci siamo arrivati prima – evidenzia Rav Sacks -. La prima dichiarazione di anti-fragilità in cui mi sono imbattuto è il primo capitolo dell’Esodo, in cui è scritto: ‘Quanto più lo opprimevano, tanto più il popolo si moltiplicava e si estendeva’. Ciò che tutti i vostri educatori posseggono, e che insegnano agli altri a possedere, è proprio l’anti-fragilità. Avete superato questa incredibile serie di pressioni che non ha conosciuto eguali nel corso della nostra vita e voi, dando forza ad altre persone, avete mostrato una forza notevole, straordinaria, contro ogni aspettativa – ha ricordato a proposito del periodo di lockdown dovuto all’emergenza Covid-. La verità è che questo è il modo in cui va il mondo. Innalzando gli altri, si innalza se stessi. Saprete sino alla fine dei vostri giorni che quando nel mondo è arrivata l’oscurità, avete portato luce alle persone. Quando nel mondo regnava la disperazione, avete portato speranza alle persone. Quando le persone hanno avuto paura, avete infuso loro coraggio. Eravate là. E anche quando era fisicamente difficile lavorare come di consueto, siete stati straordinariamente creativi anche nell’escogitare modi per continuare a essere efficaci, per continuare ad aiutare le persone. Le cose che avete fatto in questi ultimi mesi, le ricorderete per sempre. Direte che è stato difficile, ma che siete stati determinanti nella vita degli altri. Perciò vi dico di andare avanti, di affidare il vostro fardello ad Hashem che vi darà la forza di continuare – ha concluso Rav Sacks -. E vedrete che vi guarderete indietro per dire: ‘Grazie Hashem per aver fatto sì che aiutassimo gli altri quando ne avevano più bisogno’”.