di Nathan Greppi (video di Orazio Di Gregorio)
Un tema più che mai attuale quello delle pressioni e dei negoziati che vedono impegnati il presidente americano Donald Trump da un lato e l’Iran dall’altro; un tema che è stato approfondito domenica 22 settembre nell’evento “La sfida Trump-Iran” organizzato da Kesher e tenutosi nell’Aula Magna Benatoff della Scuola Ebraica, in cui il direttore de La Stampa Maurizio Molinari è stato intervistato da Fiona Diwan, direttrice dei media della Comunità ebraica di Milano (Mosaico, Bet-Magazine).
Dopo i saluti della responsabile di Kesher Paola Hazan, dell’assessore alla cultura della Comunità Gadi Schoenheit e del Rabbino Capo di Milano Rav Alfonso Arbib, la Diwan ha fatto notare che in questi giorni le milizie sciite in Iraq, alleate degli iraniani, hanno preso il controllo delle frontiere con l’Arabia Saudita e la Giordania, e quindi “l’Iran controlla questi due confini”; riguardo al piano di pace recentemente proposto dal premier iraniano Hassan Rouhani, ha sostenuto che lo ha fatto proprio quel giorno per sedersi al tavolo delle trattative con gli USA in una posizione di forza. Ha chiesto a Molinari cosa dobbiamo pensare al riguardo, al che lui ha risposto partendo da una premessa: “L’Iran è il principale attore di quello che sta avvenendo in Medio Oriente, e ha un impatto serio su tutti i paesi della regione. Questo è dovuto a un indebolimento dei paesi arabi, e il pendolo pende dalla parte dell’Iran.”
Inoltre, ha spiegato, anche Erdogan e l’Egitto sono provati da problemi economici e sociali; in questo scenario “l’Iran è stato sorpreso dalla rapidità e determinazione con cui l’Amministrazione Trump ha prima annullato la proprio adesione all’accordo sul nucleare del 2015, e poi varato delle sanzioni economiche senza precedenti verso la Repubblica Islamica, che non aveva previsto delle sanzioni simili poiché prevedono la proibizione totale di commerciare col petrolio iraniano e per l’Iran di usare dollari americani per qualsiasi transazione.” Pertanto, qualsiasi nazione o azienda che fa affari in dollari con l’Iran viene colpita dalle stesse sanzioni. L’Iran si è ritrovato a dover affrontare tutto ciò proprio mentre vi sono le proteste del pane iniziate nel gennaio 2018, e quindi rischia di implodere dall’interno.
L’Iran ha reagito rafforzando le forze Al-Quds, guidate da Qassem Soleimani, responsabili per le attività all’estero, in particolare con le milizie sciite in Iraq e in Siria. Inoltre, per mettere in difficoltà gli americani gli iraniani hanno fatto la “guerra del petrolio”, sequestrando le petroliere che transitavano nel Golfo Persico e infine attaccando gli impianti sauditi per danneggiare l’Amministrazione Trump. “L’interrogativo è qual è l’obiettivo degli iraniani. Io credo che l’interpretazione più corretta sia che gli iraniani stanno tentando di ripetere la stessa strategia di Kim Jong-un in Corea del Nord: da quando Trump ha iniziato a sedersi a trattare con Kim le minacce di una guerra nucleare sono finite. Quindi gli iraniani vogliono spingere Trump a siglare un nuovo trattato.”
Fiona Diwan ha affermato che Trump ha dimostrato ultimamente “una debolezza diplomatica, perché Trump vuole stringere la mano a Rouhani, motivo per cui ha licenziato dal suo staff il ‘falco’ John Bolton. C’è una tentazione forte di passare alla storia come un negoziatore formidabile, migliore di Obama. Sono mesi che Trump dice di voler incontrare Rouhani, e sicuramente Israele non vede di buon occhio tutto questo.”
Molinari ha spiegato che negli armamenti ci sono state molte innovazioni, soprattutto per quanto riguarda i droni (l’Iran ha la 5° flotta più grande al mondo di droni, ndr), “e lo abbiamo visto alcuni mesi fa, quando per la prima volta un drone iraniano è entrato per 10 km in territorio israeliano prima di essere abbattuto da un elicottero. Questo drone aveva a bordo delle bombe,” e questo secondo lui realizza le peggiori paure di Israele. Lo Stato Ebraico è svantaggiato su questo fronte, ma in compenso sa difendersi meglio dagli attacchi cibernetici. Questi due per Molinari sono “i due fronti su cui si combatteranno le guerre del futuro.”
Sulla posizione negoziale degli USA, ha aggiunto, “sappiamo che se facessero un nuovo accordo sul nucleare sarebbe senza scadenza e includerebbe la promessa di non sostenere il terrorismo da parte dell’Iran. È ragionevole pensare che si arriverà a un braccio di ferro tra i due paesi nei prossimi mesi.” Per quanto riguarda Israele, “al momento ha un premier uscente e una trattativa per la formazione di un nuovo governo, ma è chiaro che sulla minaccia iraniana le posizioni di Netanyahu, Gantz e Lieberman non sono molto differenti, pur avendo posizioni diverse ritengono l’Iran la maggiore minaccia all’esistenza d’Israele.”
Infine il discorso è passato sul ruolo dell’Europa: “Lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, il taglio dei fondi americani all’ANP, l’azzeramento dei fondi per l’UNRWA e la scelta di non usare più la terminologia ‘occupati’ in riferimento ai Territori Palestinesi hanno causato uno shock profondo nelle cancellerie europee, che sostanzialmente hanno vissuto tutto ciò come un terremoto. Tutto ciò è coinciso con una stagione nella quale l’Europa è stata attraversata da profonde crisi politiche interne. Adesso lo scenario sta cambiando, perché la nuova commissione europea ha reso Macron il politico più importante del continente,” in quanto è stato lui a scegliere Ursula Von Der Leyen come Presidente della Commissione Europea, e la Francia è attualmente il più politicamente stabile tra i maggiori paesi dell’Europa occidentale. “Per questo Macron preme su Trump per i negoziati con gli iraniani, anche perché la Francia vorrebbe tornare ad avere un ruolo chiave in Medio Oriente.”