di Paolo Castellano (video di Orazio Di Gregorio)
Con il suo Trattato politico-teologico Baruch Spinoza ha raggiunto così tanta fama che oggi il suo pensiero ha subito così tante interpretazioni da produrre diverse identità del filosofo secentesco. Potremmo ipotizzarne tre: lo Spinoza perseguitato che nel 1656 subì la scomunica dalla comunità ebraica di Amsterdam, lo Spinoza libero pensatore contro la religione e infine lo Spinoza “profeta della modernità”. Questa ultima definizione è stata pronunciata dallo studioso Corrado Augias che il 7 marzo ha partecipato al dibattito intitolato Il caso Spinoza e l’ebreo altro insieme al filosofo Mino Chamla e al moderatore Rav Roberto Della Rocca. La serata è stata organizzata da Kesher presso la residenza Arzaga.
Discorrere sulla cacciata di Spinoza dalla comunità ebraica olandese può risultare un esercizio superficiale, se si omettono alcuni elementi legati al periodo storico in cui visse il fine filosofo ebreo. Come ha osservato Augias, Spinoza è vissuto nel XVII secolo: una fase storica connotata da “fanatismo e da un pensiero retrogrado”. Il 1600 si apre infatti con il rogo di Giordano Bruno a Roma, e poi continua nel 1633 con l’abiura di Galileo Galilei: la teoria scientifica dello scienziato italiano non si allineava alla dottrina cattolica. In questo panorama di intolleranza però germoglia il pensiero di Baruch Spinoza. Sin da giovanissimo Spinoza va controcorrente ed elabora idee che si distaccano dalla tradizione ebraica e cristiana. Le sue teorie sono così provocatorie che nel 1656 la comunità ebraica di Amsterdam decide di scomunicarlo ad appena 23 anni. «Egli torna a casa per raccattare le sue misere cose e si avvia con il suo carretto verso l’esilio. Si trasferirà a Leida e poi nei dintorni dell’Aia per molare lenti da vista», ha sottolineato Augias. Secondo quest’ultimo, ci sarebbero due ipotesi sulla causa del cherem di Spinoza: la prima riguarderebbe una delazione e la seconda un motivo politico.
Il tema della scomunica
Da questa vicenda sorge una domanda: perché la comunità ebraica cacciò Spinoza? Una possibile risposta è intuibile dal suo Trattato politico-teologico pubblicato negli anni successivi all’esilio, ovvero nel 1670. Augias sostanzialmente ha dichiarato che la colpa di Spinoza fu quella di essere un libero pensatore che non voleva sottostare alle impalcature teologiche del tempo. Per questo motivo fu rifiutato dalla sua comunità. Per amor di verità, come ha fatto notare Chamla, Spinoza rifiutò i successivi tentativi di riconciliazione. La scomunica però non ha allontanato definitivamente Spinoza dal mondo ebraico. Tutt’altro, ha innescato successive riflessioni e dibattiti che hanno ispirato le opere di altri eminenti pensatori ebrei coevi e successivi – alcuni di questi sono Moses Hess, Moshe Idel ed Elie Benamozegh.
Come ha suggerito Mino Chamla, non è corretto assolutizzare “il caso Spinoza” come emblema dell’oppressione religiosa sul libero pensiero. A quel tempo infatti, la comunità ebraica per mantenere una determinata identità doveva far i conti con gli Orange, il calvinismo e anche il marranesimo, tutelando se stessa da possibili agitatori che avrebbero messo in difficoltà i fragili equilibri politici raggiunti. Per di più, il Trattato politico-teologico metteva in discussione l’essenza dell’ebraismo sul piano filosofico metafisico profondo e su quello teologico-politico.
Parlando delle problematiche intorno alla figura di Spinoza, Rav Della Rocca ha poi sottolineato che “nella cultura ebraica c’è sempre stato spazio per le posizioni di minoranza” e ha definito il filosofo ebreo del Seicento “un fautore della creazione di un’identità ebraica anti-istituzionale”. Come è noto, Spinoza sosteneva che Dio, in qualità di essere superiore, perfetto e infinito, immanente in tutte le cose, non potesse aver nessun dialogo con l’uomo (Deus sive natura). Egli infatti negava un rapporto tra infinito e finito. Nell’ebraismo tradizionale non è così. «Se non riconosciamo alla Torah un’origine celeste, il libro sacro diventa solo un volume di bella letteratura», Rav Della Rocca ha infatti spiegato come la Torah sia un libro che metta in comunicazione l’uomo con Ashem, dunque i due piani, infinito e finito, possono influenzarsi a vicenda. La stessa preghiera nell’ebraismo può influenzare le scelte di Dio. Augias, di parere opposto, ha invece sostenuto che le religioni stiano subendo una crisi innescata dallo studio filologico dei testi sacri: «Spinoza negava la concezione della “parola rivelata da Dio” ed è convinto che anche un testo religioso possa essere letto criticamente attraverso delle categorie filologiche. La filologia infatti mette a nudo le fragilità di qualunque scrittura e di conseguenza della sua dottrina».
La resurrezione secondo Spinoza
Un altro punto molto interessante elaborato da Spinoza è sicuramente quello dedicato alla questione della resurrezione. Il filosofo ebreo contestava ai cattolici la possibilità di un’eventuale risurrezione della carne, ma accoglieva l’idea che gli uomini potessero sopravvivere alla morte grazie al loro pensiero, tramandato nei secoli dagli studiosi. «Per Spinoza la resurrezione è da interpretare in senso spirituale. Nel momento in cui invochiamo qualcuno questo sarà accanto a noi», ha commentato Augias. Sulla stessa linea d’onda Chamla: «Spinoza è fautore di una filosofia di vita e non di morte. Ritiene infatti che il pensiero possa raggiungere un qualche barlume di eternità». Questa posizione filosofica però confuta il giudizio di coloro che etichettano Spinoza come un nemico dell’ebraismo. Spinoza è impregnato di pensiero ebraico, considerando soprattutto il pensiero di Maimonide che è alla base di questa concezione spinoziana. Lo stesso Chamla ha sottolineato la connessione tra Maimonide e Spinoza: «Secondo la tradizione ebraica la memoria dei sapienti è eterna e ha infinite estensioni».
Insomma il dibattito su Spinoza nelle comunità ebraiche è ancora molto acceso ma guai a estremizzare la figura del filosofo ebreo senza aver presente il contesto storico e la matrice ebraica che hanno ispirato il pensiero del controverso pensatore ebreo del Seicento.