Festival / Daniele Cohen: «Milano merita un Festival ebraico al top di qualità»

Jewish in the City

di Fiona Diwan

Tre anni di lavoro come Assessore alla Cultura, un incarico confermato anche dal nuovo Consiglio eletto nel giugno 2012: per Daniele Cohen si tratta davvero di una linea evidente di continuità nonché di un cambio di passo nel modo di far cultura in Comunità, «un modo capace di riflettere un’identità ebraica forte e consapevole e allo stesso tempo di narrarne le differenti sensibilità. In una duplice direzione: quella rivolta verso l’interno e il mondo ebraico e quella verso l’esterno e la città di Milano. Per tutto questo, il decentramento del DEC e il contributo di Rav Roberto Della Rocca sono stati fondamentali.

«Ho sempre pensato che fosse importante rompere una apparente dicotomia: quella che vedeva la cultura come appannaggio degli ebrei secolarizzati e laici e, di contro, lo studio della Torà come unica forma possibile di fare cultura per il mondo religioso. Tra le parole cultura e culto c’è sempre stata una certa assonanza ed anche una stessa origine etimologica. Ma questo non deve portarci a cedere alle facili contrapposizioni, bensì a porci alcune domande: la cultura non va forse intesa come un modo per discutere, approfondire, aprire orizzonti, confrontarsi? La cultura non è forse un driver fondamentale per coinvolgere la gente, farla partecipare e far sentire gli iscritti parte di un gruppo? E anche: lo studio della Torà non è forse per tutti? E assolvere così anche a una funzione identitaria, per dar voce a tutti, anche a chi non ce l’ha o chi non si identifica solo con l’aspetto religioso. L’ebraismo è bello, è ricco, è interessante e merita di essere conosciuto meglio, da tutti, anche da noi. A partire dallo studio delle nostre tradizioni. Ci sono millenni di cultura ebraica da risvegliare e vivificare: la cultura ebraica, soprattutto nel nostro Paese, rischia spesso di diventare “prigioniera” di riferimenti a volte strumentali come quello legato a Israele o della percezione, anche qui molto italiana, che lega l’ebraismo quasi esclusivamente alla tragedia della Shoah… La nostra cultura è molto altro, è studio, filosofia, letteratura, poesia, cinema, etica… , ed è internazionale.

Non dobbiamo cadere nell’auto-referenzialità ma coinvolgere personaggi che conoscono bene la cultura ebraica, anche non ebrei, e che hanno molto da dire…».

Sulla scorta di queste premesse, è nata la collaborazione tra Comunità, Giuntina e Comune di Milano per BookCity. Ed è stato aperto il Tempio Maggiore agli eventi (come ad esempio recentemente con la Giornata FAI), un fatto inconsueto se fatto al di fuori della Giornata Europea della Cultura.

E poi le visite guidate a Palazzo Reale con una lettura in chiave ebraica delle opere d’arte; o ancora, «la stessa Giornata Europea della Cultura che è diventata, negli ultimi tre anni, una specie di laboratorio-officina, un’incubatrice del Festival di Cultura Ebraica che stiamo mettendo in piedi, un evento a 360 gradi, pieno di spunti e idee, previsto per la fine di settembre. Una grande occasione di scambio e confronto, con un tema forte come quello dello Shabbat. Perché la Comunità deve diventare produttrice di pensiero e non appaltarlo a terzi. Prendiamo l’esempio di Revivim, un’esperienza di qualità curata da Moria Maknouz che è stata anche un successo, un servizio di alto livello, aperto anche ai non iscritti – per la prima volta-; l’esperienza di Revivim è anche un modo per gettare ponti, per fare cultura ebraica e insieme iniziare a parlare alla città», spiega Cohen.

E, in effetti, anche il Progetto Kesher è ripartito con rinnovato entusiasmo sotto la direzione di Rav Della Rocca e il coordinamento di Paola Boccia con ospiti e temi assai diversi tra loro ma «uniti nell’obiettivo di parlare un unico linguaggio: quello di una cultura ebraica che dia voce a tutti», spiega Cohen. E non a caso, proprio il 10 giugno ci sarà una maxi-serata sul tema “Come fare cultura ebraica a Milano?
Ma veniamo al Festival (29 settembre – 1 ottobre). Avrà come cuore tematico e titolo di questa edizione Shabbat: spazio al tempo, e si dispiegherà in giro per Milano, in una sorta di quartiere Guastalla allargato, con eventi alla Rotonda della Besana, all’Umanitaria, alla Sormani, all’Università Statale e infine, appena più decentrati, al Teatro Franco Parenti e alla Fondazione Corriere della Sera. Corsi di cucina e gare di challot, registi e filosofi a confronto, artisti e musica di strada con spettacoli a tema, laboratori per bambini e per le scuole, laboratori di danze ebraiche, presentazione di ricette e cucina tipica dello shabbat delle varie etnie-Edot in una grande Tavola della Condivisione aperta alla città, dibattiti tra studiosi di ebraistica, rabbanim, scienziati, storici, registi, scrittori (nel prossimo numero del Bollettino avremo le prime anticipazioni sul programma).
«Mi piacerebbe infine che proprio sabato 28 settembre – che è Shabbat Bereshit-, sotto la guida di Rav Arbib, tutti i rabbanim di Milano, nelle rispettive sinagoghe, proponessero una derashà proprio sul significato dello Shabbat; scritta con anticipo, questa derashà potrebbe diventare un testo stampato e distribuito durante il Festival. Insomma: in tre anni abbiamo rimesso al centro la cultura ebraica nelle sue varie anime e componenti, e messo l’uno accanto all’altro personaggi molto diversi tra loro che hanno regalato dinamismo e vivacità all’immagine dell’ebraismo. Senza mai dimenticare di unire, nel contempo, il mondo ebraico e la città.

Vorrei concludere – dice ancora Daniele Cohen – questa intervista ricordando il grande contributo di Giuditta Ventura, senza la quale semplicemente non avremmo potuto fare tutto quello che abbiamo fatto in questi anni».