di Ester Moscati e David Piazza
Woody Allen? Perché no. Ma anche Elie Wiesel, Thomas Nagel, Nathan Englander e Marc-Alain Ouaknine. Sono solo alcuni dei personaggi di livello internazionale che saranno invitati a Milano per “Shabbat Shalom – Festival internazionale di cultura ebraica”. Ad oggi è ancora allo stadio di progetto che, settimana dopo settimana, si sta strutturando e arricchendo di contenuti, idee e contatti, grazie ad un gruppo di lavoro che ci mette entusiasmo e impegno. La prima edizione -prevista a fine settembre-, sarà dedicata al tema dello Shabbat, il dono che l’ebraismo ha fatto all’umanità, ovvero il diritto, anche per lo schiavo, a un giorno di pausa e riposo. Shabbat in tutte le sue possibili sfaccettature, significati e valori. La scommessa è questa: portando all’esterno, alla città, la nostra cultura, siamo “costretti” a capire chi siamo e a ragionare sui contenuti di ciò che ci unisce, superando le nostre di-visioni, ovvero le “diverse visioni” di ciò che siamo.
È passato più di un anno da quando David Piazza ha parlato di questa idea con Daniele Cohen, Assessore alla Cultura della Comunità, e Rav Roberto Della Rocca, diventato poi Direttore scientifico del Festival; da lì è nato un progetto che si sta via via concretizzando. Sono molte ancora le incognite, molti gli aspetti appena abbozzati, molti i forse e i perché. Di deciso c’è solo il tema – lo Shabbat appunto -, che caratterizzerà la prima edizione di quello che, si spera, diventerà un appuntamento annuale nel panorama dell’offerta culturale milanese, ovvero il Festival di cultura ebraica di Milano.
Un aspetto di grande attualità che sarà possibile affrontare nel corso del Festival è quello della “connessione – disconnessione”. Quanti di noi vivono iperconnessi, nevroticamente attaccati 24 ore su 24 al proprio smartphone, che non si spegne mai, che ci richiama ossessivamente al controllo delle notifiche di Facebook, piuttosto che al refresh della pagina Corriere.it, quasi temendo di perderci la notizia del secolo? E quante volte, a tavola con gli amici, non possiamo fare a meno di sbirciare lo schermo, quasi che la nostra vera vita fosse quella a cristalli liquidi e non il cibo e le chiacchere vis a vis con i nostri amici in carne ed ossa?
«Nell’attuale società della comunicazione onnipresente, lo Shabbàt presenta la dirompente tematica della disconnessione, per potersi riconnettere alle relazioni familiari e sociali dirette», afferma David Piazza.
Lo Shabbat quindi come valore da riscoprire e apprezzare per tutti i suoi molteplici doni, spirituali e laici.
Ma anche la tecnologia sarà coinvolta nella celebrazione collettiva di questo Shabbat. «Chiederemo a tutti di twittare sul tema – dice Daniele Cohen – Di spiegare in 140 catteri qual è per ciascuno il significato più importante dello Shabbat, qual è l’azione che proprio non si compie mai per nessun motivo, qual è il ricordo famigliare più caro legato a questo giorno speciale. Vogliamo che tutta la Comunità si senta coinvolta nella realizzazione del Festival. Chiederemo alle signore di preparare dei piatti tipici e darci le loro ricette più amate, che diventeranno un libro».
Il Festival, che dovrebbe realizzarsi in autunno, vedrà gli eventi dipanarsi in diverse sedi della città di Milano, grazie alla partnership con il Comune, idealmente contigue con il Tempio Centrale. «Dal cortile di via Guastalla ai giardini di fronte al Tempio, dalla Rotonda della Besana alla sede dell’Umanitaria; dall’Università degli Studi al Teatro Franco Parenti, che senz’altro ospiterà delle rappresentazioni teatrali. Ma anche la Biblioteca Sormani e la Fondazione Corriere della Sera», spiega Cohen.
Tra i temi, Il diritto al riposo: il rapporto tra datore di lavoro e dipendente (la normativa ebraica regolamenta il riposo settimanale del lavoratore); Disconnect and enjoy: le implicazioni psicologiche e pedagogiche dello Shabbat e dell’azione di disconnettersi per ricongiungersi con altro; Il riposo collettivo: una giornata regolamentata da norme che impediscono la frammentazione comunitaria offre spunti importanti per il dibattito attualmente in corso sul valore di una giornata di riposo collettiva e condivisa.
«Uno dei temi più importanti e interessanti di questo progetto – dice Rav Della Rocca – è quello del rapporto tra spazio e tempo: le norme del sabato sono finalizzate alla creazione di un tempo “sacro” separato dal tempo “profano”. A differenza delle civiltà impegnate a costruire nello spazio, come quelle egiziane, greche e romane, che esprimevano in magnificenze architettoniche le loro forme di culto e di identificazione, nell’ebraismo è prevalsa nel corso dei secoli la santificazione del tempo».
Un altro tema caldo del Festival sarà il rapporto tra Etica e norma. L’osservanza dello Shabbat comporta l’esecuzione di due categorie di pre cetti: quelli positivi, che implicano un’azione da compiere e che rientrano nel precetto “ricorda il giorno del sabato per santificarlo”, e quelli negativi, che impongono l’astensione da una serie di lavori ed opere che rientrano nel precetto “osserva il giorno del sabato per santificarlo”. Come si sana questo scarto, questa apparente incongruenza tra la Legge che proibisce l’agire e l’agire stesso in una dimensione invece propositiva? Qual è il significato etico delle limitazioni della libertà personale di alcune norme?
Tutti questi aspetti saranno declinati nelle forme e nelle specificità dei linguaggi differenti: teatro, cinema, riflessione filosofica, ma anche momenti ludici e spazi dedicati ai bambini.Gli ospiti? Si parla di collaborazioni di grande valore e richiamo internazionale. Ma questo aspetto fa parte, come altri, delle cose sulle quali molto c’è ancora da lavorare. Vi terremo aggiornati.
Ester Moscati
Un progetto per unire
di David Piazza
Il progetto Shabbàt nasce da una semplice constatazione: gli iscritti alle nostre Comunità stanno diventando sempre più diversi tra loro e quindi sempre più divisi. Non si tratta più di un semplice problema di provenienza etnica, quello che chiamavamo cioè col nome di edòt, ma siamo di fronte a profonde divergenze etiche e progettuali sul significato di essere ebrei, oggi, in Italia. I valori comuni sembrano sempre più flebili e di conseguenza aumenta la conflittualità interna. Per usare un luogo comune, ci ritroviamo spesso a discutere di ciò che ci divide, senza avere un’idea chiara di ciò che ci unisce.
Tra le cose che ci dividono, al primo posto c’è il nostro rapporto culturale e sociale con l’esterno. Se tutti lo ritengono inevitabile, molti lo percepiscono invece come conflittuale, se non come potenziale fonte di indebolimento identitario. Forse è per questo che in occasioni deputate come la Giornata della Memoria o quella della Cultura Ebraica, ma anche in tutta una serie di occasioni minori, abbiamo privilegiato le nostre affinità con la società civile, piuttosto che le nostre diversità. Queste affinità non hanno però contribuito al superamento dell’ignoranza e del pregiudizio nei confronti degli ebrei, che, come altri gruppi minoritari, possono arricchire la società con le loro specificità.
L’idea è stata quindi quella di provare a elaborare un progetto in grado di dare contemporaneamente una risposta concreta a una o più delle difficoltà elencate.
Bisognava innanzitutto trovare un valore fondante comune a tutti, che non fosse messo in discussione nel principio, declinabile secondo diverse sensibilità ebraiche ed espressione di qualcosa di genuinamente diverso una volta presentato all’esterno. Lo Shabbat corrispondeva a tutte queste caratteristiche.
Stiamo parlando di un precetto religioso molto dettagliato e altamente simbolico, che viene definito dalla Torà come ot (segno), del patto eterno e particolare tra Dio e il popolo ebraico (Shemot 31, 17), come recitiamo nel kiddùsh diurno.
Ma lo Shabbat ha anche un alto valore etico e laico, perché sancisce l’obbligo al riposo settimanale non solo per l’uomo, ma anche per i dipendenti e gli animali domestici e, nella sua estensione di anno sabbatico, anche per la terra.
Lo Shabbat è infatti il vero dono che il popolo ebraico ha fatto alla moderna civiltà che prima conosceva solo l’attività lavorativa senza sosta. Inoltre, nell’attuale società della comunicazione onnipresente, lo shabbàt presenta la dirompente tematica della disconnessione, per potersi riconnettere alle relazioni familiari e sociali dirette. A questo punto abbiamo pensato che lo Shabbat poteva diventare il tema centrale di un Festival della Cultura Ebraica che, coinvolgendo la società civile, per la prima volta avrebbe portato fuori dalla Comunità la diversità ebraica. È vero infatti che proprio quando si lavora per un progetto comune da portare all’esterno, c’è la possibilità concreta, sia di smussare le differenze interne, sia di mettere queste al servizio della collettività.
Si tratta quindi di un progetto ambizioso, che avrà bisogno del supporto di tutte le componenti della Comunità: dei singoli e delle associazioni ebraiche e che avrà, accanto al Festival e alla sua realizzazione, anche dei percorsi interni di approfondimento del tema centrale, per mezzo di serate, di corsi di studio e di attività sociali. Lo stesso gruppo promotore è una micro-espressione ebraica del concetto di lavoro comune portato avanti nella diversità di approccio. Nato nel dicembre del 2010 sulla base di un progetto di massima presentato all’Assessore alla Cultura Daniele Cohen, questi successivamente coinvolgeva rav Roberto Della Rocca, la cui presenza a Milano era nel frattempo diventata stabile, e poi tutti gli altri membri del gruppo.
Mentre fuori la Comunità era scossa da tensioni molto forti, abbiamo iniziato a vederci su base regolare in case private e in ritrovi comunitari, in un’atmosfera molto produttiva che ha vissuto momenti di confronto, ma sempre costruttivi. Di questo gruppo oggi fanno parte David Bidussa, Daniela Ovadia, Miriam Camerini, David Fargion, Daniele Liberanome e Stefano Jesurum.
Da qualche settimana, inoltre, il Consiglio della Comunità ha ufficialmente adottato il progetto affidandone la parte realizzativa e professionale a un partner di altissimo livello, la società TrivioQuadrivio, con la quale il comitato promotore svolge incontri serrati oramai settimanali. Il Festival è previsto per l’inizio dell’autunno in prossimità della Giornata Ebraica della Cultura, alla quale si potrà dare un’importante contributo giocando d’anticipo sulle tematiche proposte. Peraltro il tema della Giornata quest’anno è il rapporto ebraico con la natura, che sembra pensato apposta per essere coniugato con quello dello Shabbat, giorno in cui l’azione creatrice dell’uomo viene fermata, non solo per “resettare” il suo legame con il Creatore, ma anche con il Creato.