di Roberto Zadik
Onirica, emozionante e profondamente ebraica e chassidica, la pittura di Moshe Segal, internazionalmente noto come Marc Chagall, ha segnato il ventesimo secolo, che il pittore ebreo russo ha attraversato quasi nella sua totalità, nato nel 1887 e morto a 98 anni nel 1985, trent’anni fa, dopo una vita intensa e a tratti dolorosa. Sposato due volte, prima con Bella, che morì nel 1944 di infezione e alla quale era legatissimo e poi con Valentina Brodsky con cui si recò in Israele negli anni ‘60, Chagall, fu in grado di coniugare efficacemente messaggi e atmosfere chassidiche dell’Europa Orientale e suggestioni pittoriche cubiste e surrealiste assorbite quando andò a vivere in Francia. Lì conobbe importanti intellettuali, come il poeta Apollinaire Guillaume, o il pittore livornese -anche lui ebreo ma a differenza di Chagall molto assimilato- Amedeo Modigliani.
A ripercorrerne il percorso umano e artistico ci penserà la mostra Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985 che dal 17 settembre al 18 gennaio, prenderà il via a Palazzo Reale, in occasione del trentennale dalla sua morte e del Festival “Jewish and the city”. Proprio in chiusura della manifestazione, a tempo di musica klezmer, la sera del 16 settembre, dalle 21.00 alle 23.00, con un grande concerto per violini nella piazzetta davanti a Palazzo Reale, verrà inaugurata l’esposizione curata da Meret Meyer, nipote di Chagall, e Claudia Zevi in collaborazione con il comitato scientifico composto da Michel Draguet, Ugo Volli, Paolo Biscottini, Tamara Karandasheva, Marcello Massenzio.
Il nome e il personaggio di Chagall, dunque, tornano alla ribalta con più di duecentoventi opere che, dai celebri innamorati in volo, a quadri di forte impatto emotivo come “Io e Vitebsk” o “The praying jew”, che raffigura un ebreo che prega con tallit e tefillin, fino alla tragedia dei pogrom, raccontano in tutta la sua vivacità, attraverso tinte accese e volti espressivi e decisi, l’ambiente in cui il pittore visse la sua infanzia e il cui ricordo tenacemente lo accompagnò per tutta la sua vita.
Marito e padre affettuoso, al contrario di molti artisti o musicisti, da Modigliani, a Pissarro, a Gustav Mahler, Chagall restò sempre “molto ebreo” e nei suoi quadri ha ricostruito scene di vita degli shtetl, le stesse che scorrono nelle ricostruzioni di film come Il violinista sul tetto interpretato da Chaim Topol o Yentl, con Barbara Streisand, con le vie e i rabbini, la vita contadina, le raffigurazioni di feste ebraiche e momenti di vita quotidiana. Tutto questo, superando gli anni bui del nazismo, periodo in cui scappò con la famiglia nel sud della Francia, nella zona non ancora occupata dalle truppe tedesche, che confiscarono ai musei tutte le sue opere.
Quegli anni gli portarono via anche l’amatissima moglie, Bella, e tre anni dopo si risposò, spostandosi in vari Paesi, dalla Svizzera, a Israele. Fu lì che dipinse le vetrate dell’ospedale Hadassah di Gerusalemme.