Festival / “Il mio shabbat”

Jewish in the City

di Laura Brazzo, Ilaria Myr


“Il mio shabbat”: testimonianze di ebrei, milanesi e no, sullo Shabbat.

Raffaella Procaccia, 42 anni, madre di tre figli

Lo shabbat per me è stata una scoperta avvenuta lentamente. È stato come un lento riaffiorare alla memoria di qualcosa che già sapevo… “Zakhor et Yom ha Shabbat” recita il quarto comandamento. Ecco che un giorno, mentre leggevo la parashà di Yitro, quella parola “Zakhor-Ricorda”, mi ha fatto risuonare una campanella interiore che mi ha riportato a quando avevo deciso che un giorno sarei stata shomeret Shabbat: quel giorno che, bambina, avevo deciso che, una volta diventata adulta, avrei potuto praticare l’osservanza dello Shabbat come desideravo, senza creare problemi agli altri. Ho poi capito che il problema più grande non è il fastidio che si può recare agli altri, ma quello di trovare la forza interiore per riuscire a superare vecchie abitudini. Così, passo dopo passo, mi sono guadagnata la pace che si prova solo di Shabbat, quando il telefono è spento, tutto il cibo è cucinato per venerdì sera e per il sabato, quando c’è finalmente silenzio e posso permettermi il lusso di sdraiarmi a leggere un libro, o addirittura dormire! È una sensazione talmente benefica che non potrei più farne a meno. Tutta la settimana acquista un senso e un’energia nuovi, un ritmo diverso, il ritmo del sette. Sei giorni, come è scritto, si lavora, anche come mamma e manager di casa o azienda. Ma c’è un giorno in cui ti riposi, senza andare a caccia di cose da fare, da comprare, da consumare. Un giorno diverso dagli altri, il settimo. Un giorno in cui mi posso dedicare allo studio, alla cura dell’anima, alla calma, alle persone. Questo, oltre alla vita, è il regalo più bello che Hashem poteva farci e Lo ringrazio per questo.

Manuela Marchetti, 41 anni, madre di tre figlie

Per me lo shabbat è STARE TUTTI INSIEME! Il venerdì sera soprattutto, quando arrivano tutti, (zii e nonni), è una vera gioia. Le mie figlie vanno in fibrillazione, già quando inizio ad apparecchiare mi chiedono:”chi c’è stasera?” e quando rispondo:”Tutti”, scoppia un “aleeeeeee”!

La tavolatona è bellissima, si chiacchiera, si ride, ci si racconta, e le bambine si fanno coccolare a turno da tutti. Il sabato poi, stare senza cellulari o computer è veramente rilassante! Si PARLA, SI PARLA, senza interruzioni o preoccupazioni. I problemi di lavoro poi, almeno per un giorno rimangono fuori dalla porta.

Nanette Hayon, madre di due figlie

Ho deciso di osservare lo shabbat quando avevo 11 anni, frequentando il movimento del Bené Akiva, qui a Milano.
Venivo da una famiglia tradizionalista ma non religiosa, perciò quella mia decisione se pure fu accettata, fu anche vissuta dai miei genitori come una scelta “trasgressiva.

Passavo il mio shabbat con i ragazzi del Bené Akiva al tempio di via Guastalla dove ci ritrovavamo per studiare, ma anche per stare insieme, per cantare, ballare… ho un ricordo dello shabbat come un momento di gioia e di socialità.

A ripensarci ora, la mia scelta dell’osservanza è stata il frutto di un bisogno di spiritualità, sin da allora. E infatti mi piaceva molto lo studio; il fatto di aver avuto per maestro un rabbino come Roberto Bonfil, forse, ha anche accresciuto questa mia passione. Ma, come dicevo, shabbat per me ha sempre rappresentato oltre che lo studio e la  preghiera, un momento di forte socialità e per certi aspetti anche di scoperta e conquista.  Con i campeggi [del Bené Akiva] per esempio, ho scoperto un mondo che prima mi era sconosciuto: la vita di gruppo, la libertà, la natura, la montagna, il divertimento. Da un certo punto di vista, quelle esperienze sono state anche un modo per scoprire e inserirmi in un mondo “europeo” che io, venendo dall’Egitto, non conoscevo affatto. Tutto questo per dire che la scelta dell’osservanza religiosa è stata per me fonte di gioia, e che mi ha consentito di fare esperienze, di studio e di vita, che altrimenti non avrei mai fatto. E’ stata in tutti i sensi una conquista. L’osservanza insomma non è stata solo un insieme “regole da seguire”, bensì l’inizio di un percorso di crescita, spirituale e di vita.

Anche oggi per me lo shabbat è fonte di gioia e momento di socialità. Non usare il telefono o il computer, non è una sofferenza, anzi. Mi aiuta a sospendere gli affanni, le ansie, le corse di tutti i giorni.

La cena del venerdì sera a casa di amici, la preghiera al tempio il sabato mattina, rappresentano “spazi” speciali di incontro e di relazione con gli altri che fanno stare bene. Lo shabbat, secondo me,  è un’occasione di comunicazione anche in famiglia, quando genitori e figli riescono finalmente parlarsi. Ho dei bellissimi ricordi dei sabato pomeriggio trascorsi a chiacchierare con le mie figlie…

Anche per chi è solo lo shabbat è e deve essere un momento di socialità. E infatti a Milano, come altrove, sono molte le famiglie che, con discrezione, offrono la loro ospitalità per la cena del venerdì sera, condividendo con chi è da solo la gioia dello Shabbat. E’ una cosa molto bella e vorrei che si sapesse.