Festival / Uno Shabbat, tante celebrazioni

Jewish in the City

di Ilaria Myr

Tre esperienze di vita diverse, tre modi di vivere la religione e lo Shabbat diversi, ma un comune impegno nell’insegnamento e nella trasmissione, all’insegna dell’arte e della cultura: questi gli elementi più evidenti dei tre personaggi che hanno deliziato ieri pomeriggio i partecipanti all’evento “Il nostro Shabbat: racconti dal mondo”. Lo scrittore e saggista Amos Luzzatto, Edna Calò Livne, “kibbutznikit” e fondatrice della compagnia di teatro Bereshit la Shalom, che coinvolge ebrei e arabi, e Clive Lawton, tra i fondatori e senior consultanti del Limmud (appuntamento di confronto aperto a tutte le correnti dell’ebraismo) hanno infatti regalato, con la moderaizone di Miriam Camerini, agli astanti un quadro variegato di come si possa vivere e concepire lo Shabbat.

Lo Shabbat nella letteratura
Il punto di partenza dell’intervento di Amos Luzzatto sono i grandi pensatori ebrei dell’800 e del ‘900: ed è proprio analizzando le differenti concezioni dello Shabbat di alcuni di questi personaggi eminenti, che Luzzatto fa emergere, nonostante le diversità, quanto lo Shabbat sia per tutti un giorno diverso dagli altri. Da un lato, c’è il filosofo Martin Buber, che allo Shabbat ha dedicato solo uno scritto, in cui lo presenta come un’eccezionale invenzione del profeta Mosè. Dall’altro c’è lo scrittore sionista Achad Ha’am, che proprio sullo Shabbat entra in una polemica molto accesa on Max Nordau, vice di Teodoro Herzl. «Achad Ha’am è colpito dolorosamente dall’affermazione di Nordau che rifiuta la questione della giornata di riposo nazionale – ha spiegato Luzzatto -. Lo scrittore infatti sostiene che identificare la giornata di risposo con lo Shabbat “non rende giustizia a quello che è stato nella storia lo Shabbat per gli ebrei” e che il sabato è “patrimonio nazionale del popolo ebraico”». Il legame con lo Shabbat è evidente anche in un comunista come Moses Hess, collaboratore di Karl Marx ed Engels, che nella prefazione del suo libro “Roma e Gerusalemme” descrive il proprio ritorno alla cultura ebraica come un ritorno a casa. C’è poi anche il grande poeta tedesco Heinrich Heine, ebreo convertito al protestantesimo, che scrive un poema sulla principessa Shabbat. Ma il legame forse più stretto con lo Shabbat è quello del sommo poeta Haym Bialik, come emerge anche dalla sua splendida poesia ‘Miseria’.
«Tutti questi autori esprimono non solo il loro sentimento, ma soprattutto differenti modi di sentire lo Shabbat – continua Luzzatto -. Dobbiamo quindi domandarci: perché anche nei luoghi meno religiosi si mantiene una differenza sostanziale fra lo Shabbat e gli altri giorni?».

Lo Shabbat laico nel kibbutz
La risposta, indiretta, arriva da Edna Calò Livne, ebrea romana trasferitasi in Israele negli anni ’70 in un kibbutz dell’Hashomer Hatzair, Sasa. «Quando mi sono trasferita in Israele, mi sono portata dietro tutto quello che è passato sugli ebrei nei secoli – ha spiegato -. Nei movimenti giovanili, però, allora si tendeva a liberarsi di tutto ciò che era religione, vista come elemento per cui si era stati perseguitati per secoli. Si cercava quindi di creare una nuova religione, quella dell’uomo. Lo Shabbat perde quindi ogni valore religioso e diventa un momento di aggregazione, e ancora oggi è così: in kibbutz di Shabbat si mangia vestiti bene, con le tovaglie bianche, i bimbi fanno le challot a scuola, mentre i grandi smettono di lavorare il venerdì pomeriggio. Anche se non c’è connotazione religiosa, lo Shabbat è un giorno diverso».

L’importanza dello Shabbat (anche se “fatto strano”)
A concludere questa interessante carrellata di interventi è stato Clive Lawton, che con il suo fare “molto british” ha ipnotizzato e divertito senza misura tutta la platea, raccontando la propria esperienza dico-fondatore del Limmud. «Nella Parashà si legge che D-o ha concluso il lavoro della creazione risposandosi – ha esordito -. Questo significa che una settimana e una vita non sono complete senza la riflessione e il riposo che completano questa vita. Lo stesso comandamento ha due facce: dice lavora 6 giorni e il settimo ti riposerai: ciò significa che un giorno libero dal lavoro senza dietro una settimana produttiva è un giorno sprecato». Lawton ha poi elencato prima tutte le attività che a Shabbat non si possono fare -scrivere, viaggiare, cucinare, ecc…- e poi, in contrapposizione, quelle che invece si possono fare: «mangiare e bere, danzare e dormire,leggere e imparare, socializzare e pregare, fare l’amore e divertirsi, pensare e fermarsi – ha spiegato -. E queste hanno molto più valore di quelle proibite».
Esilaranti, ma sempre molto intelligenti, sono i racconti degli Shabbat “strani” passati da Lawton: uno a Lido di Jesolo, dove un giovane Lawton autostoppista ha cercato di spiegare, in un italiano improvvisato, a un cameriere che il giorno dopo era il “sabato per l’ebreo” e che quindi voleva pagare prima per poter consumare il giorno dopo. «non sapevo che il “saturday” si dicesse “sabato”, come Shabbat!». Per non parlare degli sforzi di Lawton studente di letteratura all’Università di York, che prima, per fare celebrare lo Shabbat da persone che non possono mai di venerdì propone di farlo il martedì, e che poi si ritrova a festeggiare ogni venerdì con gli amici non ebrei, contagiati dalla magica atmosfera di questo giorno speciale.