di Sofia Tranchina
Per la Giornata Europea della Cultura Ebraica, il regista, attore e comico milanese Gioele Dix (pseudonimo di David Ottolenghi) ha proposto una serie di battute e di riflessioni sul dialogo, in uno spettacolo a metà tra il monologo e il cabaret.
Il titolo dell’intervento, “Una lingua dolce è un albero di vita”, è una citazione dal Libro dei Proverbi, 15:1-4
«Una risposta gentile calma la collera,
una parola pungente eccita l’ira. […]
Una lingua dolce è un albero di vita,
quella malevola è una ferita al cuore».
In questa opposizione tra bene e male, parole costruttive e parole distruttive, un intruso: «in ogni luogo sono gli occhi del Signore, scrutano i malvagi e i buoni». Dunque alla lingua, al dialogo, alla parola dell’uomo, è accostato l’occhio del Signore: nell’ebraismo sono molto importanti le parole, che devono essere “sagge e buone”, tuttavia il dialogo è vuoto se alle parole non seguono fatti concreti.
Dix si è dunque esibito in un patchwork di citazioni bibliche e storie comiche – condensate nel breve tempo a disposizione – stimolando la simpatia del pubblico grazie all’apprezzatissimo umorismo cinico tipico ebraico, senza mancare di offrire lezioni in pillole.
Ancor prima di soccombere all’effetto comico delle barzellette, il pubblico è rimasto ipnotizzato dallo charme, dalla voce calda e pacata e dal sorriso dell’amato attore, rendendosi così ancor più bendisposto ad accogliere gli spunti di riflessione proposti.
Già dalla prima fiaba con cui ha rotto il ghiaccio e si è conquistato il pubblico, l’attore ha sviluppato due importanti considerazioni: il dialogo va coltivato con pazienza, e – cosa nient’affatto scontata – va sempre valutata preventivamente l’eventuale disponibilità o meno dell’interlocutore ad ascoltare.
L’attore è quindi risalito sin alle origini del mondo: l’esistenza giace nel nihil primordiale, solo il Signore è. Ed ecco: «Dio disse luce, e luce fu». Ma a chi lo disse? Ancora nessuna forma di vita era stata creata. Dio parla con sé stesso. All’inizio della storia del mondo, dunque, c’è il dialogo con sé stessi, «un filo diretto con la propria coscienza».
Dopodiché, il Signore creò Adamo, e, è detto nei midrashim, inizialmente si adoperò per non farlo annoiare, per tenergli compagnia, persino dialogando con lui. Ecco quindi il secondo dialogo, dopo quello interiore: il dialogo tra uomo e Dio, caratteristico dell’ebraismo, in quanto il fedele tutt’oggi non necessita di sacerdoti o intermediari per rivolgersi all’Eccelso.
Imprescindibile anche un excursus sull’importanza della trasparenza e del rispetto reciproco nel dialogo interreligioso, nonostante ogni religione ritenga di essere “quella giusta”. Da lì si può imparare che ognuno di noi, anche quando convinto di essere dalla parte della ragione, dovrebbe sforzarsi il più possibile di rispettare sempre l’interlocutore.
Dix si è poi soffermato anche sui concetti di ospitalità e rispetto, e ha concluso l’intervento raccontando brillantemente alcuni episodi della Torah, in chiave umoristica, con l’approvazione del pubblico e strizzando l’occhio al Rav seduto poco più in là, accennando alle “discussioni che fanno tra loro” i rabbini.