Jewish and the City / Adin Steinsaltz. Come comprendere la sofferenza degli altri senza farsi sopraffare?

Jewish in the City

di Marina Gersony

SteinsalzCaotico, erudito, vertiginoso, allusivo, provocatorio, urticante, spiritoso, a tratti criptico, inevitabilmente saggio: è con questo diluvio di aggettivi che si potrebbe definire Rav Adin Even Israel Steinsaltz, che ha tenuto una conferenza nella Sinagoga centrale di via Guastalla durante la serata finale di Jewish and the City. Steinsaltz, tra i più autorevoli commentatori del Talmud al mondo, è stato invitato a riflettere, subito dopo l’intervento dell’antropologo Francesco Remotti, sul significato dell’essere stranieri. Il tema partiva da un assunto preciso, o meglio, da un interrogativo che ribalta e scardina una concezione codificata dell’essere straniero (l’altro da sé): e se noi invece somigliassimo non soltanto a Dio e a noi stessi, ma anche agli altri?

Steinsaltz, prendendola un po’ alla lontana (si sa, i grandi saggi colpiscono la mente e i cuori con discorsi che necessitano, dopo, una certa quale elaborazione), ha esordito dicendo che ci sono tanti libri in commercio, ma che tutto sommato non è necessario spendere molti soldi per comprarli, perché basta andare in qualunque albergo per trovare il più bello in uno dei cassetti del comodino, ovvero la Bibbia, «ed è molto difficile trovarne uno più stimolante e vivido». La Bibbia, la Torà dunque, che ogni ebreo dice di conoscere «perché in genere un ebreo sa sempre tutto, anche senza averla letta». Perché la Bibbia aiuta a dormire se soffrite d’insonnia, gigioneggia il Rav: «Leggetevi un bel capitolo e dormirete meglio». Nel suo discorso, che qui trascriveremo sintetizzandolo, Rav Steinsaltz ha citato più volte il Libro di Daniele per poi parlare del momento attuale, l’oggi che stiamo vivendo: «La storia è tradizionalmente in discesa – dice -, il mondo sarebbe sempre impantanato in una fase di regressione, peggiorerebbe sempre di più ad ogni generazione, e insomma si stava meglio quando si stava peggio,… Il vecchio si lamenta, dice che ai suoi tempi le cose andavano alla grande, che i giovani non sono più quelli di una volta, che sono promiscui, senza valori, e rimugina rattristato sul bel tempo che fu. Ma questa è la vecchia storia che si ripete – ribadisce il rabbino -, in Egitto i padri dicevano le stesse identiche cose. Ed è qui che interviene il profeta Daniele e ci dice che dopo la degradazione del mondo ci sarà una rivoluzione e da questa rivoluzione verrà l’Età dell’Oro.

A questo punto Steinsaltz ci stupisce con un inaspettato paragone, ma forse neanche tanto: «C’è un rapporto tra Mao Tse Tung e Mosè, entrambi hanno vissuto in tempi di degrado ma poi c’è stata la redenzione. Molti movimenti rivoluzionari si basano sul Libro di Daniele che ha influenzato diversi pensatori. Chissà, magari qualcuno di loro lo ha davvero letto». Prosegue: «Per tornare alla situazione attuale, dovremmo tutti essere generosi, caritatevoli, perché anche VOI foste stranieri in una terra e sapete bene come ci si sente in una situazione del genere. L’avete letto tutti nella Torah. Molti Paesi vogliono dimostrare di avere un passato glorioso di condottieri e imperatori, rimuovono, o non vogliono far sapere, di essere stati a loro volta schiavi. Ma noi siamo sempre stranieri. Siamo stati schiavi in passato e non dobbiamo dimenticarlo. Noi ebrei siamo abituati ai maltrattamenti, all’odio, succede anche oggi, qui, in Europa, come quella ragazzina in Inghilterra che nessuno dei compagni di scuola osava toccare perché dicevano che avesse i pidocchi e c’è ancora chi sostiene che gli ebrei hanno la coda. Gli ebrei venivano picchiati dai musulmani, dai cristiani, anche idealmente, quindi dovremmo capire lo stato di schiavitù. Ma lo capiamo davvero? La questione è molto più complessa e difficile di quello che sembra. Gli Stati Uniti, l’Europa, lo stesso Israele, siamo tutti una meta, un luogo di immigrazioni massicce. Proviamo a pensare ai barconi stracolmi di persone che vengono in Italia, alla ricerca di una vita migliore. Sono individui, persone, sono stranieri che noi ebrei, noi persone, dovremmo capire. Per esempio, una persona che vive in Africa con l’equivalente di 10-15 dollari al mese, ovviamente aspirerà ad andare altrove, in un posto migliore. Come accadeva in passato quando gli italiani sognavano l’America. Non voglio dare delle risposte, ma dobbiamo davvero capire perché queste persone vogliono venire nel nostro territorio. Ma nel contempo, sono anche stranieri che venendo qui giocoforza cercheranno di accaparrarsi il lavoro, di approfittare delle nostre risorse facendo magari danni. La vera questione, e qui metto in questione il pensiero ebraico, dobbiamo sforzarci di  esercitare un senso di giustizia, che non vuol dire pietà, vuol dire riuscire a capire e cercare forme diverse ai reali problemi che ci sono ed esistono costantemente. Come esercitare un’autodifesa legale? Non ci sono risposte immediate. Dobbiamo capire cosa significa soffrire, essere spediti da un Paese all’altro a pedate. Da un lato non possiamo farci soffocare dai migranti e stranieri; dall’altro abbiamo il dovere di comprendere la loro sofferenza. Come mantenersi in equilibrio? Come rispondere? Come fare la cosa giusta e buona? Una risposta difficile, un grande dilemma, ma io vi invito a riflettere su questo tema. Portatevi a casa questa domanda e se troverete una risposta, fra un mese o fra dieci anni, sarò pronto ad ascoltarla.

Caotico, acuto, spiritoso, paradigmatico, a tratti criptico, inevitabilmente saggio, questo e molto di più è Rav Stensaltz, il Grande Maestro che dopo il suo discorso ci lascia un po’ spaesati e con un interrogativo immenso e che forse vuol essere semplicemente un invito alla consapevolezza e all’assunzione di responsabilità nei confronti di noi stessi  e degli altri.

Einstein diceva che la domanda più importante è la seguente: vivo in un universo amichevole o ostile? Quindi, in base alla visione che abbiamo di ciò che osserviamo, creiamo quella realtà. La questione è dunque come guardiamo le cose.  Perché quando cambieremo il modo di vedere il mondo, lo straniero, il גּר, gēr,  e noi stessi, le cose forse cambieranno. È una questione di buone intenzioni. O no?