Jewish and the City / Donne a confronto

Jewish in the City

di Marina Gersony

donneSi è svolto, come da programma, domenica pomeriggio al Teatro Franco Parenti, l’incontro Condotte e condottiere, libere di essere donne, ebree, ma anche cattoliche, musulmane, osservanti o meno, mogli o single, professioniste o casalinghe. Un dibattito interculturale a trecentosessanta gradi, intramezzato da video-inchieste su un tema di grande attualità e in continua evoluzione. Moderatrice, Daniela Ovadia, giornalista scientifico e membro del Comitato Promotore Jewish and the City.

Ma il piatto forte che ha preceduto il dibattito, valso più di mille parole, è stata una sorpresa che ha incantato il pubblico. Una straordinaria Elisabetta Pozzi ha recitato un brano scritto da Hinde Ester Singer Kreytman, sorella misconosciuta, ignorata e sfruttata (da un punto di vista letterario) dagli ultra famosi fratelli, Isaac Bashevis e Israel Joshua; un brano toccante che grazie al talento interpretativo della Pozzi ha mandato il pubblico in visibilio. Applausi a non finire, calo del sipario e inizio del dibattito Ma che bella, che bella sorpresa!

In un teatro pieno e attento, si sono quindi susseguiti gli interventi delle relatrici, cinque donne  diversissime tra di loro per cultura, appartenenza e visione della vita: la scrittrice israeliana Lizzie Doron; Aliza Lavie, scrittrice, politica, membro del Parlamento alla Knesset; Livia Pomodoro, Presidente del Tribunale di Milano; Costanza Esclapon, Direttore della Comunicazione Rai e Wassyla Tamzali, avvocato, giornalista, scrittrice algerina, già consulente Unesco per la liberazione delle donne musulmane.

Molta la carne al fuoco e impegnative le domande: qual è il ruolo della donna nella società moderna? In quali occasioni le donne si fanno condurre? Quando, invece, diventano punto di riferimento e dispensatrici di forza nell’ambito familiare, lavorativo e sociale? E infine, è possibile trovare un giusto equilibrio tra questi opposti?

Difficile sintetizzare in poche righe quanto è emerso da questo interessante dibattito in cui le protagoniste hanno cercato di analizzare, anche attraverso il proprio vissuto, la complessità di un universo femminile poliedrico, sfaccettato ma soprattutto sempre diverso a seconda della provenienza, del livello culturale, tradizionale e religioso.

Lizzie Doron, ha ricordato, per esempio, la sua infanzia con sua madre, una donna forte e difficile, sopravvissuta all’Olocausto e alla perdita di tutta la sua famiglia: «Sono cresciuta insieme a lei in un quartiere abitato dai sopravvissuti della Shoah (Bitzaron, il quartiere a Sud di Tel Aviv, ndr) -, ha raccontato Doron -. In quel posto i padri erano pochi, vulnerabili e deboli, mentre le madri erano tante, forti e tenaci». Una condottiera, dunque, la madre di Lizzie Doron, perché le circostanze l’hanno probabilmente costretta a diventare tale. Condotte sono invece le donne prospettate da Costanza Esclapon: «Quello che le donne non devono mai perdere è l’“essere condotte”, che in altri termini significa la capacità di ascolto in famiglia, sul lavoro, con gli amici. È importante saper ascoltare, appoggiare, non prendersi il merito di tutto, lavorare in squadra e non abdicare alla propria femminilità assumendo atteggiamenti maschili», è stato il suo suggerimento, «perché la donna deve avere la libertà di essere quello che è per raggiungere dei risultati».

Mentre Aliza Lavie ha analizzato cosa sta succedendo nel mondo religioso delle donne in Israele sottolineando l’importanza della conoscenza per poterla poi elaborare e trasmettere ai posteri («Pesach, per esempio, è l’occasione per farsi delle domande e oggi le donne hanno la possibilità di imparare e dare delle risposte. Nel mondo laico non sono molto informate»), Wassyla Tamzali, voce di spicco del femminismo maghrebino, ha posto l’attenzione su temi dell’identità femminile, del velo islamico e del ruolo assegnato alle donne musulmane: «Il velo non può essere considerato un segno semplicemente religioso, ma una pratica sociale e patriarcale. Il velo è un atto politico. Ritengo che  sia vissuto come una difesa contro la violenza. Quindi, la libertà di coscienza è l’essenza stessa della laicità, la sola che può  condurre a una moderna coscienza musulmana».

Ha commentato a sua volta Livia Pomodoro: «Viviamo in una società in cui la libertà nasce dalla reciprocità dell’incontro maschile e femminile, nonostante la diversità. Non è facile, perché spesso per le donne il percorso è stato, ed è, particolarmente faticoso a causa della sottomissione della donna e della supremazia del maschio. Le donne devono capire che unite possono andare avanti, in un percorso a cui devono partecipare anche gli uomini».