Jewish and the City / Musei: dove la storia diventa visibile

Jewish in the City

di Naomi Stern

musei “I relatori che sono presenti oggi hanno avuto esperienze in eventi culturali e spettacolari delle città. Un parterre particolarmente adatto per discutere il tema dei musei, della memoria e della memoria raccontata attraverso i musei”. Maria Canella, docente all’Università degli Studi di Milano, introduce con queste parole i sei relatori che lunedì 13 settembre, durante l’ultima giornata di Jewish and the City, si sono alternati al microfono della splendida Sala Napoleonica di Palazzo Greppi sul tema “Spazi di memoria. Musei come storia visibile“.

Luca Zevi, progettista del Museo Nazionale della Shoah di Roma, ha esordito citando Walter Benjamin e il suo pensiero sull’architettura,” legata come da un filo invisibile alla memoria e al modo di trasmetterla”. Zevi ha poi illustrato il progetto ideato per Villa Torlonia facendo riferimento ai maggiori musei della Shoà sparsi per il mondo: il Museo di Washington; il Museo di Berlino, nel quale l’architettura diventa il linguaggio per raccontare la storia nella maniera più intensa possibile; Yad Vashem, nel quale il percorso a forma di serpentina assume la funzione di un tunnel buio attraverso la memoria, che si apre infine alla vita con una vista spettacolare su Gerusalemme.

Zevi conclude illustrando il progetto del Museo Nazionale della Shoah, che avrà un percorso in discesa dedicato ai Giusti, accessibile a tutti, che sarà caratterizzato da una dialettica tra luce e ombra.

La parola è poi passata a Pellegrino Bonaretti, docente al Politecnico di Milano, che si è interrogato su quali siano i luoghi in cui risiede la memoria. Il museo, a suo parere, è solo il sedimento di una memoria che deve trovare una corrispondenza anche al di fuori di esso. Il ruolo del museo è determinante tanto quanto quello della memoria, e questa è una delle ragioni che spiegano il perché dei tanti musei che sono nati negli ultimi anni. Secondo Bonaretti il museo non può considerarsi come un luogo tranquillo. Al contrario è animato da molteplici dilemmi che vanno dalla tutela alla valorizzazione, dal contenuto al contenente per arrivare alla memoria e alla storia. Il ruolo del museo è anche quello di dare una risposta a tutti questi quesiti, in modo da ricombinare produttivamente queste potenziali incongruenze.

Daniele Valla ha proseguito la conferenza spiegando come il museo sia il mezzo per rendere contemporaneo ciò che è stato, per attualizzare la storia attraverso gli occhi dello spettatore.

L’interesse per la storia deve essere trasformato in un interesse collettivo e sociale, passando in ogni singolo visitatore che, proprio per questo, deve agire in modo partecipe e attivo. Secondo Valla ogni visitatore è portatore di una certa dose di curiosità, di cultura ma anche di ignoranza. Ogni museo comunica un messaggio che poi prende corpo nella testa di ogni visitatore. In conclusione il vero interprete di ogni museo è il visitatore, che più si sente in relazione con lo spazio museale, più può essere portatore di un sapere storico vero e collettivo.

Ha proseguito Alessandro Cambri, progettista architettonico del Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, che ha aperto i suoi cantieri proprio domenica scorsa. Secondo l’idea dei suoi creatori, il MEIS diventerà uno spazio aperto per tutti i visitatori, una possibile location per eventi, una libreria, un centro di incontri; molto più di un semplice museo. Situato nell’ex carcere di via Mangipane, il MEIS ha anche l’obbiettivo di ribonificare una zona di Ferrara e di creare attraverso l’architettura paesaggi inattesi. Il primo atto per la realizzazione di questo progetto è stato aprire uno spazio chiuso da molti anni al pubblico, in modo da restituire alla città un edificio che, ad oggi, ha ancora tutti i connotati di un carcere ma che presto si trasformerà in un luogo adibito al singolo visitatore e alla sua personale esperienza individuale.

Guido Morpurgo progettista del Memoriale di Milano, ha poi illustrato la differenza tra museo e memoriale, sottolineando come la Shoah sia un argomento difficilmente museificabile. Il Memoriale, di 35 mila metri quadrati, ha le dimensioni di una seconda stazione ma, nonostante ciò, non è visibile né dalla Stazione Centrale né da nessun’altra parte della città. Anche l’aspetto del rumore assordante che si sente ogni volta che passa un treno caratterizza fortemente il Memoriale. Per tutti questi motivi esso è un luogo che parla da solo, che ha già nel suo intrinseco un forte valore simbolico.

Roberto Jarach, Vicepresidente delle Comunità Ebraiche Italiane ha concluso la conferenza sottolineando l’esempio fornito dalla Comunità di Roma nell’impegno verso la realizzazione del Memoriale. Per Jarach i musei della Shoah sono il contributo che gli ebrei mettono a disposizione delle proprie città per incrementarne lo sviluppo e la crescita.