Jewish in the City: una targa per i Giusti al Tempio di via Guastalla

Jewish in the City

di Gabriele Nissim

 

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I Giusti delle Nazioni avranno parte del mondo a venire
La giornata che inaugura il festival Jewish in the City dedicato ai 150 anni della Comunità , domenica 29 maggio, è una giornata di festa. Una festa di suoni e di parole, di cibo kasher e intrattenimento creativo, ma è anche un momento di riflessione collettiva. Il pensiero va ai Giusti con la posa di una targa, in collaborazione con Gariwo-La foresta dei Giusti, all’esterno della Sinagoga Centrale, in Via Guastalla, alle ore 16. L’iscrizione, in ebraico e italiano, recita: “I Giusti delle Nazioni avranno parte del mondo a venire (Toseftà Danhedrìn, capitolo 13). Ai Giusti di tutto il Mondo, che hanno dedicato la loro vita per un mondo migliore. La Comunità Ebraica di Milano 1866-2016, 5626-5776″.

Testimoniano la partecipazione della comunità civile internazionale l’Ambasciatore Armeno H.E. Mr. Sargis Ghazaryan e il Console di Francia Olivier Brochet, che affiancano i Presidenti della Comunità Ebraica di Milano, Raffaele Besso e Milo Hasbani, e il Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Milano Rav Alfonso Arbib. Interviene Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo-La foresta dei Giusti.

 
Questa è la riflessione di Gabriele Nissim sulla posa della targa per i Giusti, un momento dal forte e alto valore simbolico.

IL MIO SOGNO ALLA SINAGOGA DI MILANO

Di Gabriele Nissim

Ho sempre avuto un piccolo sogno. Vedere in un luogo importante della vita e della memoria ebraica un segno di riconoscimento per il dolore che hanno patito altri uomini e altri popoli. Anche Avraham Burg, presidente emerito della Knesset, che tanto ha fatto per la pace in Medio Oriente, ha lo stesso mio sogno. Egli immagina che un giorno in Israele il memoriale di Yad Vashem possa diventare un monumento plurale che ricordi, accanto alla Shoah, i genocidi degli altri popoli. Lo scrive nel suo bellissimo libro Sconfiggere Hitler. Egli vorrebbe che il suo Paese, ancorato nella memoria delle sue sofferenze, potesse un giorno diventare un luogo di dialogo e incontro tra tutte le memorie. Gli piacerebbe, alla stregua di Yehuda Bauer – uno dei più grandi studiosi della Shoah – che Israele potesse diventare il luogo più importante di riflessione per la prevenzione di tutti i genocidi.

Ma come è nato il mio sogno? Prima di tutto perché mi reputo fortunato di essere nato in Italia nel dopoguerra. A differenza di altre generazioni, non solo non ho mai conosciuto un antisemitismo viscerale, ma ho visto crescere in tutti questi anni una grande simpatia per il popolo ebraico. Ho girato tanto per l’Europa, ma non c’è un altro Paese che viva il Giorno della Memoria con così tanta passione e intensità.

Inoltre, venendo da una famiglia che in Grecia ha visto morire nell’indifferenza una delle più belle comunità ebraiche d’Europa, come quella di Salonicco, ho imparato fin da piccolo che quanto è accaduto agli ebrei non doveva più accadere a nessun essere umano. Ho appreso dalla sorte degli ebrei che si può combattere l’indifferenza, esercitandosi a mettersi sempre nei panni degli altri. Chi è stato nei campi, raccontava David Rousset, scampato a Buchenwald, doveva diventare uno “specialista” nella lotta contro tutti i campi.

Non è però un sogno facile. Per tanto tempo gli ebrei hanno dovuto lottare per il riconoscimento del genocidio. Primo Levi fece molta fatica a trovare nel dopo guerra un editore per Se questo è un uomo, e nei Paesi comunisti, dove viveva la maggior parte degli ebrei d’Europa, non si parlava di vittime uccise in quanto ebree, ma di generiche vittime del capitalismo. Soltanto dopo l’89 è cominciata una discussione sulla Shoah. E ancora oggi, a parte la Tunisia e il Marocco, nel mondo arabo la memoria della Shoah viene presentata come un espediente della propaganda sionista.

Così tanti ebrei hanno ritenuto di doversi concentrare sulla battaglia per la memoria. Poiché il mondo era stato indifferente verso di loro, dovevano insegnare al mondo a non farsi più trascinare dall’antisemitismo. Era questo un dovere di responsabilità verso le vittime del loro popolo.

In questo bisogno di riconoscimento, per uno dei più gravi crimini di tutta la storia dell’umanità – come scrisse Jan Karski, il messaggero polacco inascoltato che cercò invano di allertare Eden e Roosevelt per la situazione degli ebrei in Polonia, e parlò così dopo la guerra di un secondo peccato originale del genere umano – si è però creato un cortocircuito. La paura che si potesse dimenticare quell’immane tragedia ha portato molti ebrei a ritenere che qualsiasi comparazione con altri crimini, potesse sminuirne la gravità. Così la difesa dell’unicità di quello sterminio ha creato molte barriere, e ha impedito che la memoria della Shoah diventasse una memoria plurale per tutti i genocidi. Comparare per alcuni era molto pericoloso.

Nella vita però accadono cose inaspettate. Quando è venuto da me Gadi Schoenheit per dirmi che all’interno del Festival Jewish in the city la manifestazione principale sarà la posa di una targa nella sinagoga di Milano di via Guastalla, a ricordo dei Giusti di tutti i genocidi – e non solo quelli che hanno salvato gli ebrei – a dire il vero non gli ho tanto creduto.

Vedrai, gli ho detto, che questa bella idea rimarrà un sogno”.

“ Non ti preoccupare, mi ha risposto. In questa manifestazione, che ricorda i centocinquanta anni della comunità ebraica milanese, dobbiamo fare un gesto clamoroso, per mostrare la nostra apertura alla città e al mondo.”

Ci sono poi state ben quattro settimane di discussione sul testo da incidere sulla targa, dove compariranno due iscrizioni: una che ricorda i Giusti tra le Nazioni che hanno salvato gli ebrei, e una in memoria dei Giusti di tutto il mondo che rendono migliore l’umanità.

Domenica pomeriggio alle 16,30 inaugurerò le due scritte insieme ad Agopik Manoukian, presidente emerito dell’Unione degli armeni d’Italia, e al Console generale di Francia Olivier Brochet.

Ancora non ci credo, perché si fa spesso fatica a credere nei sogni anche quando sembrano realizzarsi.