di Roberto Zadik
Il rapporto fra tradizione ebraica e immagini e raffigurazioni è decisamente complesso: si sa, infatti, che l’ebraismo non utilizza immagini nel propri culto. Nonostante questo esiste un libro illustrato, l’Haggadah, che si legge a Pesach ogni anno le prime due cene pasquali del Seder. Proprio quest’ultimo, con le sue raffigurazioni di scene di duro lavoro del popolo ebraico oppresso dal Faraone o i disegni con piatti e specialità pasquali, sembrano essere un’eccezione all’iconoclastia ebraica.
In bilico fra ebraismo, storia dell’arte e tema di Pesach e del racconto l’incontro “Haggadah: identità ebraica di un’immagine” , inserita nel programma di Jewish and the city e tenutasi alle Gallerie d’Italia, ha affrontato varie tematiche. L’iniziativa, nella quale è stata presentata la nuova Haggadah tascabile stampata da Skirà e a cura di Nanette Hayon e del Cdec e la relativa mostra al primo piano dell’edificio in piazza della Scala, ha coinvolto domenica pomeriggio dalle 15,30 ospiti di spicco. Ad esempio il critico d’arte Daniele Liberanome, membro del Comitato promotore di Jewish and the City e moderatore dell’incontro, il fondatore di Morashà David Piazza, Gadi Luzzato, Docente all’Università di Padova e Sandrina Bandera, sovrintendente dei beni storici, artistici e culturali di Milano e Direttore della Pinacoteca di Brera.
Proprio quest’ultima, la Bandera ha cominciato la discussione spiegando la centralità del rapporto fra pittura e racconto attraverso una serie di citazioni da grandi pittori italiani del passato e delle loro opere. Dall’Ultima Cena di Leonardo, che è una cena pasquale ebraica, fino alla Cena di Emmaus di Caravaggio e ai dipinti di Giotto sulle “Storie di San Francesco”, la studiosa ha valorizzato l’efficacia della tecnica pittorica per narrare e raffigurare episodi religiosi.
Luzzato prima e poi Piazza, si sono invece soffermati sulla storia delle Haggadoth e su quali siano state le evoluzioni e i cambiamenti riguardo ai testi e alle immagini di questo libro pasquale. Ma è vero che la rappresentazione di temi religiosi è vietata dall’ebraismo? Piazza ha evidenziato, citando il celebre studioso e talmudista Adin Steinsaltz alcune distinzioni importanti e deroghe a questa regola. Infatti, per Steinsaltz, secondo l’ebraismo i soggetti bidimensionali come persone, animali, piante e oggetti possono essere tranquillamente rappresentati senza alcun problema, mentre il divieto persiste saldamente per le figure tridimensionali come Dio e entità immateriali. Sciolto questo primo “nodo” concettuale non da poco, Luzzato ha successivamente approfondito la rappresentazione iconica e figurativa nell’ebraismo che “pur non essendo al livello dei quadri citati dalla signora Bandera le immagini rivestono comunque una loro importanza”. L’Haggadah, ha continuato Luzzato, è la narrazione storica di sé e della storia del popolo ebraico, come spiega il pensatore ebreo Josef Chaim Yerushalmi nel suo libro “Zakhor”. Esso raccoglie una serie di importanti riflessioni sul significato di Pesach: «una festa – ha spiegato Luzzato- che attraverso il pane dell’afflizione e il racconto armonizza il passato e il presente e ognuno quella sera deve pensare di essere lui stesso uscito dall’Egitto».
Puntando l’attenzione sullo stretto legame nell’Haggadah «fra storia e contemporaneità e sul fatto che noi siamo dentro la storia e questo ha conseguenze significative», Luzzato traccia le fasi di sviluppo del testo haggadico spiegando come esso è cambiato nei secoli. Come si è trasformata nel tempo e quando è nata l’Haggadah pasquale? Essa e lo schema del Seder, come ha fatto sapere Luzzato, risale all’ottavo secolo e più precisamente all’epoca della Mishnà. Inizialmente era un testo destinato a pochi eletti, ma da lì poi nella storia si è diffuso in maniera crescente, tanto che le edizioni del testo sono state moltissime. Fra i tantissimi testi, Luzzato, quella uscita in Spagna nel 1482, dieci anni prima della cacciata degli ebrei e dell’inizio della diaspora sefardita, scritta in caratteri ebraici ma in giudeo spagnolo e mischiata con altre lingue. Da segnalare quella del 1863, uscita all’epoca della cosiddetta emancipazione degli ebrei, periodo in cui si registrava il fenomeno crescente di assimilazione e di secolarizzazione. Fra le pagine di questo testo, per la prima e ultima volta, compare qualcosa di inimmaginabile, una vera e propria eresia per la tradizione ebraica: il volto di Dio.
Un’altra Haggadah, questa volta appartenente ai nostri tempi, è quella degli ebrei riformati che elenca anche una serie di ragioni per cui un ebreo al giorno d’oggi dovrebbe fare il Seder. “Perché è primavera, per ricordare la liberazione degli ebrei e lottare per i popoli oppressi” queste fra le ragioni elencate dal testo americano.
In conclusione dell’analisi del percorso storico dell’Haggadah, David Piazza ha parlato del rapporto molto stretto fra Haggadah e tempo e della centralità del ruolo della famiglia e dei bambini durante le cene pasquali e la lettura del testo. «Grazie alla forza del suo significato e delle immagini dell’Haggadah – ha ricordato Piazza – la festa di Pesach è una delle più rispettate anche dagli ebrei più secolarizzati e lontani dalla tradizione».
A testimoniare questo attaccamento al rituale pasquale da parte della cultura ebraica Piazza ha ricordato concetti basilari della festa di Pesach come il ruolo dei bambini, che cantano “ma nishtanà” – il canto in cui viene chiesto “in che cosa si differenzia questa sera da tutte le altre” – e la centralità degli studenti e dei figli, che imparando i canti pasquali negli anni 50’ nelle scuole ebraiche di Roma e di Milano hanno riportato alla religiosità anche dei genitori molto lontani da essa.