Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Questo Shabbat è lo Shabbat nel quale si legge la parashà Beshallach, la parashà nella quale leggiamo i brani biblici del passaggio del Mar Rosso.
Ovvio è che questo evento storico di portata straordinaria, che vede gli ebrei inseguiti dal Faraone ed apparentemente bloccati dal mare che poi si apre di fronte ai loro passi nella stessa acqua che diventerà “all’asciutto”, abbia avuto un impatto fondamentale non solo a livello puramente rituale, ma anche a livello mistico, popolare e tradizionale.
Esiste per esempio un uso a nome del Maestro Rabbino Menachem Mendel di Rimanow zzl (1745-1815) di leggere il martedì prima della lettura completa di Shabbat del brano biblico di Beshellach ( Esodo 14) di leggere una invocazione detta appunto Parashat HaMan, dove compare il racconto del dono della manna nel deserto. L’uso popolare vede in questo una “segullà”, un momento propiziatorio per ricevere prosperità e sicurezza economica, mentre il richiamo mistico a questa parashà ed al suo significato insiste sull’idea che questa invocazione sia fondamentalmente un atto di fede, una dichiarazione di totale dipendenza da Dio, il Solo che possa benedirci e donarci tutto ciò che abbiamo, così come ha sostenuto e sostentato i nostri padri durante i quaranta anni passati nel deserto.
Un altro uso legato a questa parashà è quello, tipicamente italiano, di cucinare per lo Shabbat Beshallach un piatto molto particolare che in Veneto si chiama frisensal de tajadele, a Ferrara e Mantova si chiamava hamin ed in genere viene definito come “ruota del faraone” (nella foto). Si tratta di una pasticcio di pasta generalmente amalgamata con grasso d’oca o olio e la cui forma della preparazione ricorda la ruota del carro del faraone, i pezzetti di salame e le uvette le teste degli egiziani che annegano fra le onde del mare, simboleggiate dalle tagliatelle, in poche parole una forma visiva ed edibile del capitolo 14 del libro dell’Esodo.
Quello che è interessante è il fatto che una parashà entra nella vita quotidiana dell’ebreo per una intera settimana ed è su questo che dovremmo riflettere.
I nostri padri vivevano il tempo della loro esistenza secondo le parashot, le feste, i ritmi di vita del rito e del rituale, che spesso è diventato rito e rituale sia domestico che sinagogale. I nostri padri aspettavano Shavuot prima di togliersi il soprabito, “Si no viene Shavuot no te kites samarrón”, come segno di un vero inizio di primavera piena, così come si dice a Roma che dopo la lettura della Haftarà dello Shabbat dopo il digiuno del 9 di Av, detta appunto Nachamù (Isaia 40 1-26) l’estate finisca: “Nachamù, Nachamù dell’estate non ce n’è più”. Cosa voglio dire con tutto questo? Che il ritmo di lettura della Torà e la stessa Torà erano elemento di identità quotidiana e familiare, forse la conoscenza del testo era meno accademica, ma la presenza del testo e del calendario ebraico erano parte della vita di ogni singolo ebreo ed ebrea.