Un re

Parashat Shofetim. La responsabilità appartiene a tutti noi e non può essere delegata

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Abbiamo assistito a rivolte per le strade di Londra e Manchester da un lato e di Tripoli dall’altro. A prima vista non c’era nulla in comune tra loro. A Londra i rivoltosi avevano in mano dei sassi. A Tripoli avevano in mano delle mitragliatrici. In Libia erano in rivolta per rimuovere un tiranno. A Londra erano in rivolta per comprare vestiti e televisori a schermo piatto. C’era solo una cosa in comune: le rivolte. Ci hanno ricordato, come disse John Maynard Keynes (rivoluzionario economista inglese 1883-1946), che la civiltà è una crosta sottile e precaria. Può sgretolarsi facilmente e rapidamente.

Le rivolte in entrambi i luoghi, in modi diversi, dovrebbero farci riflettere in modo nuovo sul progetto politico unico che Mosè intraprese nella parashà di Shoftim e nell’intero libro del Deuteronomio.

Perché le folle si ribellano? La risposta breve è: perché possono farlo. Abbiamo assistito allo straordinario impatto degli smartphone, dei sistemi di messaggistica e dei software per i social network: le ultime cose, si potrebbe pensare, che possono portare a un cambiamento politico, ma lo hanno fatto in un paese dopo l’altro in Medio Oriente – prima la Tunisia, poi l’Egitto, poi la Libia, poi la Siria, e i riverberi saranno con noi per gli anni a venire. Allo stesso modo in Gran Bretagna, anche se per ragioni molto diverse, hanno portato alle peggiori e più strane rivolte di una generazione.

Ciò che la tecnologia ha reso possibile sono le folle istantanee. Il comportamento delle folle è notoriamente volatile e travolge nel suo vortice molti tipi di persone. Il risultato è stato che per un certo periodo ha prevalso il caos, perché la polizia o l’esercito sono stati colti di sorpresa. La Torà descrive una situazione simile dopo il peccato del Vitello d’oro: “Mosè vide che il popolo si stava scatenando e che Aronne aveva lasciato che andasse fuori controllo…”. (Esodo 32:25)

Le folle creano il caos. Come comportarsi allora con le folle? In Inghilterra, la reazione è una richiesta di più polizia, tolleranza zero e pene più severe. In Medio Oriente, non sappiamo ancora se stiamo assistendo alla nascita di una società libere o alla sostituzione della tirannia di una minoranza con la tirannia della maggioranza. Tuttavia, sembra essere condiviso l’assunto che l’unico modo per impedire alle persone di derubarsi o uccidersi a vicenda sia l’uso della forza. Questa è la natura della politica fin dalla nascita della civiltà.

L’argomentazione è stata enunciata più chiaramente da Thomas Hobbes (filosofo) nel XVII secolo, nel suo classico della politica, il Leviatano. Senza l’uso della forza, diceva Hobbes, saremmo in uno stato di natura, una guerra di tutti contro tutti in cui la vita sarebbe “brutta, brutale e breve”. Quello a cui abbiamo assistito sia in Gran Bretagna che in Medio Oriente è stato un vivido tutorial di politica hobbesiana. Abbiamo visto come si presenta uno stato di natura.

Ciò che Mosè proponeva in Devarim era fondamentalmente diverso. Riunì il popolo e disse loro, con tante parole, che ci sarebbe stato un ordine sociale nella nuova terra che stavano per ereditare. Ma chi lo avrebbe realizzato? Non Mosè. Non Giosuè. Non un governo. Non un tiranno. Non un leader carismatico. Non l’esercito. Non la polizia. Chi lo avrebbe fatto. “Voi”, disse Mosè. Nel Deuteronomio il mantenimento dell’ordine è responsabilità di tutto il popolo. È questo il senso dell’alleanza. È questo che intendevano i Saggi quando dicevano “kol yisrael arevin zeh bazeh”, “Tutto Israele è responsabile l’uno dell’altro”. La responsabilità nell’ebraismo appartiene a tutti noi e non può essere delegata.

Lo vediamo più chiaramente nella parashà di questa settimana, nella legge del re. “Quando entrerete nella terra che il Signore vostro Dio vi darà, ne avrete preso possesso e vi sarete stabiliti, direte: “Mettiamo su di noi un re come tutte le nazioni che ci circondano”, fate in modo di nominare su di voi un re che il Signore vostro Dio sceglierà…”. Il re non deve acquistare un gran numero di cavalli per sé… Non deve prendere molte mogli… Non deve accumulare grandi quantità di argento e di oro. (Deuteronomio 17:14-17)

Notate lo strano modo in cui il comando è formulato. “Quando dici…” È un obbligo o un permesso? Il popolo può chiedere di avere un re, “come tutte le nazioni che ci circondano”, ma l’intero senso della Torà è che gli Israeliti non dovevano essere come le altre nazioni. Essere santi significa essere diversi, separati. “Il re non deve… non deve… non deve…”. L’accumulo di divieti è un chiaro segnale che la Torà vede l’istituzione come irta di pericoli. E così fu. Il più saggio degli uomini, Salomone, cadde in tutte e tre le trappole e infranse tutte e tre le leggi. Ma l’avvertimento della Torá non finisce qui.

Seguiranno parole ancora più forti: “Quando salirà sul trono del suo regno, dovrà scrivere per sé, su un rotolo, una copia di questa Legge…”. . . La dovrà portare con sé e dovrà leggerla per tutti i giorni della sua vita, affinché impari a temere il Signore suo Dio e a seguire attentamente tutte le parole di questa legge e di questi decreti e non si consideri migliore dei suoi compagni d’Israele. (Deuteronomio 17:18-20)
Solo a un uomo la Torà comanda di essere umile: al re.

Non è questa la sede per approfondire il famoso disaccordo tra i commentatori sul fatto che nominare un re sia un comando o meno. Maimonide dice che è un obbligo. Ibn Ezra dice che è un permesso. Abarbanel dice che è una concessione. Rabbeinu Bahya dice che è una punizione. Gli Israeliti, una nazione sotto la sovranità di Dio, non avrebbero mai dovuto cercare un leader umano. Nelle parole di Avinu Malkeinu leggiamo, “Ein lanu melech ela atah”, “Non abbiamo altro re all’infuori di Te”.

Il punto, tuttavia, è che la Torà si pone il più lontano possibile dal mondo di Hobbes, in cui è il Leviatano – il suo nome per la monarchia assoluta, il potere centrale – ad essere responsabile del mantenimento dell’ordine. In un mondo hobbesiano, senza un governo forte c’è il caos. I re o i loro equivalenti sono assolutamente necessari.

Mosè sta articolando una visione molto diversa della politica. Praticamente tutti gli altri pensatori l’hanno definita come l’uso del potere. Mosè definisce la politica come l’uso dell’autocontrollo. La politica, per Mosè, riguarda la voce di Dio nel cuore dell’uomo. Riguarda la capacità di sentire le parole “non devi”. La politica nella Torà non riguarda la paura del governo. Piuttosto il timore di Dio.

Questo programma politico è così radicale che ha dato origine a un fenomeno unico nella storia. Non solo gli ebrei hanno osservato la legge ebraica quando erano in Israele, uno Stato sovrano con governo e potere. Hanno osservato la legge ebraica anche in esilio per 2000 anni, quando non avevano terra, potere, governo, esercito e polizia.

Il rabbino Levi Yitzhak di Berdichev una volta disse: “Maestro dell’universo, in Russia c’è uno zar, un esercito e una forza di polizia, ma ancora nelle case russe si trovano merci di contrabbando. Il popolo ebraico non ha uno zar, un esercito e una forza di polizia, ma provate a trovare del pane in una casa ebraica a Pesach!”.

Ciò che Mosè comprese, in un modo che non ha eguali altrove, è che ci sono solo due possibilità per creare ordine: con il potere dall’esterno o con l’autocontrollo dall’interno; o con l’uso della forza esterna o con la conoscenza interiorizzata della legge e l’impegno nei suoi confronti.

Come si crea questa conoscenza? Grazie a famiglie e comunità forti e a scuole che insegnano ai bambini la legge, e a genitori che ripetono ai loro figli “…quando ti siedi in casa o quando cammini per strada, quando ti corichi e quando ti alzi”.
Il risultato fu che nel I secolo Giuseppe Flavio poté scrivere: “Se qualcuno della nostra nazione viene interrogato sulle nostre leggi, le ripeterà con la stessa facilità del suo nome”. Il risultato dell’accurata educazione alle nostre leggi fin dagli albori dell’intelligenza è che esse sono, per così dire, incise nelle nostre anime”.

Questa è una visione della politica che rischiamo di perdere, almeno in Europa, man mano che perde la sua eredità giudaico-cristiana. Ho sostenuto, in molti di questi saggi e in diversi miei libri, che l’unico Paese che oggi conserva una visione covenzionale della politica sono gli Stati Uniti. È stato lì, in uno dei grandi discorsi del XIX secolo, che Abraham Lincoln articolò l’idea fondamentale dell’alleanza: quando c’è “un governo del popolo, dal popolo, per il popolo”, c’è una nuova nascita della libertà. Quando solo la polizia o gli eserciti si frappongono tra l’ordine e le rivolte, la libertà stessa è a rischio.

Redazione Jonathan Sacks zzl da una sua derasha del 2010-2011

 

(Foto: Yoram Raanan da Jerusalem Post)