Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
È difficile tracciare con precisione il momento in cui un’idea nuova fa la sua prima apparizione sulla scena umana, soprattutto amorfa come quella dell’amore. Ma l’amore ha una storia. C’è il contrasto che troviamo nel pensiero greco, e poi cristiano, tra eros e agape: il desiderio sessuale e un amore fortemente astratto per l’umanità in generale.
C’è il concetto di cavalleria che fa la sua comparsa nell’epoca delle Crociate, il codice di condotta che valorizzava la galanteria e le gesta di coraggio per “conquistare il cuore di una dama”. C’è l’amore romantico presentato nei romanzi di Jane Austen, coperto dalla condizione che il giovane o meno giovane destinato all’eroina deve avere il giusto reddito e proprietà di campagna, in modo da esemplificare la “verità universalmente riconosciuta, che un solo uomo in possesso di una buona fortuna, deve essere in mancanza dì una moglie.” E c’è il momento in “Il violinista sul tetto” in cui, esposto dai loro figli alle nuove idee nella Russia pre-rivoluzionaria, Tevye si rivolge a sua moglie Golde, e segue la seguente conversazione:
Tevye: Mi ami?
Golde: Sono tua moglie!
Tevye: Lo so! Ma mi ami?
Golde: Lo amo? Per venticinque anni ho vissuto con lui, ho combattuto con lui, ho patito la fame con lui. Venticinque anni, il mio letto è suo…
Tevye: Shh!
Golde: Se quello non è amore, cos’è?
Tevye: Allora mi ami!
Golde: Suppongo di sì!
La storia interiore dell’umanità è in parte la storia dell’idea di amore. E ad un certo punto una nuova idea fa la sua comparsa nell’Israele biblico. Possiamo rintracciarlo meglio in un passaggio altamente suggestivo nel libro di uno dei grandi profeti della Bibbia, Osea.
Osea visse nell’VIII secolo a.e.v. Il regno era stato diviso alla morte di Salomone. Il regno settentrionale in particolare, dove viveva Osea, era caduto dopo un periodo di pace e prosperità nell’illegalità, nell’idolatria e nel caos. Tra il 747 e il 732 a.e.v. vi furono ben cinque Re, risultato di una serie di intrighi e sanguinose lotte per il potere. Anche il popolo era deviato: “Non c’è né verità né benignità e non c’è conoscenza di Dio nel paese; c’è giurare, mentire, uccidere, rubare e commettere adulterio; rompono tutti i limiti e all’omicidio segue un altro omicidio. (Osea 4:1-2)
Come altri profeti, Osea sapeva che il destino di Israele dipendeva dal suo senso della missione. Fedele a Dio, ha saputo fare cose straordinarie: sopravvivere di fronte agli imperi, e generare una società unica nel mondo antico, della pari dignità di tutti come concittadini sotto la sovranità del Creatore del Cielo e della Terra. Infedele, tuttavia, era solo un’altra potenza minore nell’antico vicino Oriente, le cui possibilità di sopravvivenza contro grandi predatori politici erano minime.
Ciò che rende straordinario il libro di Osea è l’episodio con cui inizia. Dio dice al Profeta di sposare una prostituta e di vedere come ci si sente ad avere un amore tradito. Solo allora Osea potrà intravedere il senso di tradimento di Dio da parte del popolo d’Israele. Dopo averli liberati dalla schiavitù e portati nella loro terra, Dio li vide dimenticare il passato, abbandonare il patto e adorare strani dei. Eppure non può abbandonarli, nonostante lo abbiano abbandonato. È un passaggio potente, che trasmette la sorprendente affermazione che più di quanto il popolo ebraico ami Dio, Dio ama il popolo ebraico. La storia di Israele è una storia d’amore tra il Dio fedele e il suo popolo spesso infedele. Sebbene Dio a volte sia arrabbiato, non può che perdonare. Li accompagnerà in una specie di seconda luna di miele e rinnoveranno le loro promesse matrimoniali: “Perciò, ecco, io la sedurrò e la condurrò nel deserto, e parlerò consolante al suo cuore. … E io ti fidanzerò a me con fede, e tu conoscerai il Signore. (Osea 2:16 e 22)
È quest’ultima frase – con il suo esplicito confronto tra l’alleanza e un matrimonio – che gli uomini ebrei dicono quando indossano i tefillin sulla mano, avvolgendo la sua cinghia attorno al dito come una fede nuziale.
Un versetto nel mezzo di questa profezia merita il più attento esame. Contiene due complesse metafore che devono essere svelate filo per filo: «In quel giorno», dice il Signore, “Mi chiamerai ‘mio marito’ [ishi]; Non Mi chiamerai più ‘il mio Maestro’ [baali]”. (Osea 2:18)
Questo è un doppio gioco di parole. Baal, in ebraico biblico, significava “marito”, ma in un senso molto specifico, vuole dire “padrone, proprietario, possessore, controllore”. Segnalava il dominio fisico, legale ed economico. Era anche il nome del dio cananeo – che il profeta Elia sfidò nel famoso confronto sul Monte Carmel. Baal (spesso raffigurato come un toro) era il dio della tempesta, che sconfisse Mot, il dio della sterilità e della morte. Baal era la pioggia che impregnava la terra e la rendeva fertile. La religione di Baal è l’adorazione di Dio come potere.
Osea mette in contrasto questo tipo di relazione con l’altra parola ebraica per marito, ish. Eccolo rievocare le parole del primo uomo alla prima donna: “Questo ora è l’osso delle mie ossa e carne della mia carne; Sarà chiamata “donna” [ishah], Perché è stata presa dall’uomo [ish]. (Genesi 2:23)
Qui la relazione maschio-femmina si basa su qualcosa di completamente diverso dal potere e dal dominio, dalla proprietà e dal controllo. L’uomo e la donna si confrontano nell’uniformità e nella differenza. Ciascuno è un’immagine dell’altro, eppure ciascuno è separato e distinto. L’unico rapporto in grado di unirli senza l’uso della forza è il matrimonio come patto, un legame di lealtà e amore reciproci in cui ciascuno si impegna l’altro a servirsi l’un l’altro.
Non solo si tratta di un modo radicale di ripensare il rapporto tra uomo e donna. È anche, implica Osea, il modo in cui dovremmo pensare alla relazione tra gli esseri umani e Dio. Dio si rivolge all’umanità non come potenza – la tempesta, il tuono, la pioggia – ma come amore, e non un amore astratto, filosofico, ma una passione profonda e duratura che sopravvive a tutte le delusioni e ai tradimenti. Israele potrebbe non comportarsi sempre amorevolmente verso Dio, dice Osea, ma Dio ama Israele e non smetterà mai di farlo.
Il modo in cui ci relazioniamo con Dio, influenza il modo in cui ci relazioniamo con le altre persone. Questo è il messaggio di Osea – e viceversa: il modo in cui ci relazioniamo con le altre persone influenza il modo in cui pensiamo a Dio. Il caos politico di Israele nell’VIII secolo a.e.v era intimamente connesso alla sua ribellione religiosa. Una società costruita sulla corruzione e sullo sfruttamento è quella in cui la forza prevale sul diritto. Questo non è ebraismo ma idolatria, il culto di Baal.
Ora capiamo perché il segno del patto è la circoncisione, il comandamento dato nella parashà di Tazria di questa settimana. Perché la fede sia qualcosa di più del culto del potere, deve intaccare il rapporto più intimo tra uomini e donne. In una società fondata sull’alleanza, le relazioni uomo-donna sono costruite su qualcosa di diverso e più gentile del dominio maschile, del potere maschile, del desiderio sessuale e della spinta a possedere, controllare. Baal deve diventare ish. Il maschio alfa deve diventare il marito premuroso. Il sesso deve essere santificato e temperato dal rispetto reciproco. La pulsione sessuale deve essere circoncisa e circoscritta in modo che non cerchi più di possedere e si accontenti di amare.
C’è quindi più di una connessione accidentale tra monoteismo e monogamia. Sebbene la legge biblica non imponga la monogamia, ciononostante la descrive come lo stato normativo dall’inizio della storia umana: Adamo ed Eva, un uomo, una donna. Ogni volta che nella Genesi un patriarca sposa più di una donna c’è tensione e angoscia. L’impegno verso un Dio si rispecchia nell’impegno verso una persona.
La parola ebraica emunah, spesso tradotta come “fede”, significa infatti fedeltà, proprio l’impegno che si assume nel contrarre matrimonio. Viceversa, per i profeti c’è una connessione tra idolatria e adulterio. È così che Dio descrive Israele a Osea. Dio sposò gli israeliti ma essi, nel servire gli idoli, fecero la parte di una donna promiscua (Osea 1-2).
L’amore di marito e moglie – un amore insieme personale e morale, appassionato e responsabile – è il più vicino possibile alla comprensione dell’amore di Dio per noi e del nostro amore ideale per Lui. Quando Osea dice: “Conoscerai il Signore”, non intende la conoscenza in senso astratto. Intende la conoscenza dell’intimità e della relazione, il tocco di due sé attraverso l’abisso metafisico che separa una coscienza dall’altra. Questo è il tema de Il Cantico dei Cantici, quell’espressione profondamente umana ma profondamente mistica dell’eros, dell’amore tra l’umanità e Dio. È anche il significato di una delle frasi definitive nel giudaismo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. (Deuteronomio 6:5)
Il giudaismo fin dall’inizio ha messo in relazione la sessualità e la violenza da un lato, la fedeltà coniugale e l’ordine sociale dall’altro. Non a caso il matrimonio viene chiamato kiddushin, “santificazione”. Come il patto stesso, il matrimonio è un pegno di lealtà tra due parti, ciascuna delle quali riconosce l’integrità dell’altra, onorando le loro differenze anche quando si uniscono per dare vita a una nuova vita. Il matrimonio è per la società ciò che l’alleanza è per la fede religiosa: una decisione di fare dell’amore – non del potere, della ricchezza o della forza maggiore – il principio generativo della vita.
Proprio come la spiritualità è la relazione più intima tra noi e Dio, così il sesso è la relazione più intima tra noi e un’altra persona. La circoncisione è il segno eterno della fede ebraica perché unisce la vita dell’anima con le passioni del corpo, ricordandoci che entrambi devono essere governati dall’umiltà, dall’autocontrollo e dall’amore.
Il Brit milah aiuta a trasformare il maschio da baal a ish, da partner dominante a marito amorevole, proprio come Dio dice a Osea che questo è ciò che cerca nella Sua relazione con il popolo dell’alleanza. La circoncisione trasforma la biologia in spiritualità. L’istintiva pulsione maschile a riprodursi diventa invece un atto pattizio di collaborazione e di reciproca affermazione. Fu quindi una svolta decisiva nella civiltà umana quanto lo stesso monoteismo abramitico. Entrambi riguardano l’abbandono del potere come base della relazione e l’allineamento con ciò che Dante chiamava “l’amore che muove il sole e le altre stelle”. La circoncisione è l’espressione fisica della fede che vive nell’amore.
Di rav Jonathan Sacks zl