Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
La Torah nella Parashat Tzav (7: 15-16) stabilisce una distinzione tra l’offerta di Todà (ringraziamento) e altri sacrifici di Shelamim (pace)- la categoria di sacrifici che erano consumati non solo dai kohanim, ma anche dall’individuo che aveva portato l’animale da sacrificare.
I sacrifici di Shelamim avevano uno status di santità inferiore rispetto ad altri sacrifici, espresso dal fatto che la carne non era riservata ai kohanim e che poteva essere consumata in tutta la città di Gerusalemme, e non solo nel Beit Ha-mikdash. La maggior parte dei sacrifici di Shelamim presentavano anche un’ulteriore misura di clemenza, e potevano essere mangiati fino alla fine della giornata dopo che il sacrificio era stato offerto.
Solo i sacrifici di livello superiore potevano essere consumati durante la notte che segue il giorno in cui venivano offerti, mentre i sacrifici standard di Shelamim potevano essere consumati anche il giorno seguente. L’eccezione a questa regola era il sacrificio di Todà, che, sebbene poteva essere mangiato dai non kohanim e in tutta Gerusalemme, poteva essere ingerito solo durante la notte dopo che era stato offerto.
Una spiegazione comune per questa eccezione è che la Torah ha voluto incoraggiare colui che portava il sacrificio di ringraziamento, ad invitare un folto gruppo di ospiti a partecipare alla sua celebrazione festiva. Poiché questo sacrificio veniva offerto per esprimere gratitudine a Dio per essere stato salvato dal pericolo – come spiega Rashi (7:12) – doveva essere mangiato insieme a una grande folla, al fine di pubblicizzare l’esperienza e quindi portare gloria all’Onnipotente.
Il sacrificio di Todà era un’offerta molto ampia, composta da un animale e da quaranta pagnotte di pane, e quindi richiedeva che fosse consumato entro la fine della notte. La Torah si assicurava in questo modo che l’offerente avrebbe invitato un gran numero di partecipanti. Ciò permetteva lo svolgersi di un incontro festivo in cui la misericordia di Dio veniva “pubblicizzata”.
Rav Shimshon Raphael Hirsch (1808-1888) tuttavia, suggerisce una spiegazione diversa. Scrive che il più breve lasso di tempo assegnato per il consumo dell’offerta di Todà, esprime un legame tra l’atto fisico del mangiare e quello del sacrificio dell’animale nel Beit Ha-mikdash. Questo legame è stabilito nel caso di un sacrificio di Todà perché essendo salvato dal pericolo, una persona deve riflettere sul fatto che Dio è intervenuto per sostenerlo, per uno scopo, per poter vivere la sua vita al Suo servizio.
Il fatto che siamo stati salvati da un pericolo ci fa giurare, con un fervore ancora più profondo di quello ordinario, che useremo e godremo i piaceri della vita con l’impegno di darci completamente secondo la volontà di Dio.
Essendo liberi, sani e salvi da una situazione di pericolo, dobbiamo impegnarci con maggiore convinzione e vivere secondo la volontà divina. Tale esperienza ci ricorda la verità fondamentale di cui dovremmo sempre essere consapevoli, ma troppo spesso dimentichiamo, che se siamo qui in questo mondo questo significa che Dio ci vuole qui per servirLo con devozione. E quindi, dopo questo tipo di esperienza, riconoscendo la mano di Dio nel sostenerlo, si porta uno speciale sacrificio che deve essere consumato nel Tempio – che simboleggia la nostra devozione totale della nostra vita all’Onnipotente.
Di Rav David Silverberg Yeshivat Har Etzion