Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Uno degli elementi più difficili della Torà e dello stile di vita che prescrive è il fenomeno dei sacrifici animali, per ovvie ragioni. In primo luogo, gli ebrei e il giudaismo sono sopravvissuti senza farli per quasi duemila anni. In secondo luogo, praticamente tutti i profeti li hanno criticati, non ultimo Geremia nell’haftarah di questa settimana. Nessuno dei profeti ha cercato di abolire i sacrifici, ma erano severamente critici nei confronti di coloro che li offrivano, mentre allo stesso tempo opprimevano o sfruttavano i loro simili. Ciò che li turbava – ciò che turbava Dio in nome del quale parlavano – era che evidentemente alcune persone consideravano i sacrifici come una specie di tangente: se facciamo un dono abbastanza generoso a Dio, allora Egli può trascurare i nostri crimini e misfatti. Questa è un’idea radicalmente incompatibile con il giudaismo.
Inoltre, insieme alla monarchia, i sacrifici erano tra le caratteristiche meno distintive del giudaismo nei tempi antichi. Ogni religione in quei giorni, ogni culto e setta, aveva i suoi altari e sacrifici. Infine, rimane degno di nota il modo semplice e agevole in cui i Saggi furono in grado di costruire sostituti del sacrificio, tre in particolare: la preghiera, lo studio e la tzedakah. La preghiera, in particolare Shacharit, Minchah e Musaf, prese il posto delle offerte regolari. Chi studia le leggi del sacrificio è come se avesse portato un sacrificio. E chi dà in beneficenza porta, per così dire, un sacrificio finanziario, riconoscendo che tutto ciò che abbiamo lo dobbiamo a Dio.
Sebbene preghiamo quotidianamente per la ricostruzione del Tempio e per il ripristino dei sacrifici, il principio stesso del sacrificio rimane difficile da comprendere. Diverse teorie sono state avanzate da antropologi, psicologi e studiosi biblici riguardo al loro significato, ma la maggior parte si basa sul dubbio presupposto che i sacrifici siano essenzialmente gli stessi in tutte le culture. Questa è una motivazione poco attendibile. Dobbiamo sempre cercare di comprendere una pratica in termini di credenze distintive della cultura a cui appartiene. Cosa potrebbero significare i sacrifici in una religione in cui Dio è il creatore e il proprietario di tutto?
Cos’era dunque il sacrificio nell’ebraismo e perché rimane importante, almeno come idea, anche oggi? La risposta più semplice, anche se non spiega i dettagli dei diversi tipi di offerta, è questa: amiamo ciò per cui siamo disposti a fare sacrifici. Ecco perché, quando erano una nazione di agricoltori e pastori, gli Israeliti dimostrarono il loro amore per Dio portandogli un dono simbolico delle loro greggi e armenti, del loro grano e dei loro frutti; cioè il loro sostentamento. Amare è ringraziare. Amare è voler portare un’offerta all’Amato. Amare è dare. Il sacrificio è la coreografia dell’amore.
Questo è vero in molti aspetti della vita. Una coppia felicemente sposata fa costantemente sacrifici l’uno per l’altra. I genitori fanno enormi sacrifici per i propri figli. Le persone attratte da una chiamata – curare i malati, o prendersi cura dei poveri, o lottare per la giustizia dei deboli contro i forti – spesso sacrificano carriere remunerative per il bene dei loro ideali. In epoche di patriottismo, le persone fanno sacrifici per il loro paese. Nelle comunità forti le persone fanno sacrifici l’una per l’altra quando qualcuno è in difficoltà o ha bisogno di aiuto. Il sacrificio è il super collante della relazione. Ci lega gli uni agli altri.
Ecco perché, nell’età biblica, i sacrifici erano così importanti – non come lo erano nelle altre fedi, ma proprio perché nel cuore pulsante dell’ebraismo c’è l’amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutte le tue forze”. In altre fedi il motivo trainante del sacrificio era la paura: paura dell’ira e del potere degli dei. Nel giudaismo è amore.
Lo vediamo nella parola ebraica sacrificio: il sostantivo korban e il verbo lehakriv, che significano “venire o avvicinare”. Il nome di Dio usato invariabilmente in relazione ai sacrifici è Hashem, Dio nel suo aspetto di amore e compassione, mai Elokim, Dio come giustizia e distanza. La parola Elokim ricorre solo cinque volte in tutto il libro di Vayikra, e sempre nel contesto di altre nazioni. La parola Hashem appare 209 volte. E come abbiamo visto la scorsa settimana, il nome stesso del libro, Vayikra, significa evocare l’amore. Dove c’è amore, c’è sacrificio.
Una volta che ce ne rendiamo conto, iniziamo a capire quanto sia profondamente rilevante il concetto di sacrificio nel ventunesimo secolo. Le principali istituzioni del mondo moderno – lo stato democratico liberale e l’economia di libero mercato – erano basate sul modello dell’attore razionale, cioè colui che agisce per massimizzare i benefici per se stesso.
La teoria di Hobbes (filosofo britannico 1588-1679) sul contratto sociale era che è nell’interesse di ciascuno di noi cedere alcuni dei nostri diritti a un potere centrale, incaricato di garantire lo stato di diritto e la difesa del regno. L’intuizione di Adam Smith (filosofo ed economista scozzese 1723-1790) sull’economia di mercato era che se ognuno di noi agisce per massimizzare il proprio vantaggio, il risultato è la crescita della ricchezza comune. La politica e l’economia moderne sono state costruite sulla base del perseguimento razionale dell’interesse personale.
Non c’era niente di sbagliato in questo. È stato fatto per il più alto dei motivi. Era un tentativo di creare la pace in un’Europa che era stata per secoli devastata dalla guerra. Lo stato democratico e l’economia di mercato erano seri tentativi di imbrigliare il potere dell’interesse personale, per combattere le passioni distruttive che portavano alla violenza. Il fatto che la politica e l’economia fossero basate sull’interesse personale non negava la possibilità che le famiglie e le comunità fossero sostenute dall’altruismo. Era un buon sistema, non cattivo.
Ora, tuttavia, dopo diversi secoli, l’idea dell’amore-come-sacrificio si è assottigliata in molti ambiti della vita. Lo vediamo specificamente nelle relazioni. In tutto l’Occidente, meno persone si sposano, si sposano più tardi e quasi la metà dei matrimoni finisce con il divorzio. In tutta Europa, le popolazioni indigene sono in declino. Per avere una popolazione stabile, un paese deve avere un tasso di natalità medio di 2,1 figli per donna. Nel 2015 il tasso medio di natalità in tutta l’Unione Europea era di 1,55. In Spagna era 1,27. La Germania ha il tasso di natalità più basso di qualsiasi paese al mondo. Ecco perché oggi la popolazione europea è resa stabile solo sulla base di tassi di immigrazione senza precedenti.
Se si perde il concetto di sacrificio all’interno di una società, prima o poi il matrimonio vacilla, la genitorialità declina e la società lentamente invecchia e muore. Il mio defunto predecessore, Lord Jakobovits, lo ha detto in un modo esemplare: il Talmud dice che quando un uomo divorzia dalla sua prima moglie, “l’altare versa lacrime” (Gittin 90b). Qual è il legame tra l’altare e il matrimonio? Entrambi, ha detto, riguardano i sacrifici. I matrimoni falliscono quando i partner non sono disposti a fare sacrifici l’uno per l’altro.
Gli ebrei e il giudaismo sono sopravvissuti nonostante i molti sacrifici che le persone hanno dovuto fare per questo. Nell’undicesimo secolo Judah Halevi espresse qualcosa di più vicino al timore reverenziale per il fatto che gli ebrei rimanessero ebrei nonostante il fatto che “in un batter d’occhio” avrebbero potuto convertirsi alla fede della maggioranza e vivere una vita relativamente agiata (Kuzari 4:23) Altrettanto possibile è, però, che il giudaismo sia sopravvissuto grazie a quei sacrifici. Dove le persone fanno sacrifici per i propri ideali, gli ideali rimangono forti. Il sacrificio è un’espressione di amore.
Non tutti i sacrifici sono santi. Gli attentatori suicidi di oggi sacrificano le loro vite e quelle delle loro vittime in un modo che (come ho sostenuto in “Not In God’s Name”) è un sacrilegio. In effetti, l’esistenza stessa del sacrificio animale nella Torà potrebbe essere stato un modo per impedire alle persone di offrire sacrifici umani sotto forma di violenza e guerra. Ma il principio del sacrificio rimane. È il dono con il quale portiamo ciò che amiamo a chi amiamo.
Di rav Jonathan Sacks zzl
(Foto: Anne-Françoise Ben Or, Vaykrà, 2011. Fonte: womenofthebook.org)